Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia
FELICE BARNABEI. CENTUM DEINDE CENTUM ALLE RADICI DELL’ARCHEOLOGIA NAZIONALE
A cura di Maria Paola Guidobaldi, Valentino Nizzo e Antonietta Simonelli
Prorogata sino al 30 Agosto 2023
Questa mostra è dedicata al fondatore del Museo di Villa Giulia, Felice Barnabei, figura di spicco nell’ambito della Direzione generale dei Musei e degli Scavi di Antichità (1875-1900), Deputato alla Camera del Regno d’Italia dal 1899 al 1917 (XX-XXIV Legislatura) per i Collegi di Teramo e di Atri, Consigliere di Stato dal 1907, Presidente onorario di sezione del Consiglio di Stato dal 14 gennaio 1917.Si inserisce nell’ambito delle celebrazioni per il primo centenario della sua morte (29 ottobre 1922), avviate dal Museo di Villa Giulia con l’esposizione “Felice Barnabei. Gocce di memorie private” (9 settembre – 10 ottobre 2021), incentrata su un significativo nucleo di materiali ricevuti in dono da alcuni suoi generosi discendenti. La ricorrenza del Centenario è un’occasione per rendere onore e valorizzare colui che ha legato il proprio nome e la propria intelligente ed energica azione al Museo di Villa Giulia, la cui fondazione nel 1889 come sezione extraurbana del Museo Nazionale Romano si colloca nel fervido e contrastato clima dell’Italia post unitaria, in cui si gettarono le basi metodologiche e legislative dell’Archeologia Nazionale. Grazie anche al consistente apporto di tante memorie familiari (foto, documenti, lettere, biglietti da visita, oggetti) conservate dai suoi discendenti diretti e indiretti e donate o comunque rese disponibili, questa mostra è un racconto dell’articolata vicenda privata e istituzionale di Felice Barnabei, ricca di successi ma anche di amarezze e in cui la storia personale di un uomo fuori dal comune si intreccia e per certi versi determina la Storia con la “S” maiuscola. La collezione archeologica di Felice Barnabei, di cui una parte, donata al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia dalla pronipote Roberta Nicoli Barnabei, è già stata esposta nella mostra Gocce di memorie private (2021), in occasione delle celebrazioni per il centenario si presenta più ricca grazie al generoso prestito concesso dalla pronipote Margherita Cipparrone. I nuovi materiali sono tipologicamente simili a quelli della donazione e il confronto ha permesso interessanti integrazioni confermando ipotesi già avanzate. Sebbene la raccolta, costituita da oggetti originali e riproduzioni moderne di materiale antico, sia alquanto eterogenea e significativamente “povera”, priva di reperti di intrinseco pregio artistico, essa possiede uno straordinario valore documentario riflettendo negli elementi che la compongono i più profondi interessi scientifici e professionali di Barnabei. Ad esempio la presenza di oggetti di uso quotidiano rimanda all’interesse dello studioso per la cultura materiale e per gli aspetti tecnologici delle produzioni antiche, in linea con le correnti più avanzate della ricerca archeologica del suo tempo, mentre la particolarità degli oggetti di bronzo richiama l’attenzione di Barnabei per le antiche culture italiche, evidenziando il legame con l’Abruzzo, sua terra d’origine. Diversi oggetti di bronzo, esposti nella vetrina 1, come la châtelaine, il pendaglio “ad occhiali” e i dischi in lamina, provengono infatti dall’area medio-adriatica e presentano affinità con i materiali rinvenuti nella necropoli di Alfedena in Abruzzo, dove a partire dalla seconda metà dell’Ottocento esplorazioni, condotte dalla Direzione Generale di Antichità e Belle Arti e seguite dallo stesso Barnabei, avevano portato alla luce ricchi corredi di VII-V secolo a.C. Gli oggetti, raccolti nel Museo Civico e pubblicati in Monumenti Antichi del 1901, mostrano una somiglianza particolarmente stringente con alcuni bronzi della collezione. Nella vetrina 2, accanto ad alcuni frammenti di vetro e a due