Bergamo, Teatro Donizeti, Stagione 2023/24
“RAFFA IN THE SKY”
Fantaopera in due atti su libretto di Renata Ciaravino e Alberto Mattioli, da un’idea di Francesco Micheli.
Musica Lamberto Curtoni
Raffaella Carrà CHIARA DELLO IACOVO
Apollo XI/ La maestra russa/ Il parrucchiere delle dive DAVE MONACO
La nonna/ L’ostetrica/ Luca GAIA PETRONE
Carmela CARMELA REMIGIO
Fidelius/ La star di Hollywood/ Il grande censore/ L’impresario della tivù ROBERTO LORENZI
Vito HARIS ANDRIANOS
Orchestra Donizetti Opera
Ensemble Sentieri Selvaggi
Coro I Piccoli Musici di Casazza
Direttore Carlo Boccadoro
Maestro del Coro Mario Mora
Regia Francesco Micheli
Scene Edoardo Sanchi
Costumi Alessio Rosati
Coreografia Mattia Agatiello
Light design Alessandro Andreoli
Nuova commissione della Fondazione Teatro Donizetti di Bergamo per Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023
Bergamo, 06 ottobre 2023
Parlare di “Raffa in the sky” vuol dire parlare di una vita artistica – giacché non si parla, giustamente, del suo côté privato – che risiede in molti sogni: quello dei librettisti Renata Ciaravino e Alberto Mattioli in primis, che l’hanno immaginata creatura aliena che preferisce la vita terrena all’immortalità (novella Rusalka), ma anche guida della riscossa del costume del Belpaese, tra nuovi modelli di femminilità e sostegno alla comunità queer; il sogno del compositore Lamberto Curtoni, che confeziona una rapsodia bella e godibile tra opera contemporanea (di assetto comunque tonale) e una manciata dei più famosi pezzi della Carrà, che (sorpresa per i sine nobilitate) dimostrano un’estrema adattabilità a un linguaggio musicale, quello sinfonico, spesso lontanissimo dalla loro origine; il sogno di Raffaella Carrà, quella vera, che non ha mai smesso per tutta la vita di promuovere un’idea di cultura olistica, in grado di comprendere senza snaturare l’alto e il basso – il balletto con l’Eurovision, il garbo con lo spettacolo, il popolare con l’intellettuale, la verità con la finzione; infine, il sogno del pubblico, che di certo ha in simpatia la Carrà (alcuni ad un grado di adorazione), e si pone come giudice molto più inflessibile, nei confronti dell’opera, di quanto faccia il pubblico de “La traviata” o “La Bohème”. Questi sogni divengono dunque realtà al Teatro Donizetti di Bergamo? Ebbene, sì. “Raffa in the sky” è un’operazione riuscitissima, in virtù del totale servizio reso alla figura artistica di Raffaella Carrà, ma anche della formula intelligente di cui si compone, un mélange di recitazione, danza, canto leggero e opera lirica equilibratissimo e spesso illuminante per l’estrema naturalezza col quale passa da un genere all’altro, da un registro all’altro. E così “Maga maghella” diventa un coro polifonico di voci bianche – uno dei componenti musicali peraltro più d’impatto dell’intera produzione, con diversi interventi sonori e omogenei, ben istruito dal maestro Mario Mora; “Tanti auguri” inizia con la prima strofa e il primo ritornello cantati su un unico accordo d’archi che ricorda l’ouverture di “Parsifal”; la rara “Gnam gnam” richiama echi belcantistici; “Satana”, originariamente una salsa, diventa un recitativo esasperato. L’éscamotage di una Raffaella “spirito alieno” proveniente dal pianeta Arkadia e incarnatosi per portare pace e bellezza al mondo non annoia, poiché molto misurato: è chiaro che il pubblico non aspetti altro che i pezzi della sua beniamina, ma è altrettanto chiaro che ci fosse bisogno di un contesto narrativo in cui inserirli; parimenti azzeccato è il parallelismo con la vita di una famiglia italiana media che proprio nel ‘71 – anno di debutto della Raffa nazionale a Canzonissima – si forma: Carmela (soprano) e Vito (baritono) sono due giovani rappresentanti della working class italica, benedetti dalla nascita di Luca (mezzosoprano), maschietto