Roma, Arena Gigi Proietti Globe Theatre Silvano Toti: “Otello” di William Shakespeare

Roma, Arena Gigi Proietti Globe Theatre Silvano Toti
OTELLO
di William Shakespeare
Regia, traduzione ed adattamento di Marco Carniti
Desdemona MARIA CHIARA CENTORAMI
Bianca ANTONELLA CIVALE
Othello MAURIZIO DONADONI
Graziano DARIO GUIDI
Iago PAOLO SASSANELLI
Ludovico SEBASTIAN GGIMELLI MOROSINI
Montano I Senatore MATTEO MILANI
Cassio MASSIMO NICOLINI
Roderigo GIGI PALLA
Emilia LOREDANA PIEDIMONTE
Musiche: David Barittoni, Giacomo De Caterini
Costumi: Maria Filippi
Disegno luci: Umile Vainieri
Disegno audio: Daniele Patriarca
Scene: Fabiana Di Marco
Produzione: Politeama s.r.l.
Roma, 31 Agosto 2023
“Nella tragedia di Othello, il male volge un’altra delle sue facce; e il sentimento che gli risponde è, questa volta, non la condanna mista di pietà, non l’orrore per l’ipocrisia e per la crudeltà, ma lo stupore. Jago non è il male commesso per un sogno di grandezza, non è il male per l’egoistico soddisfacimento delle proprie voglie, ma il male per il male, compiuto quasi per un bisogno artistico, per attuare il proprio essere e sentirlo potente e denominatore e distruttore anche nella subordinata condizione sociale in cui esso è posto.“ (William Shakespeare, Othello)
Oggi, Othello appare come una tragedia estremamente attuale, che delinea un conflitto personale e familiare. Un dramma psicologico dai contorni intensi. Otello è un individuo afflitto da una profonda solitudine, risultato della sua cultura e formazione militare. Come un automa bellico, si auto-annienta di fronte alle emozioni. Sprofondato in un universo di gerarchie e disciplina, i suoi sentimenti vengono messi alla prova. Affronta un crollo identitario, sia politico che culturale. Ma Othello è di pelle nera? Che significato ha ciò per noi, oggi? Shakespeare inizia affrontando questioni politiche e razziali, per poi sondare il labirinto della psicologia umana, illuminando la vera essenza dell’anima.L’aspetto oscuro che corrompe l’essere umano dall’interno. Quella parte che sfugge alla ragione, lasciando l’intuizione e l’istinto a determinare la conclusione. Quella parte animale che sopprime la ragione. Othello rappresenta una potente metafora dell’esistenza umana e della sua identità. Evidenzia una condizione di vulnerabilità che porta alla perdita del sé, senza possibilità di fuga. Ma siate prudenti, poiché tutti noi siamo Othello. L’oscurità è in ognuno di noi. Tutti noi siamo prede di un lato oscuro che ci rende vulnerabili e auto-distruttivi, portandoci a precipitare nel vuoto e nell’oscurità. Non ci vuole molto per ridurre una roccia in polvere. Basta poco per far emergere in un uomo un “dubbio” che, come una coscienza alternativa, lo spezza, facendolo precipitare nella schizofrenia. Othello si ritrova ad essere sia vittima che complice della sua auto-distruzione, seguendo un cammino da lui stesso sancito. Un piano di morte improvvisato dalla mente di un abile stratega politico che cerca di riconquistare la sua importanza agli occhi del mondo: Jago. Un “schiavo” che, come un preciso meccanismo d’orologio, pianifica la sua insurrezione politica e sociale, senza temere che la bomba da lui stesso costruita potrebbe esplodere tra le sue mani. Simile a un kamikaze dei tempi moderni, con chirurgica precisione, cerca e amplifica una frattura, un vuoto, una debolezza, già presenti in ciascuno dei personaggi della tragedia, precipitandoli nel caos politico e psicologico. Jago è l’architetto dell’opera e la macchina da lui costruita diventa un percorso inevitabile per tutti i protagonisti, trasformandosi in una trappola mortale anche per lui. Modella continuamente lo scenario per adattarlo alle necessità del suo piano malefico, delimitandolo con labirinti e cancelli, quasi a creare un lungo corridoio, un imbuto rovesciato, che progressivamente limita le possibilità d’azione, isolando personaggi e scene come frammenti cinematografici. Tutti sono