Como, Teatro Sociale: “Die Zauberflöte”

Como, Teatro Sociale, Stagione Notte 2023/24
DIE ZAUBERFLÖTE” (“Il flauto magico”)
Singspiel in due atti su libretto di Emanuel Schikaneder, con dialoghi italiani a cura di Stefano Simone Pintor
Musica  Wolfgang Amadeus Mozart
Tamino FRANCESCO LUCII
Pamina ELISA VERZIER
Astrifiammante, Regina della Notte NICOLE WACKER
Papageno PASQUALE GRECO
Papagena CHIARA FIORANI
Sarastro RENZO RAN
Monostatos LORENZO MARTELLI
Prima dama IRENE CELLE
Seconda dama J
ULIA HELENA BARNHART
Terza dama AOXUE ZHU
Oratore/Primo sacerdote/Secondo armigero ALBERTO COMES
Secondo sacerdote/Primo armigero GIACOMO LEONE
Tre Geni GIULIA ADDAMIANO, FRANCESCO BESCHI, TEOFANA PRILIPCEANU
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Coro di OperaLombardia
Coro Voci Bianche del Teatro Sociale di Como
Direttore James Meena
Maestro del Coro e Coro Voci Bianche Massimo Fiocchi Malaspina
Regia, scene e costumi Ivan Stefanutti
Luci Emanuele Agliati
Nuovo allestimento in coproduzione Teatri di OperaLombardia, Fondazione Teatro Verdi di Trieste e Opera Carolina
Como, 28 ottobre 2023
È con piacere che assistiamo alla prima di stagione del Teatro Sociale di Como, uno “Zauberflöte” generalmente ben cantato, ben diretto, e messo in scena in maniera semplice ed efficace. Il cast, per lo più giovane, di questa produzione, è stato in parte selezionato con il concorso che AsLiCo, storica associazione che co-gestisce il teatro, da anni organizza, un vero appuntamento di fama internazionale da non perdere: ne sono emersi vincitori Pasquale Greco, baritono pugliese di stanza a Vienna, Nicole Wacker, soprano svizzero, e il tenore Lorenzo Martelli, rispettivamente un Papageno, un’Astrifiammante e un Monostatos di buona presenza scenica e di matura musicalità, nonostante le giovani età. Greco ha un colore non troppo scuro capace di ben adattarsi al fraseggio e al carattere indubbiamente buffo che gli pertiene, ma pure nei momenti di maggiore afflato lirico sa destreggiarsi sfoderando buona tecnica e portamenti languidi à l’italienne. Nicole Wacker, dal canto suo, è senz’altro la sorpresa della serata: la piacevolezza del timbro fresco (ma non semplicemente giovane) si combina con maestria alla facilità nel canto di coloratura; l’intonazione non vacilla mai, anche nei passaggi più ardui – la cadenza della prima aria, i picchiettati della seconda –, ma il suono non perde mai lo smalto, riportandoci alla mente certi soprani francesi dei tempi che furono, come la Pons o la Robin. Martelli, dotato di un mezzo di ragguardevole estensione e forza, sa metterlo bene al servizio del personaggio, unendovi anche una buona predisposizione alla scena. Accanto a questi tre giovani talenti, troviamo almeno altri due interpreti che possono dirsi soddisfatti della recita: Elisa Verzier, nel ruolo di Pamina, ha sfoderato buona padronanza tecnica e il corpo vocale morbido e vellutato che già l’anno passato apprezzammo nella sua Donna Anna; scenicamente la Verzier è bella, presente al ruolo, con una commovente lettura di  “Ach! Ich fühl’s“. Il basso d’origine cinese Renzo Ran è stato pure un Sarastro ammirabile, padrone di una bella e omogenea linea di canto sulla quale facilmente modula un colorato fraseggio. Senza dubbio partecipe scenicamente, sebbene vocalmente un po’ diafano, si è dimostrato Francesco Lucii nel ruolo di Tamino – ma qui ci sarebbe da aprire una vera querelle, su quanto Tamino sia un ruolo per tenore leggero e quanto, invece, necessiti di un timbro più lirico. È evidente che Lucii abbia una vocalità del primo tipo, e con essa costruisce un ruolo vocale fraseggiato con grazia, forse un po’ esangue, ma correttissimo per intonazione e tecnica. Anche i ruoli di lato hanno saputo mettersi bene in luce: Julia Helena Bernhart e Auxue Zhu (seconda e terza dama di ricca vocalità), Alberto Comes e Giacomo Leone, intonati, sonori e solenni nei diversi ruoli assegnati loro, e Chiara Fiorani, una Papagena senz’altro ben cantata, ma soprattutto ben recitata. Meno brillante la performance della Prima Dama Irene Celle e soprattuto – spiace dirlo – dei tre genietti, due dei quali quasi inudibili, e spesso dall’intonazione alquanto labile. La direzione dell’orchestra è stata impeccabile: James Meena, dall’Opera Carolina degli States, ha saputo offrire con gesto saldo una concertazione nell’alveo della tradizione, con dinamiche equilibratissime al servizio della scena, a garanzia di uniformità con la buca. Buona anche la prova – di per sé non certo ponderosa – del coro, istruito dal maestro Massimo Fiocchi Malaspina. Il progetto creativo, affidato a Ivan Stefanutti, ricrea giustamente l’esotismo delle turcherie, così di moda a cavallo tra XVIII e XIX secolo: India, Giappone, Cina e Persia si fondono in Occidente in un unico immaginario orientale, sensuale e fiabesco, mistico e fantastico allo stesso tempo. I semplici giochi di colore – caldi per il “partito” del Sole, ossia Sarastro, freddi per quello della Luna, Astrifiammante – creano efficaci contrasti, e il rimando a iconografie mainstream (come “Le Mille e una Notte”, ma anche “La Storia Infinita” di Ende) si accattiva il gusto dello spettatore. L’unica piccola pecca della produzione giace nella scelta di recitare le scene in italiano, e non in tedesco, sia per ragioni di bellezza della parola originale (a volte tristemente sminuita nell’adattamento), sia di correttezza filologica: tuttavia capiamo che la missione di teatri come quelli della rete lombarda sia in primis divulgativa, e, probabilmente, proporre i recitati in tedesco avrebbe allontanato, e non avvicinato il pubblico. Magari in futuro, se si volesse riprendere questa godibilissima produzione, si potrebbero alternare le due versioni, in due serate diverse. Per ora, comunque, bene così. Foto Alessia Santambrogio