Firenze: “Beethoven in Vermont” per gli Amici della Musica

Firenze: Sala Del Buonumore “P. Grossi” del Conservatorio L. Cherubini di Firenze Stagione Amici della Musica, 2023/24
“MUSICA &…BEETHOVEN IN VERMONT”
Trio Metamorphosi:
Adolf Busch MAURO LOGUERCIO (violino)
Hermann Busch FRANCESCO PEPICELLI (violoncello)
Rudolf Serkin ANGELO PEPICELLI (pianoforte)
Sceneggiatura e direzione Maria Letizia Compatangelo
Costumi di Roberta Sileo
Musiche di Ludwig van Beethoven
Firenze, 22 ottobre 2023
Assistere a Beethoven in Vermont, nell’interpretazione del Trio Metamorphosi, significa predisporsi ad uno spettacolo ricco di rimandi. I componenti del gruppo cameristico: Mauro Loguercio e i fratelli Francesco e Angelo Pepicelli, nella loro ‘trasformazione’ vestono i panni di tre celeberrimi musicisti che corrispondono ai fratelli tedeschi Adolf (violinista e compositore) ed Hermann Busch (violoncellista) e al pianista austriaco Rudolf Serkin. Grazie all’eclettismo di Maria Letizia Compatangelo, ideatrice e autrice del progetto, scaturisce un’originale pièce teatrale. Compito dei musicisti era esprimersi con il proprio strumento congiuntamente alla narrazione, senza un suggeritore. Pregevole la sicurezza nella recitazione del Trio, probabilmente per la scelta della scansione del ritmo dell’azione teatrale, che doveva tener conto del ritmo musicale. Il tutto è risultato molto curato compreso il look, le luci di Fabio Tomaselli e i costumi di Roberta Sileo. I tre musicisti, fuggiti dalla Germania nazista, si recano negli USA per partecipare al Marlboro Music Festival scegliendo, dopo un lungo travagliato confronto, un programma incentrato sul Trio per archi e pianoforte n. 7 in si bemolle maggiore op. 97 “L’Arciduca” di Beethoven. Composizione dedicata all’Arciduca Rodolfo d’Asburgo il quale, oltre ad assicurare un sostegno economico al compositore, ne divenne anche allievo. La musica, ancor più immaginata nel contesto storico dei crimini del nazismo, diventa l’emblema dei valori universali che esprimono fratellanza tra i popoli come accade nel successivo e celeberrimo finale corale della Nona Sinfonia. Nel buio della Sala una voce fuori scena ci riporta all’estate 1951, ovvero ai momenti della decisione del programma per il concerto d’apertura del Festival. Poi una musica improvvisa musica rompe il silenzio. Bastano le prime battute all’unisono, esposte su quattro ottave, dell’Allegro vivace con brio del Trio in re maggiore op. 70 n. 1 (“Spettri”) per essere catapultati nella forza vitale di Beethoven finché la nota lunga (fa naturale) del violoncello annuncia il dolce melos subito recepito in maniera coesa dagli altri strumenti. Ciò che probabilmente rimarrà nella memoria del pubblico è l’inizio ove il vigore è stato tale da far rivivere sensazioni simili a quanto scrive D’Annunzio: «il Trio detto degli Spiriti […] Lo ascolto come dopo la morte […] ogni nota sospinge di vena in vena sino al cuore il fondo del calice di vita, quello che non ho assaporato ancóra, quello che pregai fosse tenuto lontano dalle mie labbra». L’ interruzione genera un intenzionale battibecco tra i fratelli Busch coinvolgendo il più tranquillo Serkin. Il focus è la difficile scelta del programma tanto che, in mancanza di un direttore, il pianista, rovistando tra diverse e significative partiture, prende il coraggio per proporne una interessante varietà pur di favorire l’accordo. Trattasi di un normale confronto di idee che ben presto, dicendola con Goethe, sfocerà in una «raffinata conversazione tra amici attraverso i suoni». Mentre i fratelli Busch suonano in piedi lanciandosi ammiccanti sguardi e lasciando tutto il resto al senso della musica, Serkin segue la scena con sguardi compiaciuti inserendosi in una naturale e disinvolta prestazione teatrale tanto da stupire il pubblico ormai predisposto alle sorprese. Siamo all’interno dell’atelier Beethoven e mentre il pianista accenna ad una significativa composizione interviene il violinista facendo notare la presenza di alcuni problemi tecnici. In un laboratorio la ricerca è condizione necessaria per trovare la soluzione e quindi tra commenti e quesiti sul raggiungimento dell’obiettivo come «creando la bellezza che un artista combatte» o «cosa c’è bisogno in questo momento storico»? essi sono passati ad una ‘rapsodica rassegna’ con l’esecuzione dell’Allegro vivace dal Trio in sol maggiore op. 1n. 2 e il Poco sostenuto- Allego ma non troppo dal Trio in mi bemolle maggiore op. 70 n.2, contrappuntati da precise puntualizzazioni. Finalmente, vagliati alcuni aspetti linguistici beethoveniani, i tre concordano per il Trio in si bemolle maggiore op. 97 “L’Arciduca”. L’eleganza del suono del pianoforte avvolge l’ascoltatore fin dall’inizio dell’Allegro moderato. Si percepisce una deliziosa proposta tematica, annunciata con una cantabilità distinta ed espressiva dalla mano destra del pianoforte, aprendo subito al delicato e raffinato dialogo degli archi. Il resto è puro gaudio sonoro per l’inventio e per l’elaborazione dei temi all’interno di una partitura che guarda all’ampliamento della forma, all’equilibrio e alla significativa concertazione tanto da svelarne la sua inconfondibile cifra stilistica. Agli applausi i musicisti-attori hanno risposto con un fuori programma ad hoc: Introduzione e Variazioni per trio con pianoforte in sol maggiore, op. 121a sul lied “Ich bin der Schneider Kakadu” di Wenzel Müller. Con il tema ricavato dal lied, come riportato nel titolo e preso dal Singspiel di Wenzel Müller, con le variazioni del melos che guardano più ai modelli del XVIII secolo, si è ascoltato un altro microcosmo beethoveniano.Ancora una volta le vibranti corde del Trio Metamorphosi hanno trovato la loro autentica Verklärung (trasfigurazione) colma di emozioni palpitanti in un affascinante viaggio ove si incontrano sublimi evocazioni di una mente musicale rivoluzionaria ed inquieta.