burattini nelle mani di Jago, e il suo genio trionfa. L’approccio registico di Carniti esibisce un’attenta valutazione di ogni elemento scenico e interpretativo, con sprazzi intriganti che mettono in evidenza la contemporaneità del dramma, pur mantenendo un rispetto reverenziale per la tragedia originale, evitando così eccessi di autocompiacimento. I costumi ben curati di Maria Filippi e le luci suggestivamente progettate da Umile Vainieri meritano uno speciale riconoscimento, così come le evocative musiche originali composte da David Barittoni e Giacomo De Caterini. Il design scenico di Fabiana Di Marco assume un ruolo cruciale nella rappresentazione, con elementi che si muovono in perfetta sincronia con gli attori, svolgendo non solo un ruolo narrativo ma anche emozionale. Le emozioni infatti delineano gli spazi e saturano la scena, riflettendo i sentimenti convulsi dei protagonisti che pulsano incontrollabilmente attraverso le vene di un corpo animico mai completamente dominato. Nel primo atto, grandi piattaforme scorrono e ruotano incessantemente sul palco, mentre nel secondo atto, una grande gabbia simboleggia il potere tirannico di Iago sulle sue vittime. Otello è intrappolato come un leone in gabbia, sopraffatto dal suo addestratore che lo agita contro la sua preda, Desdemona, che incontrerà il suo destino tragico sul suo letto nuziale, circondata da barre di ferro. In un “tour de force” interpretativo, Maurizio Donadoni traccia una figura di Othello che è un colosso emotivo, imbattibile nella sua risolutezza ma tragicamente fragile nella sua capacità intellettiva. La sua potente presenza scenica si scontra con una crescente goffaggine nelle movenze, un disorientamento quasi tangibile che si riflette anche nel suo monologo. Il suo Othello è un personaggio che, pur esibendo un’aura di potenza, rivela un’anima tormentata e un’intellettualità tentennante. Donadoni, con la sua interpretazione, riesce a catturare l’essenza di un personaggio complesso, sfumato tra la forza e la fragilità, tra la risolutezza e la confusione, in un modo che solo un attore della sua bravura potrebbe fare. Paolo Sassanelli, con una maestria teatrale indiscussa, si cala nei panni di uno Jago che si svela sempre più perfido e subdolo, destando un senso di ripugnanza crescente nel pubblico. L’artista, con una padronanza della scena ed un’abilità recitativa impareggiabili, trae in inganno lo spettatore, trasformandosi gradualmente da un personaggio dall’aspetto iniziale innocuo ad una figura demoniaca. Questa metamorfosi avviene senza mai eccedere, sempre con una dose misurata di malignità, coniugata con un tocco di ironia che bilancia la rappresentazione dei sentimenti più basse, rendendo così la sua Jago una figura incredibilmente reale ed umana. L’interpretazione di Sassanelli è un esercizio di equilibrismo tra male e comicità, un gioco d’ombre e luci che cattura l’attenzione dello spettatore e lo trascina in un vortice di emozioni contrastanti. Maria Chiara Centorami emerge come una Desdemona incantevole, regalando un’interpretazione profondamente personale che oscilla tra una vivace esuberanza e un’angoscia drammatica. Con una presenza scenica sempre giusta e attenta, ogni gesto, ogni posa, ogni battuta di questa attrice, risuona con un’autenticità che amplifica la complessità emotiva del suo ruolo. Il resto del cast non si lascia affatto eclissare, contribuendo ad arricchire l’opera con momenti di rara intensità e cesellature artistiche di notevole interesse. Non mancano infatti interpretazioni di alto livello, che riescono a combinare talento e professionalità, conferendo alla rappresentazione un’emozionante complessità scenica. Un pubblico avvezzo allo spettacolo e all’allestimento non nuovo per Roma ma che riesce sempre a rinnovare la sua ammirazione per le belle realizzazioni, premiando gli attori con applausi calorosi e partecipati. Photo Credit: Chiara Calabrò. Qui per tutte le informazioni.