Firenze, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, Autunno 2023
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Zubin Mehta
Maestro del Coro Lorenzo Fratini
Soprano Rosalia Cíd
Mezzosoprano Xenia Tasiouvaras
Tenore Lorenzo Martelli
Basso Lodovico Filippo Ravizza
Wolfgang Amadeus Mozart: “Le nozze di Figaro”, Ouverture; Sinfonia in re maggiore K. 385 Haffner; Krönungsmesse in do maggiore K. 317 per soli, coro e orchestra
Firenze, 13 settembre 2023
Con il concerto inaugurale «Bentornati al Maggio!» è iniziata la stagione autunnale del Teatro fiorentino. Protagonista la musica di Wolfgang Amadeus Mozart nell’interpretazione dell’Orchestra e del Coro diretti dal maestro Zubin Metha. Un programma monografico che annunciava una serata all’insegna della bellezza ideale di raffaelliana memoria. Nella Sala grande, gremitissima di pubblico delle grandi occasioni, si notavano presenze significative come quella di Gianmarco Mazzi (sottosegretario alla Cultura), di Dario Nardella (sindaco della città), di Eike Schmidt (direttore degli Uffizi) e di altre personalità del mondo della politica e della cultura. Spente le luci, nel pianissimo dell’orchestra e in un Presto elettrizzante, già dalle prime battute l’uditorio si è lasciato coinvolgere dall’Ouverture da Le nozze di Figaro (prima opera della trilogia, insieme al Don Giovanni e al Così fan tutte). L’impatto percettivo, restituendo stratificazioni trasparenti dei suoni, è stato un’alternanza di luci e ombre, simile a quella nell’opera e nella vita di Mozart. I fagotti all’unisono, insieme ai violoncelli, contrappuntati dalle brevi linee degli altri legni e avvolti dagli archi, oltre a consegnare un colore particolare hanno dato occasione di poter apprezzare il raffinato equilibrio di un’orchestra capace di stupire. L’Ouverture, oltre ad ‘aprire’ il concerto, rappresentava anche un implicito riferimento al riuscito connubio Mozart-Da Ponte senza nascondere l’intenzione di offrire un caleidoscopio di sentimenti e di emozioni che trasuda in un’opera che non nasconde anche istanze rivoluzionarie. Ecco allora che lo stesso titolo augurale del concerto, autentico contrappunto di sentimenti, può ricordare l’amore descritto nella ballata «Ben venga maggio» (Poliziano) in cui, nel giorno di Calendimaggio a Firenze i giovani, per conquistare le loro innamorate, offrivano rami fioriti. Il «Ben venga primavera, /che vuol l’uom s’innamori», poteva anche intendersi come invito, dopo un periodo di criticità, ad ‘innamorarsi’ nuovamente dell’istituzione teatrale, ritornando ai concerti. Dopo la prima ‘perla’ mozartiana è stata la volta della Sinfonia in re maggiore K 385 (Haffner). Stesso organico orchestrale (coppia dei legni, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi), stessa tonalità ma con destinazione diversa. La genesi della composizione risale al luglio 1782 quando Wolfgang riceve l’invito da suo padre a comporre rapidamente un’altra Serenata per la famiglia Haffner. L’occasione di scrivere in gran fretta spinge Mozart (febbraio 1783) a riprendere la precedente Serenata e ‘rimaneggiarla’ (elimina la Marcia ed uno dei due Minuetti) tanto che il mese successivo è già pronta per l’esecuzione nella forma di Sinfonia. È sempre l’incipit a colpire l’attenzione del pubblico: l’avvio dell’Allegro con spirito, a piena orchestra, è un’esplosione di suoni con i violini che, dal primo salto di due ottave, continuano l’esposizione di un tema che, grazie al ritmo puntato, traghetta l’ascoltatore verso quell’idea francese del ‘700 che vuole sorprendere. Tema talmente funzionale per la sua destinazione che, secondo molti commentatori, non vi era necessità di presentare l’altro tema elegiaco (in realtà non mancano altre brevi idee transitorie di carattere diverso) preferendo rimanere per l’intero movimento all’interno di un’elaborazione più contrappuntistica. Nella lettura caleidoscopica della partitura da parte di Mehta non è sfuggita l’intenzione di continuità nel carattere del movimento da eseguire, secondo una lettera di Mozart, «con fuoco». Nell’Andante, unico movimento in cui cambia tonalità (sol maggiore), è emersa una bella cantabilità dei primi