Pesaro, Rossini Opera Festival 2023: “Adelaide di Borgogna”

Pesaro, Vitrifrigo Arena, Rossini Opera Festival, XLIV Edizione
“ADELAIDE DI BORGOGNA”
Dramma per musica in due atti di Giovanni Schmidt
Musica Gioachino Rossini
Edizione critica della Fondazione Rossini, in collaborazione con Casa Ricordi, a cura di Gabriele Gravagna e Alberto Zedda
Ottone VARDUHI ABRAHAMYAN
Adelaide OLGA PERETYATKO
Berengario RICCARDO FASSI
Adelberto RENÉ BARBERA
Eurice PAOLA LEOCI
Iroldo VALERY MAKAROV
Ernesto ANTONIO MANDRILLO
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Coro del Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno
Direttore Enrico Lombardi
Maestro del Coro Giovanni Farina
Regia Arnaud Bernard
Scene Alessandro Camera
Costumi Maria Carla Ricotti
Luci Fiammetta Baldiserri
Nuova produzione
Pesaro, 22 agosto 2022
Quando un regista prepara l’allestimento di un’opera di soggetto storico e deve tradurre in racconto e azione la partitura musicale, o ci crede o non ci crede. Se crede di poter inscenare una rappresentazione di quella storia, ha piena libertà; se non ci crede, meglio sarebbe abdicare a favore di una esecuzione in forma di concerto. Arnaud Bernard, regista dell’Adelaide di Borgogna, proprio non crede alla storia del libretto di Giovanni Schmidt, e quindi trasforma il suo scetticismo in metateatro. Quello che gli spettatori del Rossini Opera Festival vedono non è Adelaide di Borgogna di Rossini, bensì vita teatrale di una compagnia che sta provando l’Adelaide di Borgogna. La storia che si racconta visualmente non è quella di Ottone di Sassonia, che si innamora della vedova di Lotario e per lei combatte contro Berengario d’Ivrea e il figlio di quest’ultimo, Adelberto, bensì la storia di un tenore che tradisce il soprano, amoreggiando con una figurante del teatro, mentre nasce una travolgente passione tra la donna disprezzata e il contralto. Nel mezzo, si assiste a litigi tra cantanti, sfuriate del regista, allegro disordine e nervosismi tipici di qualunque ambiente di lavoro. L’idea di Bernard è divertente, non c’è che dire; ma è deleteria per la drammaturgia originale e distruttiva di qualunque rapporto di coerenza tra partitura (quello che le orecchie ascoltano) e spettacolo (quello che gli occhi vedono). La colpa non è tutta del regista, in quanto emblematica di un disagio oggi piuttosto comune di fronte alla storia dell’alto Medioevo; in questo caso, il regista non è capace (o, peggio ancora, non vuole) rielaborare la complicata epoca di lotte tra feudatari locali e regnanti di stirpi, contrapposte e intrecciate al tempo stesso. A tutte le latitudini nessuno ha difficoltà a mettere in scena le storie di Alessandro Magno, Lucio Silla, Cesare e Pompeo, Tito e Aureliano: il mondo classico continua a godere di una riconoscibilità estetica e culturale che lo rende facilmente fruibile per quello che fu o non fu. Al contrario, neppure nel cuore d’Europa si è capaci di riflettere su dinamiche politiche che hanno condizionato la storia del continente per secoli. Della storia di Adelaide e Ottone , quindi, restano soltanto icone stereotipate e stantie, come elmi di cartone, troni tarlati, anacronistici stendardi gialli con aquile imperiali (plausibili in epoca absburgica, ma non certo ai tempi della casa di Franconia), quinte di tende militari, boschetti e chiese gotiche, dipinte secondo l’estetica di fine Ottocento; insomma, trovarobato a buon mercato con l’obbiettivo di ridicolizzare l’epoca prevista dal libretto. Dietro l’apparente bonomia dello spettacolo si nasconde dunque un piccolo disastro di (mancata) sensibilità culturale. Fortunatamente, sul versante musicale tutto funziona molto bene: alla guida dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI non c’è Francesco Lanzillotta, a causa di un incidente stradale, bensì il suo assistente Enrico Lombardi, che dirige strumentisti e cantanti con notevole sicurezza e professionalità (bellissima la resa dei ritmi marziali, una costante di questa edizione del ROF). Il pubblico festeggia a lungo anche il terzetto vocale dei protagonisti: il soprano Olga Peretyatko (Adelaide), il contralto Varduhi Abrahamyan (Ottone) e il tenore René Barbera (Adelberto). La prima si disimpegna molto bene tanto nell’aria di elegiaca speranza del I atto quanto nella scena di incitamento alla battaglia del II (pregevoli gli abbellimenti nella cabaletta con clarinetto obbligato, «Cingi la benda candida». Dettaglio della cronaca: una contestazione isolata e puntuale, al termine di questa scena, si deve probabilmente a ragioni extra-artistiche, sul ritorno di Peretyatko al ROF). Il contralto si distingue per la correttezza con cui imposta il canto (tale fu la prima percezione anche quando interpretò Arsace nella Semiramide del ROF 2019) e per la naturalezza della recitazione; Abrahamyan è una cantante dalla spiccata musicalità, sebbene il sostegno dei fiati non sia sempre il più adeguato (come nel rondò finale) e la linea di canto non molto articolata. In più, durante la recita commette alcuni errori, scambiando parole del libretto o intervenendo fuori tempo (disattenzioni che forse sono conseguenza del caos scenico). Barbera, come tutti sanno, ha un timbro tenorile molto bello, supportato da buona tecnica: con l’aria del II atto, «Grida, o natura, e desta», strappa un caloroso applauso (più che meritato, fatta salva qualche piccola sprezzatura nell’intonazione). Il basso Riccardo Fassi ha voce ben timbrata, ma forse non del tutto adatta alla parte del rabbioso Berengario: si percepisce poco nel registro basso e deve forzare in quello acuto. Molto buona la prova del secondo soprano Paola Leoci (Eurice), mentre deve perfezionare dizione e fraseggio l’enfatico Valery Makarov (Iroldo). Un encomio speciale per Giovanni Farina, che – sulla scena as himself – coordina da par suo il Coro del Teatro Ventidio Basso. Al termine è acclamazione per tutti, compresi i tecnici del ROF e i figuranti che rappresentano il loro lavoro sul palco e dietro il palco. Bernard è riuscito a trasformare il “dramma per musica” in “farsa”; e il pubblico, naturalmente, apprezza e giustifica consenziente (per carità – si mormorava con indulgenza – dopo due opere così “serie” come Eduardo e Cristina e Aureliano in Palmira, ci voleva proprio qualche buffoneria). Si dovrebbe invece parlare di occasione mancata: al pari degli altri due titoli della stagione, anche in Adelaide l’azione si conclude con il trionfo di due figure vocalmente femminili sul gruppo delle voci maschili e delle loro pretese (narrative) di comando e controllo del potere. In quest’estate italiana così imbarbarita nelle relazioni tra donna e uomo, sarebbe stato interessante riflettere sui molti risvolti di genere che il teatro rossiniano offre, anziché baloccarsi con i soliti e miseri luoghi comuni, sia sul mondo dell’opera sia sulla storia medioevale.   Foto Amati-Bacciardi © ROF