Venezia, Scuola Grande di San Giovanni Evangelista: Festival “Mondi riflessi”, 23 settembre-27 ottobre 2023
“PIANO + PIANO” Concerto per due pianoforti
Pianoforte Guillaume Bellom, Ismaël Margain
Camille Saint-Saëns: “La Princesse jaune”, op. 30 – Ouverture; Caprice arabe, op. 96; Jules Massenet: “Le Roi de Lahore”: Ballet; Mel Bonis: “Le Songe de Cléopâtre”, op. 180/1; Cécile Chaminade: “La Sévillane”, op. 19: Ouverture; Claude Debussy: “Lindaraja”; Emmanuel Chabrier: “España”; Maurice Ravel: “Rapsodie espagnole”
Venezia, 24 settembre 2023
Un’altra avventura sonora, alla scoperta di preziose rarità – promossa dal Palazzetto Bru Zane-Centre de Musique Romantique Française, nell’ambito del Festiva “Mondi riflessi” – ha esercitato tutto il suo fascino sul pubblico, che gremiva la sontuosa Sala Capitolare della Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, a Venezia. Lo spazio adibito a palcoscenico mostrava, appaiati, due pianoforti a coda: un abbinamento piuttosto insolito ai giorni nostri, ma diffuso nell’Ottocento. Due valorosi concertisti, Guillaume Bellom e Ismaël Margain, ci hanno trasportato – in un viaggio mirabolante da Oriente a Occidente: dal Giappone alla Spagna –, sulle note di compositori francesi di fine Ottocento, i quali, rielaborando “alla francese” melodie popolari di paesi “esotici”, aprivano intanto la strada verso la modernità. Tra i titoli in programma non potevano mancare due brani di Camille Saint-Saëns, un autore che – al pari di Félicien David – era solito annotare, durante i suoi viaggi per il mondo, melodie e ritmi, da utilizzare per conferire alle proprie partiture un “colore locale” più o meno autentico. Così nell’Ouverture da La Pricesse jaune (1872), si sono colte, anche nella trascrizione per due pianoforti, realizzata da Gabriel Fauré – complice il tocco sapiente dei giovani esecutori – sonorità giapponesizzanti, a testimonianza dell’infatuazione per l’arte nipponica, diffusasi in Francia nel Secondo Ottocento. Un sapore arabeggiante – peraltro tenue – si coglieva, invece, nel Caprice arabe (1894), ispirato a melodie tradizionali maghrebine, le quali – sottoposte a un raffinato trattamento contrappuntistico e rielaborate con la scrittura perlacea, tipica del maestro – assumono qui una veste occidentale. Un Oriente ricreato in un linguaggio, che guarda più che altro alla musica occidentale, veniva evocato da Ballet da Le Roi de Lahore (1877) di Jules Massenet, trascritto da Renaud de Vilbac; da Le Songe de Cléopâtre di Mel Bonis – caratterizzato da ricercate armonie, languidi ritmi, sensualità ed esotismo – che, per la scrittura “impressionista” attesta l’influsso di Debussy, se non addirittura lo stile del giovane Gershwin (quello della Rhapsody in Blue, del 1924); dall’Ouverture da La Sévillane (1882) di Cécile Chaminade – nella trascrizione della stessa compositrice – molto apprezzata anche all’epoca per per la sua originalità. Ovviamente si è dato spazio, in questa intrigante rassegna, al fascino esercitato sulla musica francese dal folclore spagnolo. Lindaraja di Claude Debussy, percorso da un vivace motivo ritmico, ha incantato per le armonie e gli arabeschi, stilemi tipici della scrittura debussyana, ad evocare uno dei patii del palazzo dell’Alhambra. Strepitosa è stata l’esecuzione, nella trascrizione dell’autore, di España (1883) di Emmanuel Chabrier, che ha testimoniato di quanto egli fosse affascinato dall’inventiva ritmica e melodica del repertorio popolare spagnolo, di cui annotò molti spunti musicali, durante il suo soggiorno in quella terra. Nell’esecuzione di questa rapsodia in un movimento, aperta dall’imitazione del pizzicare delle corde della chitarra, il giusto accento, di volta in volta impresso da Guillaume Bellom e Ismaël Margain, ha esaltato il carattere naturalmente danzante della composizione, dato dal tempo di 3/8 e dal ritmo sincopato, oltre ad evidenziare i tratti distintivi di ognuno dei suoi due temi principali: il primo – brillante e ridente – ispirato alla jota aragonese, il secondo – dalle curve aggraziate e sensuali – modellato sulla malagueña del sud della penisola. Carica di energia è risultata l’interpretazione della Rapsodie espagnole (1908) di Maurice Ravel (trascritta dall’autore), dove i due pianisti hanno brillato nell’affrontare con assoluta destrezza i ritmi travolgenti, le sonorità ora scintillanti ora trasparenti, gli arpeggi particolarmente estesi, ad evocare una mitica Spagna: dall’iniziale misterioso Prélude à la nuit, tra fremiti e slanci voluttuosi, fino all’effervescenza di una festa diurna, evocata nell’ultimo movimento, Feria, sprizzane un’energia dionisiaca dopo l’indolente e malinconica Habanera, il solo movimento a non contenere il motivo di quattro note (fa-mi-re-do♯), che è risuonato in modo ossessivo negli altri tre. E con questo finale travolgente si è concluso il secondo viaggio tra le note, alla scoperta di arcani “Mondi riflessi”, suscitando l’entusiasmo del pubblico, che si è meritato un fuoriprogramma raveliano: Laideronnette, Impératrice des Pagodes da Ma mére l’Oye.