Milano, Teatro Elfo-Puccini: “Festen – Il gioco della verità”

Milano, Teatro Elfo-Puccini, Stagione 2022/23
“FESTEN – IL GIOCO DELLA VERITA’”
di Thomas Vinterberg, Mogens Rukov, Bo Hr. Hansen
adattamento per il teatro di David Eldridge
traduzione e adattamento di 
Lorenzo De Iacovo e Marco Lorenzi
Helge Klingenfeld DANILO NIGRELLI
Elsie IRENE IVALDI
Christian ELIO D’ALESSANDRO
Helene BARBARA MAZZI
Michael RAFFAELE MUSELLA
Mette CAROLINA LEPORATTI
Helmut YURI D’AGOSTINO
Pia/ Linda ROBERTA LANAVE
Kim/ Nonno ANGELO TRONCA
Regia 
Marco Lorenzi
Drammaturgia 
Anne Hirth
Visual concept e video 
Eleonora Diana
Costumi 
Alessio Rosati
Sound designer 
Giorgio Tedesco
Luci 
Link-Boy (Eleonora Diana & Giorgio Tedesco)
Consulente musicale e vocal coach 
Bruno De Franceschi
Produzione TPE – Teatro Piemonte Europa, Elsinor Centro di Produzione Teatrale | Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Solares Fondazione delle Arti in collaborazione con Il mulino di Amleto
Milano, 01 Luglio 2023
Altre volte mi è capitato di recensire uno spettacolo in maniera diversa da un collega (il suo articolo qui) – ed è questo, in fondo, il bello della critica. Mai, però, come in questo caso, le nostre posizioni si trovano discordanti, a dimostrazione che, a parte tutto, lo spettacolo in questione è complesso e vitale; come diceva Oscar Wilde: “when critics disagree, the artist is in accord with himself”. Bene quindi per Marco Lorenzi, responsabile della regia, ma soprattutto per Elisabetta Diana, incaricata dei video, giacché più che a uno spettacolo teatrale è a un film in presa diretta che assistiamo. Due lunghe ore e più di film proiettato su un tulle corrispondente al boccascena, dietro il quale è vero che avvengono le scene proiettate, ma nemmeno ce ne accorgiamo, se non per un paio di volte in cui il contrasto video/scena vuole farsi più emblematico. La qualità del prodotto in sé è fuori discussione, ma la domanda che sorge è: davvero vogliamo venire a teatro a guardare un film? Fino a che punto ci si può spingere con la contaminazione tra generi? La critica negativa su “Festen” sta quasi tutta qui, ma è una critica fondativa: basta che uno spettacolo venga recitato in un teatro per essere definito “teatrale”? Per cercare di aggirare questo dilemma, ogni tanto si ricorre al solito postdrammatico: personaggi che si raccontano a microfoni in proscenio, canzoni rock suonate e cantate dal vivo, interpreti che escono dal personaggio e si rivolgono al pubblico, luci in sala che si accendono e altre amenità al di là della Quarta Parete. Ma non sono che piccole distrazioni, metodi per risvegliare il pubblico sonnolento, tra un infinito statico monologo detto dritto in camera e l’altro. Così come la narrazione di Hansel e Gretel all’inizio dello spettacolo, arbitraria e di non immediata comprensione – cosa ci vorrebbe dire, che anche i genitori di Hansel e Gretel fanno cose orribili ai loro figli, come i Klingenfeld con Linda e Christian? O forse creare un fil rouge con la tradizione “crudele” della letteratura per l’infanzia del Nord Europa? Insomma è didascalico o cerebrale? Tutto lo spettacolo può essere percorso da questa domanda, ma occorre sottolineare che in entrambi i casi si tratta di manierismo alla lunga stucchevole. Per il resto, se guardiamo con onestà a ogni singola parte costitutiva dello spettacolo, non possiamo dire di riscontrare grossi difetti: attori all’altezza del ruolo e del contesto – con due chiare menzioni per i fratelli Christian ed Helene (Elio D’Alessandro Barbara Mazzi), due interpretazioni intensissime e sfaccettate – un apparato scenotecnico perfettamente funzionale, dominato dalle proiezioni ma anche dalle suggestive luci di Eleonora Diana e Giorgio Tedesco, e, soprattutto, un testo gigantesco e struggente, un vero classico contemporaneo, che dalla sceneggiatura di Vinterberg seleziona forse non tutto il meglio, ma quanto basta per poterne preservare l’inattaccabile assetto drammaturgico. E proprio sul confronto con il Dogma #1 tirerei una conclusione: non sarebbe stato più onesto, più rispettoso del testo originale – e delle aspettative del pubblico – proporre una regia teatrale à la Dogma (e c’è un chiaro manifesto che si può seguire, per essa), al posto che questo strano ibrido dominato dalla cerebrale pretesa di una verità/non-verità? I sottotitoli delle due opere parlano chiaro: il film chiosa “festa in famiglia”, richiamando l’amara accezione del titolo originale, mentre questa versione teatrale è “il gioco della verità”, come se ci fosse qualcosa di giocoso, una verità nascosta da scoprire; in realtà tutti sappiamo da subito l’unica verità, cioè che Helge ha stuprato i suoi figli col tacito assenso della moglie Elsie, rovinando loro la vita – in senso più ampio, che sempre la famiglia tradizionale punti a rovinare la vita dei figli per preservare il potere dei padri. Cosa ci sia – se qualcosa c’è – di “giocondo” in questo, forse varrebbe la pena di spiegarlo, a noi come agli autori. Qui per la tournée 2024. Foto Giuseppe Distefano