violini nel guidare l’elegante melos accompagnato dalla precisa pulsazione delle semicrome dei secondi; poi il passaggio del testimone ai secondi e alle viole per la seconda idea, più gioiosa e serena. Non è passata inosservata la perfetta intonazione nella fascia sonora dei legni, insieme ai corni, sia all’inizio che nella parte centrale e il bellissimo poco ritenuto sull’armonia di dominante (ultimo ‘ricamo’ di 4 semicrome dei violini primi) prima della Ripresa. Al Menuetto di chiara derivazione haydniana seguiva la leggerezza del Trio ove il calibrato connubio di oboi, fagotti, primi violini e viole dei musicisti riusciva ad offrire un colore suggestivo di elegiaco ‘restauro’ sonoro. Il successivo reinserimento di trombe e timpani, oltre a dichiarare la consueta forma (A-B-A), annunciava il ritorno al Menuetto da capo, di una lettura elegante della partitura. Il Finale è stato una commistione di stupore e sorpresa. Tenendo conto dell’indicazione dello stesso Mozart a «eseguirlo il più presto possibile» poteva esserci il rischio di qualche ‘sbavatura’ dell’orchestra che invece non c’è stata. A tenere alta l’attenzione del pubblico, grazie all’ipnotico controllo dell’orchestra da parte di Metha, è il tema iniziale all’unisono e in ottave (come accade nel I movimento), ora solo negli archi. Il piano del suggestivo esordio, senza cedere alla tentazione di un crescendo, è divenuto attesa enfatizzante per l’imminente esplosione a tutta orchestra. Quasi piccoli tableaux vivants sono apparsi in itinere i vari episodi, tanto da identificarsi in una sorta di Giano bifronte (forma sonata-rondò). Ad ammaliare i presenti la magia della moltitudine dei suoni, le luminose sonorità dei fiati e l’intervento dei timpani nel sottolineare la precisa punteggiatura tra tonica e dominante della tonalità d’impianto mentre, soprattutto ai cultori mozartiani, non è sfuggito l’inizio con reminiscenze dell’aria di Osmin in Entführung, (III atto). A chiudere il programma la Krönung-Messe in do maggiore K. 317 per soli, coro e orchestra composta nel 1779 quando il musicista aveva 23 anni e viveva a Salisburgo. Chiaro riferimento alla messa in latino con la classica successione Kyrie – Gloria – Credo – Sanctus – Benedictus – Agnus Dei, probabilmente venne concepita per la liturgia pasquale e, nella poca chiarezza relativa all’occasione della scrittura, riportiamo la tesi di molti studiosi nell’attribuire il titolo come anniversario dell’Incoronazione (1751) dell’immagine miracolosa della Vergine. L’opera, dai forti connotati corali, ha evidenziato duttilità vocale, varietà di colori unitamente a particolari sfumature grazie all’interpretazione del maestro del coro Lorenzo Fratini. Altrettanto positiva la prova delle giovani voci soliste dell’Accademia del Maggio (soprano: Rosalia Cíd, mezzosoprano: Xenia Tsiouvaras, tenore: Lorenzo Martelli, basso: Lodovico Filippo Ravizza), particolarmente apprezzate nel canto sotto voce del Benedictus, senza tralasciare la leggerezza vocale e l’incantevole ispirazione nell’Agnus Dei del soprano. Anche in questa occasione è emersa la lezione di Metha, dominus della concertazione ove, di volta in volta, è riuscito a dosare e a valorizzare ogni musicista che in questo contesto è diventato personaggio della mutevole religiosità e teatralità mozartiana. Alla maestosità del Tutti contribuiva anche l’organico strumentale con la coppia di oboi, corni e trombe ai quali si aggiungevano 3 tromboni, timpani, organo e archi. Lo stesso posizionamento di alcuni strumenti (ottoni al centro dietro gli oboi, il fagotto nell’area degli strumenti gravi necessari per assolvere il ruolo di basso continuo) corrispondeva ad una concezione acustico-spaziale del suono intuita dalla partitura. Il risultato della serata è stato un grande evento culturale firmato dalla versatile bacchetta del maestro Metha in cui lo stupore e l’ammirazione ben si armonizzavano con la bellezza della città toscana, la stessa che ritorna ‘in eco’ nelle parole del padre di Mozart: «Vorrei che tu potessi vedere Firenze, i suoi dintorni e la posizione di questa città, diresti che è qui che si deve vivere e morire» (da una lettera alla moglie).