Como, Teatro Sociale: “Luisa Miller”

Como, Teatro Sociale, Stagione Notte 2023/24
LUISA MILLER”
Melodramma tragico in tre atti di Salvatore Cammarano, dal dramma “Kabale und Liebe” di Friedrich Schiller
Musica di Giuseppe Verdi
Il conte di Walter CRISTIAN SAITTA
Rodolfo KAZUKI YOSHIDA
Federica AOXUE ZHU
Wurm ALBERTO COMES
Miller GANGSOON KIM
Luisa ALESSIA PANZA
Laura CATERINA MELDOLESI
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano
Coro di OperaLombardia
Direttore Carlo Goldstein
Maestro del Coro Diego Maccagnola
Regia Frédéric Roels
Scene e costumi Lionel Lesire
Luci Laurent Castaingt
Nuovo allestimento in coproduzione Teatri di OperaLombardia, Opéra Grand Avignon, Opéra de Tours, Opera Slaska Bytom
Como, 27 ottobre 2023
La “Luisa Miller” in scena nel circuito lombardo questa stagione è uno spettacolo cui assistere ad occhi chiusi: la compagine musicale della produzione, infatti, gode di alcune voci davvero meritevoli di menzione. La venticinquenne Alessia Panza, vincitrice del ruolo tramite il concorso AsLiCo, è un soprano lirico pieno, che negli anni a venire potrebbe misurarsi anche con ruoli più spinti. Per ora ha un mezzo notevolmente potente, ricchissimo di armonici, che forgia con buona tecnica; le agilità ci sono – per quanto sia chiaro che non siano esattamente il suo mezzo d’elezione – e l’attenzione al fraseggio anche, benché a volte la linea di canto risulti un po’ disgregata; ma, come si suol dire, “la ragazza si farà”, perché il talento è adamantino. Accanto a lei, nel ruolo di Rodolfo, sa mettersi in luce il giapponese Kazuki Yoshida: il tenore ha un bel colore e una buona linea di canto, con attenzione anche al piano espressivo; forse non “verdiana”, ma almeno regge il non facile ruolo con professionalità. Pure Gangsoon Kim (Miller) emerge positivamente, soprattutto per la vocalità tonda e robusta di baritono “pieno”: nel suo caso la qualità del suono e la dizione scolpita compensano un fraseggio un po’ monocorde. Auxue Zhu (Federica), voce che quest’anno accompagna molte produzioni di OperaLombardia, si riconferma mezzosoprano di spessore, anche se questo ruolo non è propriamente nelle sue corde, per la scrittura più contraltile. Alberto Comes, dimostra, col suo Wurm, di essere giunto a una certa maturità stilistico-espressiva, ravvisabile in una bella omogeneità della linea di canto: la voce è scura, l’emissione naturale, la tecnica solida, il fraseggio forse un po’ manierato, ma comunque apprezzabile. Se un premio per il più “tonante” esistesse, certo lo vincerebbe Cristian Saitta (il Conte di Walter), basso che si muove nei gravi con grande disinvoltura e, per l’appunto, proiezione dalle grandi volumetrie; purtroppo, però, non sempre questa vocalità debordante ci pare controllata e talvolta Saitta si trova a corto di fiato o ad ingolare. Infine, Caterina Meldolesi – che si scambia nella matinée domenicale il ruolo con Alessia Panza – è una brava Laura, dalla vocalità piena e ben calibrata. Il Coro di OperaLombardia fornisce, qui, una delle sue prove più luminose e positivamente impressionanti, sia per omogeneità dei suoni, sia per coesione scenica – complimenti al maestro Diego Maccagnola. La direzione d’orchestra di Carlo Goldstein, invece, non può dirsi riuscita del tutto: il maestro dà una resa del primo atto francamente poco omogenea, nervosa, personale al limite con l’arbitrario – e alcune discrasie con la scena si notano; dal secondo in poi, tuttavia, sembra trovare una cifra più misurata, la concertazione si fa più distesa senza perdere d’intensità, e riusciamo anche a godere della mirabile gamma coloristica della partitura verdiana – giacchè, è bene ricordarlo, “Luisa Miller” è una grande opera di Verdi, per nulla “minore” o inferiore alla trilogia popolare. Ebbene, tutto ciò lo percepiamo ad occhi chiusi; se invece apriamo gli occhi sulla scena approntata da Lionel Lesire per decoro e costumi e Frédéric Roels per la regia, gran parte di questo entusiasmo s’affievolisce: troppe, infatti, sono le scelte arbitrarie o le letture erronee che il team d’oltralpe opera sul capolavoro verdiano. Nell’ordine ci troviamo davanti: un coro vestito in maniera attuale, con mantelli di velluto simil-medioevo e fucili da caccia moderni; un Conte con uno smoking color oro e una cravatta rossa; una Federica biondo platino in velluto viola e pantaloni; una Laura pronta per un funerale di provincia; un Miller vestito genericamente da “montanaro” moderno; un Rodolfo con camicia scollata e maniche a balze, che manco il Duca di Mantova; una Luisa genericamente paesana, ma con un bel corsetto di pelle rossiccia (perché quel tocco fetish non ce lo si fa mancare mai); e, soprattutto, un Wurm un po’ Cappellaio Matto, un po’ Grillo Parlante, tutto in velluto rosso, e con tanto di imbarazzante parrucca scarlatta. L’unica grande domanda – che resta senza risposta – è “Perchè?”: il regista, nelle note, dice che si vuole cercare una mescolanza di medievale e contemporaneo perché nemmeno Verdi dà delle indicazioni precise a riguardo, ma questo non si capisce da dove lo tiri fuori, giacché Cammarano (il librettista) trasporta nel Medioevo ciò che Schiller poneva nel suo presente (cioè fra Sette e Ottocento). Quindi c’erano almeno tre vie di coerenza (Medioevo, Primo Ottocento, contemporaneità) che non sono state deliberatemente imboccate, e l’effetto è tra lo straniante e il ridicolo. La scena è più gradevole, composta di quinte modulari semovibili disegnate a matita che creano spazi diversi a seconda che ci si trovi in casa di Miller o del Conte; peccato che il disegno a matita sia un palazzo dal sapore rinascimentale/veneziano, ma ormai capiamo che questo non conta. Conta, tuttavia, che non sia prevista quasi alcuna attrezzeria, per cui molti personaggi si siedono per terra, e il bicchiere col veleno viene porto a Rodolfo da un figurante attraverso una finestrella (ci manca solo che dica “la vuoi una mela, piccina?”). Insomma un pasticcio, che andrebbe radicalmente rivisto nei costumi, e potrebbe essere migliorato con pochi accorgimenti nelle scene. Peccato. Foto Alessia Santambrogio