Sordevolo (BI), Anfiteatro “Giovanni Paolo II”
“NABUCCO”
Opera in quattro parti di Temistocle Solera, tratto da “Nabuchodonosor” di Auguste-Anicet Bourgeois e Francis Cornue.
Musica di Giuseppe Verdi
Nabucco ANGELO VECCIA
Abigaille FRANCE DARIZ
Ismaele EMANUELE D’AGUANNO
Zaccaria DEYAN VATCHKOV
Fenena GIULIA DIOMEDE
Il Gran Sacerdote di Belo BING LI
Abdallo ANDRIJ SEVERINI
Anna CLEMENTINA REGINA
Orchestra Filarmonica Italiana
Coro del Teatro Coccia
Direttore Francesco Rosa
Direttore del Coro Mauro Trombetta
Regia, Luci e Costumi Alberto Jona
Scenografia Matteo Capobianco
Nuova Produzione Fondazione Teatro Carlo Coccia di Novara in collaborazione con Comune di Sordevolo, La Passione e il Contato del Canavese
Sordevolo, 02 luglio 2023
Ogni iniziativa atta a diffondere l’opera in luoghi di essa sprovvisti o non convenzionali è sempre da lodarsi: dimostra, infatti, come l’opera non sia un genere “per pochi”, ma anzi, a contatto con le masse non avvezze ad essa, sappia praticamente sempre coinvolgerle e farsi amare. Quindi bravo il Teatro Coccia di Novara che ha organizzato nel piccolo comune di Sordevolo questo “Nabucco”, sfruttando l’imponente cornice dell’Anfiteatro “Giovanni Paolo II”, che ogni cinque anni ospita una celebre Passione di Cristo, riproposta da secoli in questa località del biellese. Comprendiamo anche, in base a questa singolare tradizione locale, poiché la scelta sia ricaduta su un dramma biblico così magniloquente e non troppo immediato – nonostante il celeberrimo coro della Terza Parte. La compagine musicale di questo inaspettato “Nabucco” non è certo di bassa caratura, sfoggiando nomi noti al panorama nostrano. Ritroviamo dunque con piacere Angelo Veccia, solidissimo vocalmente e molto presente anche scenicamente, un Nabucco piuttosto equilibrato dai volumi ben controllati e dal ricco fraseggio; ritroviamo France Dariz, uno dei soprani drammatici più dotati della sua generazione, alle prese con uno dei più complessi personaggi verdiani, Abigaille: vocalmente la prova è superata bene dalla Dariz, che sfoggia colori vari e smaltati su tutta la tessitura e una notevole abilità tecnica; peccato per una prova scenica bidimensionale, che si abbandona sempre a gesti di maniera. Ritroviamo Giulia Diomede, una Fenena dalla buona estensione e dalle piacevoli sfumature brunite. Se le prove degli interpreti degli altri personaggi si rivelano corrette e funzionali alla scena: Bing Li (Il gran scerdote di Belo),l’Abdallo di Andrij Severini, l’Anna di Clementina Regina), quelle di Emanuele D’Aguanno (Ismaele) e Deyan Vatchkov (Zaccaria) non ci hanno convinto: il primo ha una vocalità sana e luminosa, ma suoni non bellissimi, soprattutto nel registro acuto che ci è parso poco controllato, oltre che un fraseggio alquanto generico; il secondo ha centri e gravi senz’altro fascinosi, ma la buona estensione nella zona grave si opacizza non appena si passa al registro superiore e, come sappiamo, Zaccaria, ha un tessitura particolarmente spinta in alto. La direzione del maestro Francesco Rosa è complessivamente omogenea, senza particolari guizzi; la coesione con la scena è quasi sempre rispettata – solo Veccia nella quarta parte sembra un po’ mordere il freno di una conduzione che si “allarga”. Positiva la prova del coro, con naturale apice toccato nel “Va pensiero” – un plauso al maestro Mauro Trombetta. La compagine creativa di questo “Nabucco” presenta pure alcune idee molto ben realizzate, mentre su altre siamo più scettici. Molto suggestiva l’idea di Matteo Capobianco di un fondale di tende dorate che si muovano tutto il tempo al vento del luogo, creando continui giochi di luce e colore, in piena sintonia con il disegno di luci del regista Alberto Jona – meno intelligibili gli spot ai lati della scena, l’uno con i simboli dell’ebraismo, l’altro del culto di Baal; così come il desiderio di fondere presente e passato non solo nel coro dei figuranti locali – abbigliati da ebrei perseguitati dai totalitarismi, così come da naufraghi delle stragi del Mediterraneo – ma anche nella figura di Nabucco, “all’antica” prima del fulmine, in pantaloni e maglietta durante la follia. Altrettanto poco comprensibile la drammatizzazione della Sinfonia con gli ebrei antichi che incontrano quelli del XX secolo, e una danzatrice che li unisce – la stessa poi rende il senno a Nabucco e accompagna all’estrema soglia Abigaille: da libretto di sala interpreterebbe la Speranza (di verde vestita), ma non sarebbe forse più corretto definirla “la Giusizia”? Per il resto ci pare che la regia avrebbe potuto correggere i molti vezzi dei cantanti (tutti si ritrovano a cantare sbracciandosi come in mezzo al mare, ad esempio), piuttosto che cercare idee “innovative” in un contesto che quanto più classico, tanto meglio riuscito, come una simile produzione fuori circuito. In ogni caso si tratta di piccoli aspetti che non vanno ad inficiare una complessiva riuscita del progetto che, ne siamo certi, non potrà che migliorare negli anni mantenendo inalterato il suo alto portato divulgativo. Foto Claudio Burato