Roma, Musei Capitolini
NUOVA LUCE DA POMPEI A ROMA
A cura di Ruth Bielfeldt e Johannes Eber
Dal 05 Luglio al 08 Ottobre 2023
Promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali
In collaborazione con Università Ludwig-Maximilian di Monaco di Baviera
Organizzazione Zètema Progetto Cultura
Roma, 10 Luglio 2023
Nell’antica Roma, l’illuminazione nelle città era un lusso piuttosto che una norma. Di notte, i cittadini si avventuravano con facies e torce, con l’unica altra fonte di luce proveniente da taverne e bordelli aperti fino a notte fonda. Infatti, il poeta Giovenale avvertiva che era temerario uscire di notte senza aver redatto un testamento, visto l’abitudine nelle zone più degradate di gettare orinali per strada. Contrastando questa realtà, le lussuose domus erano illuminate fino a tarda notte, spesso a causa dei sontuosi banchetti che richiedevano l’uso di lucerne sia all’interno che all’esterno della casa, compresi i pittoreschi giardini. L’illuminazione che filtrava dalle finestre era limitata, poiché i giardini erano di solito situati al centro delle case, lasciando pochissima luce per filtrare all’esterno. In pochi davvero potevano permettersi i lussuosi lampadari bronzei che Plinio il Vecchio definiva “simili ad alberi carichi di mele”. Per le strade, i viandanti si facevano accompagnare da schiavi muniti di torce, e le carrozze erano dotate di torce per navigare nelle strade buie. Queste torce erano fatte di grasso o pece. Nelle case e nei luoghi pubblici, la luce era fornita dalla luce naturale che entrava dal compluvium, un’apertura nel soffitto dell’atrio, che illuminava di riflesso le stanze circostanti. Nonostante la presenza di finestre, queste erano solitamente alte per prevenire l’ingresso dei ladri. Quando il sole tramontava, si faceva uso di torce e candele, fatte di sego o di cera, a seconda della ricchezza della casa. Ovviamente, c’erano applique murali e lampadari portacandele, realizzati in bronzo o terracotta. I bracieri, usati per riscaldare la casa, diffondevano una luce tenue e venivano realizzati in una varietà di forme e dimensioni, e in bronzo o terracotta. Le domus ricche, ovviamente, avevano il meglio, comprese lastre trasparenti di talco, mica o vetro – quest’ultimo il più costoso – alle finestre. Anche gli edifici pubblici, comprese le terme, avevano queste lastre. I meno abbienti non potevano permettersi tali lussi e utilizzavano tende di pelle sottile che lasciavano filtrare un po’ di luce. La mostra “Nuova Luce da Pompei a Roma” ai Musei Capitolini è un affascinante viaggio attraverso la storia dell’illuminazione artificiale nella Roma antica. Questa innovativa esposizione, organizzata da Roma Capitale e la Soprintendenza Capitolina per il Patrimonio Culturale, in collaborazione con l’Università Ludwig-Maximilian di Monaco, offre una visione unica e dettagliata della tecnologia, dell’estetica e dell’atmosfera della luce artificiale. Con 150 autentici manufatti in bronzo, tra cui lampade a olio, candelabri e torce, la mostra è un tesoro di artefatti storici. Oltre a questi pezzi, la mostra presenta anche statue, sculture e altri artefatti del Museo Archeologico Nazionale di Napoli e del Parco Archeologico di Pompei ed alcuni provenienti da vari Musei Romani, offrendo un’ampia visione della vita quotidiana dell’epoca. La mostra è suddivisa in nove stanze, ognuna dedicata a un aspetto diverso dell’illuminazione nell’antica Roma. Le stanze esplorano il ruolo della luce in vari aspetti della vita romana, tra cui celebrazioni, religione, magia e sogni. L’esposizione non si limita al passato, ma cerca di stabilire un legame con il presente attraverso riproduzioni fedeli prodotte in cooperazione con la Fonderia d’Arte San Gallo AG, nonché da simulazioni digitali su modelli tridimensionali e per conferire maggiore dinamismo sono state inserite all’interno del progetto espositivo le lampade realizzate dal light designer Ingo Maurer (1932–2019). Il Triclinio Virtuale, visibile attraverso occhiali 3D, offre una ricostruzione della luce notturna del 79 d.C. I visitatori, con una “torcia virtuale”, possono controllare la luce e quindi la loro percezione.Il contributo della mostra alla comprensione della storia dell’illuminazione è assai esaustivo. Il suo approccio organico alla tematica, combinato con l’uso di repliche e simulazioni digitali, crea un’esperienza immersiva che illumina il passato in un modo completamente nuovo. L’allestimento, come sempre, si presenta elegante e meticolosamente strutturato nelle affascinanti sale espositive di Villa Caffarelli. Le didascalie sono complete e i pannelli introduttivi, sebbene dettagliati con precisione quasi maniacale, offrono un inquadramento storico puntuale e approfondito. In una mostra dove il titolo stesso suggerisce il tema della luce, l’accento è ovviamente posto sull’impianto illumino-tecnico. Questo, con la sua magistrale ingegneria, esalta le forme e le ombre delle opere esposte, intensificando la percezione del loro utilizzo durante l’epoca antica. Il colore “giallo pompeiano”, utilizzato come tonalità di sfondo dominante, intensifica in modo straordinario i colori dei bronzi e delle terracotte. Vibrando su frequenze calde, esso sembra quasi riportare in vita i tempi antichi, dando vita a un dialogo muto ma eloquente tra passato e presente. Certamente, per un appassionato di mostre archeologiche, è possibile che alcuni reperti emergano con una certa frequenza attraverso diverse esposizioni (Per esempio la Statua di Apollo lampadoforo proveniente dalla Casa di Giulio Polibio proposto almeno in tre mostre diverse a Roma). Tuttavia, la meraviglia intrinseca dell’oggetto d’arte non viene minimamente scalfita dalla sua presenza costante. Al contrario, il suo fascino e la sua bellezza non fanno che aumentare, specialmente quando l’oggetto mantiene la sua coerenza e significato, nonostante le varie presentazioni. D’altro canto, nel quadro di equilibrio, numerosi reperti vengono esposti per la prima volta, grazie a significativi interventi di restauro e, in alcuni casi, di ricomposizione. L’esposizione, caratterizzata da una ricerca scrupolosa e una presentazione meticolosa attraverso una gamma di supporti, richiede senza dubbio una documentazione più fruibile. Un catalogo, capace di evidenziare la ricchezza e la profondità di ciascun reperto, sembra un obiettivo ad oggi irraggiungibile, pur essendo la mostra degna di una maggiore diffusione anche cartacea e non solamente digitale. Questa mancanza di risorse editoriali, purtroppo, riduce la visibilità che la mostra potrebbe raggiungere, lasciando inespresso il suo pieno potenziale. Il personale del museo, come sempre, si distingue per la sua disponibilità e attenzione alle esigenze di ogni visitatore, arricchendo l’esperienza con una cordialità e un ascolto che danno un valore aggiunto. La mostra, che auspichiamo possa raggiungere una larga diffusione, merita di essere “illuminata” e maggiormente frequentata. Questa luce, sia in senso letterale che metaforico, che possa far risplendere il passato, rendendolo tangibile e vibrante nel qui ed ora. Qui per tutte le informazioni.