che crescendo tra un disco della Carrà e un poster di Miguel Bosè scoprirà la propria diversità. La morale della favola, comunque, c’è, ed è la migliore e la meno scontata: nulla è profondo, di fronte alla fine, come la leggerezza, che Raffaella regala al mondo. Questa doppia vicenda trova nella regia di Francesco Micheli una realizzazione semplice quanto efficace, dai tratti almodovariani: a dominare tutto un meraviglioso ciclorama di filo d’argento, che si chiude in un identico sipario sul quale all’inizio del secondo atto si proiettano immagini della Carrà – generando più di una lacrimuccia nel pubblico. Perfettamente aderente all’attività scenica si è mostrata la direzione del maestro Carlo Boccadoro, che con piglio energico, ma grande senso di omogeneità tra le parti orchestrali, ci aiuta ad entrare anche nel tessuto musicale dell’opera, oltre che a supportare quello drammatico. Gli interpreti tutti all’altezza e soprattutto straordinariamente coinvolti scenicamente: una Carmela Remigio così sexy e divertita non l’avevamo ancora vista, ancorché in buona forma vocale nel ruolo della sua omonima – che, va detto, non mostra una scrittura vocale particolarmente complessa. Haris Andrianos, nel ruolo di Vito, è altrettanto convincente e vero trascinatore della replica; meno a fuoco Gaia Petrone (Luca), ben sostenuta negli acuti ma un po’ opaca nei centri. Bravi gli interpreti dei personaggi “arkadiani”, sia il tenore Dave Monaco nel ruolo del sovrano di Arkadia, Apollo XI – voce di tenore lirico “leggero” al servizio di un ruolo dalla tessitura per nulla scontata, caratterizzato da diversi arditi salti di nota – sia il basso Roberto Lorenzi, che interpreta il “cattivo” Fidelius, convinto che l’arte sia “roba seria” e che nulla abbia a che vedere con la comunicativa di Raffaella: di Lorenzi apprezziamo più di tutto l’estrema duttilità vocale, che lo porta ad interpretare quattro ruoli nell’arco della serata (gli ostacoli che si frappongono tra Raffaella e il suo sogno). Qualche riserva abbiamo, infine, sulla cantante pop Chiara Dello Iacovo per interpretare la Carrà: certamente la sua è una prova “tosta”, tra danza, canto e recitazione, quasi perennemente in scena, con cambi d’abito spesso fulminanti, e si impone come la più apprezzata dal pubblico; tuttavia sovente la cantante Dello Iacovo prevale, con la sua timbratura graffiata e il fraseggio jazz, sul personaggio Carrà, dandone una resa straniante e vocalmente azzardata – è il rischio che si corre nel passare dal cantare le canzoni proprie all’interpretare un ruolo, che sovente può non avere il medesimo stile vocale dell’interprete (ricordo, ad esempio, il contralto soul afroamericano Toni Braxton, che si trasformò in mezzosopranino leggero per interpretare “Beauty and the Beast” a Broadway, per poi impiegare mesi e mesi per recuperare il suo timbro caratteristico e tornare a incidere album). La Dello Iacovo si sta confrontando con un ruolo vocalmente distante dal suo stile – d’altronde la Carrà aveva un’impostazione vocale piuttosto standard, senza particolari guizzi, cui preferiva legati di tradizione e slanci patetici – e capiamo perfettamente la sua difficoltà, giacché togliere da un’interpretazione è sempre più difficile di aggiungere. Probabilmente, se avrà la possibilità di replicare ancora il ruolo, saprà approfondirlo sempre più e perfezionarlo anche vocalmente. E, francamente, speriamo che ci sia occasione per rivedere sui palchi nazionali questo “Raffa in the sky”, non solo per il tributo più che meritato alla Raffa Nazionale (ebbene sì, gli adoranti, in quel pubblico, eravamo noi), ma anche perché si tratta di un’operazione accessibile ai più che può accendere un faro sulla tanto bistrattata opera contemporanea italiana e aiutarne lo sdoganamento. Foto Gianfranco Rota