ghiande missili in piombo, sono esposti quattro piccoli vasi: un portaprofumi (alabastron) etrusco-corinzio, una brocchetta (lekythos) attica, una tazza (skyphos) a vernice nera e un unguentario acromo di terracotta. A oggetti di uso quotidiano appartengono inoltre: quattro lucerne, di cui una con marchio di fabbrica; il timbro (signaculum) in bronzo con l’indicazione del nome del possessore, che potrebbe essere stato utilizzato per contrassegnare le tegole o i mattoni di una officina; il piccolo altare domestico (arula) destinato al culto domestico con figura femminile su toro eseguito a matrice e la piccola antefissa (ornamento alla gronda di un edificio classico che nasconde le estremità delle tegole del tetto) da Taranto con testa tipo “Artemis Bendis”, unico elemento architettonico della collezione. La classe di materiale maggiormente rappresentata all’interno della collezione è quella della ceramica sigillata, detta anche “arretina” da Arezzo, originario luogo di produzione, di cui si contano cinque frammenti originali, diciotto calchi di matrici realizzate in terracotta, otto in cera, due in gesso e dodici calchi di marchi di fabbrica. Questa ceramica dal colore rosso brillante presenta una decorazione a rilievo ottenuta utilizzando delle matrici, che presentavano – incavati all’interno con punzoni, stampi e talvolta a mano libera – i motivi vegetali e figurati che sarebbero apparsi sul corpo del vaso, formato pressando dell’argilla all’interno di essa. Una volta asciugatosi, il vaso si sarebbe facilmente staccato dalla matrice per essere completato al tornio, dipinto e cotto. Esclusa la laboriosa fase di preparazione della matrice, la produzione si riduceva a un procedimento di tipo meccanico che permetteva di fabbricare un numero elevato di vasi identici in un tempo limitato e senza richiedere la presenza di maestranze specializzate. Un’organizzazione del lavoro di tipo industriale, che assicurava un’ampia produzione a basso costo, ma di notevole qualità, anche estetica. Questa produzione ceramica, sia per la tecnica esecutiva sia per la presenza di marchi di fabbrica, aveva già destato dalla metà dell’Ottocento la curiosità degli studiosi e quando gli scavi condotti nell’orto del convento di Santa Maria a Gradi ad Arezzo nel 1883 portarono all’individuazione della fornace di Marco Perennio, titolare della più nota officina aretina, attiva per tutta l’età augusteo-tiberiana (decenni a cavallo tra il I secolo a.C e il I secolo d.C), l’interesse crebbe in maniera esponenziale. La notizia del rinvenimento delle matrici con cui si fabbricavano i vasi e il successivo catalogo dei pezzi da inviare al museo della città vengono entrambi pubblicati in Notizie degli scavi di antichità, pubblicazione periodica dell’Accademia dei Lincei, di cui dal 1880 Barnabei è redattore. La concreta possibilità di studiare il complesso procedimento di preparazione dei prototipi, premessa di una redditizia produzione di tipo industriale, non poteva che suscitare tutto l’interesse del Nostro, la cui predilezione per la ceramica non fu solo dettata da un apprezzamento estetico, ma anche dalla profonda conoscenza tecnica che gli derivava dall’esperienza di ceramista maturata nella natìa Castelli. La mostra, curata da Maria Paola Guidobaldi, Valentino Nizzo e Antonietta Simonelli, vuole essere un racconto dell’articolata vicenda privata e istituzionale di Felice Barnabei, ricca di successi ma anche di amarezze in cui la storia personale di un uomo fuori dal comune si intreccia con la Storia della nostra Nazione. La mostra è organizzata dal Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, con il patrocinio del Comune di Castelli (TE), luogo natìo di Felice Barnabei, con il quale il Museo ha sottoscritto la convenzione Tular Rasnal che consente a tutti i residenti riduzioni sull’acquisto del biglietto o dell’abbonamento al Museo. Qui per tutte le informazioni.