Como, Teatro Sociale, Festival Como Città della Musica 2023
“AIDA”
Opera in quattro atti su libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Il Re NICOLA CIANCIO
Amneris SOFJA JANELIDZE
Aida CLARISSA COSTANZO
Radamès DARIO DI VIETRI
Ramfis LUCA GALLO
Amonasro LUCA GALLI
Un messaggero ERMES NIZZARDO
Una sacerdotessa AOXUE ZHU
Orchestra 1813 e Coro 200.Com
Direttore Enrico Lombardi
Maestri del coro Massimo Fiocchi Malaspina con Davide Dell’Oca, Arianna Lodi, Cristina Merlini
Regia Alessio Pizzech
Scene e Costumi Davide Amadei, Giulia Bruschi, Riccardo Mainetti
Luci Nevio Cavina
Danzatore e Coreografia Nnamdi Nwagwu
Nuova produzione Teatro Sociale di Como AsLiCo
Como, 3 luglio 2023
Da anni ormai con piacere seguiamo le “imprese” dei 200.com, il coro di cittadini comaschi che per un anno si preparano a cantare un’opera in una produzione professionale, usualmente allestita nello spazio all’aperto dell’Arena del Teatro Sociale. Quest’anno la scelta di “Aida” ci sembra ancora più ghiotta, considerata quanta parte dell’opera verdiana sia retta dal Coro: i ben più di duecento cittadini in questione non hanno tradito le aspettative, proponendo un Coro coeso, sonoro, intonato e scenicamente ultrapartecipe. Sembrano essere quelli che meno di tutti abbiano patito il maltempo, che ha costretto all’interno del Teatro Sociale quest’”Aida”; l’Orchestra 1813, invece, non ha praticamente mai provato al chiuso, e si sente: i suoni sono alquanto ridondanti, coprono spesso le voci e il Maestro Enrico Lombardi fatica a contenere questa esuberanza che solo con il coro poderoso trova un certo equilibrio. Il cast musicale, peraltro, accosta alcune voci importanti ad altre che, per natura o carriera, sono decisamente più flebili: è il caso di Dario Di Vietri, un Radames che si presenta alquanto sottotono, con una vocalità problematica, si salva solo grazie a portamenti naturali e un po’ di fraseggio arrivando a fine recita quanto mai in affanno. Accanto a lui Sofja Janelidze è senz’altro un’Amneris affascinante e molto coinvolta sul piano scenico; musicalmente, quando non è surclassata dall’orchestra, presenta colori interessanti, quello che se mai manca alla piena resa vocale del personaggio è quello più marcatamente drammatico. Clarissa Costanzo, d’altro canto, si mostra in tutta la forza del suo range vocale, con acuti sicuri e avvolgenti e centri ben estesi anche verso il basso; la sua è un’Aida dolente ed espressiva, ben fraseggiata, scenicamente presente a se stessa. Fra gli altri ruoli senz’altro l’Amonasro di Luca Galli si distingue per il bel colore caldo e intenso della voce, si distingue anche la Sacerdotessa della giovane Aoxue Zhu per la bella vocalità e linea di canto. Il Re di Simone Ciancio è un’altra delle “vittime” dell’orchestra: per quel che sentiamo non sembra comunque caratterizzarsi negativamente – buona l’intonazione, interessante il colore piuttosto chiaro della vocalità. Nell’alveo della correttezza, per quanto non del tutto intellegibili, le prove di Luca Gallo (Ramfis) ed Ermes Nizzardo (il messaggero). Il vero punto dolente di questa produzione sta, tuttavia, nell’assetto creativo e più in generale nella produzione: “Aida” ha avuto luogo, infatti, in un teatro non adeguatamente rinfrescato, stipato di gente, senza amplificazione adeguata, senza sovratitoli; ma più grave ancora è stato scoprire che la regia di Alessio Pizzech non avesse previsto un piano B in caso di maltempo, quindi con un’adattabilità del progetto al chiuso: ci troviamo quindi con un palcoscenico senza nemmeno le quinte e un fondale, dove gli interpreti entrano ed escono dalla porta di fondo col maniglione antipanico, talvolta faticano a capire come muoversi, che fare – e quando prendono iniziative finiscono per cantare al muro o stare immobili; insomma, un pasticcio che da un’Associazione Lirica come quella comasca non ci saremmo aspettati. La regia poi ha un elenco praticamente infinito di arbitrarietà, di mescolanze di generi, stili, periodi storici, esperimenti (assecondati dalle scene e dai costumi di Davide Amadei, Giulia Bruschi e Riccardo Mainetti e dalle luci di Nevio Cavina), talvolta francamente pretenziosi – uno su tutti: il Quarto Atto, l’atto “di Amneris”, vede la suddetta cantare tutto il tempo in pieno buio; per noi questo non è “sperimentale” né “simbolico”, ma solo offensivo per la cantante e per il pubblico pagante. È evidente che Pizzech abbia l’incubo di non apparire originale: purtroppo, però, la sua supposta originalità non può pensare di prevaricare quella perlomeno di Verdi e Ghislanzoni; lo spettacolo che visivamente ne trae non è “divisivo” come magari si aspetterebbe, ma solo scioccherello nella montagna di pretese messe in scena, puntualmente sbugiardate poi dall’opera stessa. Non ce lo meritiamo noi addetti ai lavori, ma ancora meno il pubblico che, già stremato dal caldo, rimane confuso da quanto vede. Sarà per l’estate prossima. Foto Ilaria Sormani