Intervista al compositore Alessandro Solbiati

A pochi giorni dalla prima assoluta di Del Folle Amore che avrà luogo a Firenze nella basilica di Santa Croce il 4 ottobre 2023 ecco una breve intervista con Alessandro Solbiati per parlare, più in particolare, della sua composizione per soprano, coro misto e orchestra commissionatagli dalla Fondazione ORT e dal Maggio Musicale Fiorentino. L’evento vede la compartecipazione dell’Opera di Santa Croce, insieme al Coro del Maggio Musicale Fiorentino, preparato da Lorenzo Fratini, l’Orchestra della Toscana e il soprano Mathilde Barthélémy, diretti da Tito Ceccherini.
Del Folle Amore Passione secondo Maria per soprano, coro e orchestra sulla Lauda Donna de Paradiso di Jacopone da Todi: «è la mia sinfonia con voci, vera e propria Sinfonia del Dolore». Qual è il senso profondo di questa sua lapidaria espressione?
Si tenga presente che Del Folle Amore è dedicato «alla madre di Giulio Regeni e a tutte le madri-coraggio del mondo». E se lo componessi ora, la dedicherei anche a tutte le madri che attraversano deserti e mari per dare una speranza ai propri figli. Il mondo è pieno di Dolore e il testo di Jacopone incarna con umanità e durezza insieme questa verità: la Crocifissione è narrata con lentezza quasi spietata, mentre il dialogo Madre-Figlio è di una dolcezza inusitata. Quindi il dolore nelle sue mille espressioni, disperazione e dolcezza, durezza e compassione, è, episodio dopo episodio, il tema stesso di questo mio ampio lavoro che ho sognato e meditato per molti anni, prima di comporlo.
Il tema del dolore e della sofferenza della Madre per la morte del Figlio è presente anche nello Stabat Mater attribuito a Jacopone di cui le numerose realizzazioni musicali intonate da diversi compositori rappresentano un autentico teatro dell’umanità sofferente. L’imperfetto Stabat designa la continuità di quanto accade in itinere, ovvero la Madre ai piedi della croce, similmente a quanto succede in alcuni numeri di questo lavoro, individuabile nella scrittura e nell’ascolto anche grazie all’uso del semitono (topos del lamento) che rappresenta l’inequivocabile brutalità. Quali strategie compositive sono state utilizzate per esplicitare la grande tensione drammatica e quanto ha inciso il testo di Jacopone sulla coscienza del compositore-credente?
La strategia fondamentale è stata la ricerca di una evidenza estrema delle immagini musicali, che dovevano essere subito chiare e forti, nella durezza come nella dolcezza. È la logica dell’affresco: un affresco deve essere visto da lontano e non può indugiare in dettagli invisibili. La forma, la strumentazione, l’alternanza dei timbri e dei registri, l’attribuzione di un carattere preciso e ben identificabile ad ogni episodio, il non temere gli estremi espressivi, queste sono state le principali strategie, pur sempre alla ricerca di una complessità compositiva per me ineludibile, che viene ad evitare eccessi retorici che costituiscono il rischio primo dell’”esplicito”. E posso ben dire che vivere parola per parola un testo come Donna de paradiso, portandolo nel cuore e nella mente ogni giorno per sei-sette mesi, ha inciso profondamente sulla mia coscienza.
Ripercorrendo la sua formazione attraverso gli insegnamenti di Sandro Gorli (allievo di Franco Donatoni) presso il Conservatorio «G. Verdi» di Milano e di Donatoni all’Accademia Chigiana di Siena, è possibile ipotizzare un rapporto con l’eredità compositiva di quest’ultimo in questo lavoro?
Le mie logiche e i miei processi compositivi sono strettamente figli del pensiero e delle strategie di Franco Donatoni e di Sandro Gorli, ma sono messi al servizio di una musica molto differente. Questo era già chiaro negli anni di studio, ormai più di quarant’anni fa: sono sempre stato piuttosto orgoglioso, nel definirmi assolutamente allievo di Donatoni, del fatto che nessuno riconoscesse questo nei miei esiti sonori. La mia ricerca di melos, di espressività intensa non era vicina a Franco: eppure il concetto stesso di “figura musicale” è mediato da lui. Ma vi è qualcosa di più profondo che mi lega a entrambi: una concezione “religiosa” del comporre, la concentrazione quotidiana e assidua nell’attività compositiva, “come un monaco”, diceva spesso Franco.
Quanto è presente e/o necessario il logos della fede nella musica sacra, in particolare nei compositori contemporanei?
Questo è un discorso assai delicato e intimo. Io non divido le persone tra credenti e non credenti, la fede non è l’appartenenza a un partito: vi sono infiniti modi di credere. Mozart era un credente? Apparentemente no, ma quando ascoltiamo Ave verum percepiamo un senso di trascendenza più forte di mille parole. Il libro di Bernstein The joy of music se ben ricordo inizia con la frase “every musician is a believer”, “ogni musicista è un credente”. Alcuni non sono d’accordo, io sì: chi vive profondamente l’espressione artistica travalica inevitabilmente la quotidianità ed è in contatto con altro. Vi sono, oggi come sempre, brani musicali che “suonano” sacri senza esserlo esplicitamente e viceversa. Sostituirei dunque la parola “spiritualità” a “fede”, come intima necessità del comporre sacro.
In un Paese come il nostro in cui la musica contemporanea ha bisogno di accorciare lo iato con il grande pubblico quali possono essere le proposte ed eventuali soluzioni?
È necessaria una programmazione più coraggiosa da parte dei direttori artistici, che si rifugiano sempre più in repertori triti e ritriti, temendo di “perdere pubblico”. Proprio quanto sta succedendo per il mio Del Folle Amore programmato a Firenze il 4 ottobre dice che queste paure sono spesso immotivate e per lo più frutto di poca conoscenza, di poca inventiva, di poca curiosità, da parte dei suddetti direttori: i 600 posti messi a disposizione dall’Opera Santa Croce sono andati esauriti in 24 ore e probabilmente ne erano necessari quasi altrettanti. Bisogna saper mescolare con intelligenza musica storica e recente in ogni programma, scegliendo con cura ogni brano contemporaneo, presentando i brani, dialogando con il pubblico, trovando formule di divulgazione e di incontro che suscitino e soddisfino una curiosità che è molto più viva di quanto si pensi.

Ringraziamo Alessandro Solbiati perché, attraverso il suo contributo, ha fornito elementi utili e significativi per avvicinare il pubblico alla sua opera e rendere più inquiete le menti desiderose di migliorarsi nel pensiero e di proiettarsi nella bellezza senza tempo.