Torino, Teatro Regio: “I Vespri Siciliani”

Torino, Teatro Regio, Concerto di gala
“I VESPRI SICILIANI”
Dramma in cinque atti su libretto di Eugène Scribe e Charles Duveyrier. Versione italiana di Arnaldo Fusinato
Musica di Giuseppe Verdi
La duchessa Elena ROBERTA MANTEGNA
Arrigo PIERO PRETTI
Guido di Monforte VLADIMIR STOYANOV
Giovanni da Procida MICHELE PERTUSI
Bethune AMIN AHANGARAN
Vaudemont EMANUELE CORDARO
Ninetta IRINA BOGDANOVA
Danieli FRANCESCO PITTARI
Tebaldo PAOLO ANTOGNETTI
Roberto LUDOVICO FILIPPO RAVIZZA
Manfredo LULAMA TAIFASI
Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del coro Ulisse Trabacchin
Torino, 6 luglio 2023
Mezzo secolo. Si tratta di una tappa importante, tanto nella vita di una persona quanto nell’esistenza di un monumento o di un’istituzione. Una tappa che merita di essere celebrata con un certo fasto. Il 10 aprile 1973 fu inaugurato, con I Vespri siciliani messi in scena da Maria Callas, il nuovo Teatro Regio di Torino, disegnato da Carlo Mollino ed edificato sulle ceneri della vecchia sala, distrutta da un incendio nel 1936. Il cinquantenario ‒ sarà che la data cadeva nei giorni di Pasqua, sarà che la stagione 2023 è stata organizzata in tempi risicati a seguito delle vicissitudini attraversate dall’istituzione negli ultimi anni ‒ è stato festeggiato con qualche mese di ritardo, riproponendo il titolo con cui il teatro fu inaugurato nel 1973; e riproponendolo in data unica, inevitabilmente in forma di concerto, ma con un cast dotato sulla carta di tutte le caratteristiche per dar vita a un’interpretazione di riferimento. “Concerto di gala”, recitava la locandina; ma, tra la stagione calda e i dress code che, giustamente, non sono più rigorosi, accanto agli abiti da sera spiccavano magliette e pantaloni corti. La scelta di eseguire la versione italiana di Arnaldo Fusinato, in questa precisa occasione, è giustificata da ragioni storiche (fu quella a inaugurare il teatro); anche se, in linea generale, sarebbe tempo di riporla nei cassetti e tornare a proporre senza esitazione l’originale francese per il quale la musica fu pensata. Così come nessuno, oggi, si sognerebbe più di cantare in italiano Carmen o Faust, non si vede perché si debba insistere con I Vespri o Guglielmo Tell. La scelta di un direttore d’orchestra come Riccardo Frizza è garanzia di un’interpretazione di taglio belcantistico, che privilegia la vocalità e i legami della partitura con la tradizione dei decenni precedenti; lettura particolarmente gradita da chi scrive, che non vi vede contraddizione con il carattere verdiano. E, in effetti, alle voci è stato concesso di dispiegarsi con il massimo agio. Roberta Mantegna è una Elena dal carattere forte, che si giova di una voce timbrata e di buon temperamento, di un fraseggio attento e di una particolare cura nella posizione degli accenti. Il registro medio-grave con le sue risonanze carnali risulta particolarmente avvincente, ma qualche occasionale asperità nelle note acute non le impedisce di affrontare con brillante virtuosismo il bolero del V atto, risolto con brillantezza in cascate di note sgranate che trasudano felicità. Il tenore Piero Pretti si distingue per l’emissione schietta e lo squillo lucente che lo rendono un interprete “di garanzia” per il repertorio verdiano. La cura posta alle dinamiche è notevole, il testo sempre perfettamente intelligibile. Per caratterizzare a tutto tondo la figura di Arrigo, tuttavia, occorrerebbe associare a questi tratti una maggiore varietà cromatica che dia più risalto al sentimento umano espresso nei singoli momenti di espansione lirica. In questa occasione è risultato ben sbalzato il risentimento, quale emerge ad esempio nel terzetto finale; mentre la nostalgia e lo slancio amoroso hanno rischiato di essere appiattiti in un canto gradevole e pulito ma un po’ monocromo. Sul fronte opposto, il baritono Vladimir Stoyanov (Monforte) mostra qualche segno degli anni nello strumento non più perfettamente smagliante, ma, con le belle inflessioni della voce e il fraseggio curato, riesce a trasmettere un accorato accento umano, particolarmente vivo nelle scene iniziali del III atto. Non v’è dubbio, tuttavia, che la palma spetti al basso Michele Pertusi per la sua interpretazione di Procida, che si guadagna un’ovazione a scena aperta dopo il cantabile «O tu, Palermo»: il suo dominio di intonazione e messa di voce, la rotondità del suono e la perspicuità del fraseggio definiscono perfettamente la complessità di un personaggio che si presenta come patriota tutto d’un pezzo e presto si rivela un rivoluzionario fanatico. Impeccabili, ciascuna nella misura riservata, sono state le seconde parti, che vogliamo ricordare per nome: il basso Amin Ahangaran (Béthune), il basso Emanuele Cordaro (Vaudemont), il soprano Irina Bogdanova (Ninetta), il tenore Francesco Pittari (Danieli), il tenore Paolo Antognetti (Tebaldo), il baritono Ludovico Filippo Ravizza (Roberto), il tenore Lulama Taifasi (Manfredo). E pregevoli, come sempre, le compagini artistiche del Teatro Regio: l’Orchestra, anche negli interventi solistici, e il Coro, di cui ha debuttato il nuovo Maestro, Ulisse Trabacchin, subentrato ad Andrea Secchi. Un cambiamento alla guida di quello che, ormai da alcuni decenni, è un fiore all’occhiello del Regio, che si auspica di buon augurio per i prossimi 50 anni.