Raymonda di Marius Petipa, del 1898, e Serenade di George Balanchine, del 1934, vanno in scena in luoghi ed epoche diverse eppure sono due creazioni incredibilmente legate fra loro. Benché la prima appartenga al genere del balletto narrativo, contiene momenti di pura danza come il Grand Pas Classique Hongrois che semina le premesse per la successiva opera di Balanchine, Serenade, considerata tra i primi esempi di balletto astratto dellʼautore russo trapiantato negli Stati Uniti.
Il ballet à grand spectacle di Marius Petipa, sulla partitura composta da Aleksandr Glazunov con il libretto scritto da Lidia Pashkova – ma revisionato dallo stesso coreografo – debuttò a San Pietroburgo il 19 gennaio del 1898. Raymonda è lʼultimo grande successo di Petipa: il balletto seguente, Lo specchio magico, non riscuoterà consenso né di critica né di pubblico, delineando lʼinizio di unʼinevitabile trasformazione estetica, che segnerà gli ultimi anni di carriera del coreografo marsigliese che per oltre cinquanta anni aveva dominato la scena del balletto dei teatri imperiali in Russia. La storia di Raymonda, che attende di convolare a nozze con Jean de Brienne, impegnato nella guerra di crociata, fin dal primo momento fu apprezzata per la meravigliosa e ricca partitura musicale che sostiene le bellissime coreografie di Petipa, mentre una certa debolezza fu riscontrata proprio nella drammaturgia. Il principe Aleksandr Karl Nikolaj von Lieven, celebre ballettomane russo, disse che il balletto aveva tutto, tranne un senso. Nel 1900 a Mosca Raymonda fu presentata al Bolʼšoj con le coreografie di Aleksandr Gorskij.
Nella prima epoca sovietica il balletto fu coreografato nel 1922 da Fedor Lopukhov per il “GATOB” (abbreviazione per “Gosudarstvenny Akademichesky Teatre Opery i Baleta”), come allora era stato ribattezzato il Teatro Mariinskij. Venne poi riprodotto in Occidente, a Londra nel 1935 da Nicolas Zverev per il Balletto Lituano, e dai Ballets Russes de Monte-Carlo nel 1946 negli Stati Uniti. A più riprese Raymonda è stata presentata da Rudolf Nureev che, dalla sua prima versione del 1964 per il Royal Ballet al Festival di Spoleto a quella creata per lʼOpéra di Parigi del 1983 come neodirettore della compagnia, ebbe modo di approfondire la psicologia della protagonista evidenziando il suo disagio emotivo tra lʼamore per il fidanzato Jean de Brienne e lʼattrazione per il cavaliere saraceno Abderrahman. Nel 1976 Raymonda è stata allestita al Teatro di San Carlo di Napoli nella versione di Loris Gai con la regia di Beppe Menegatti. Gli interpreti principali furono Carla Fracci, Burton Taylor e un seducente Bruce Marks nella parte di Abderrahman.
Il Mariinskij negli ultimi anni ripropone Raymonda nella revisione di Konstantin Sergeev e con alcuni frammenti coreografici di Fedor Lopukhov, artista e teorico che è stato anche un importante modello per George Balanchine nei primi anni della sua formazione in Russia fino al 1924.
Il balletto in tre atti contiene, in realtà, magnifiche danze in stile ungherese, danze orientali e arabe, saracene e spagnole e molti altri brani in cui Glazunov si ispirò alla musicalità dei balletti di Čajkovskij per i divertissements di pura danza accademica al fine di valorizzare gli straordinari solisti della compagnia di San Pietroburgo. Il Grand Pas Classique Hongrois, che costituisce il III atto presentato dal Balletto del Teatro di San Carlo nella presente suite, è il momento conclusivo del balletto che celebra lʼunione di Raymonda e Jean de Brienne in un trionfo di virtuosistica danza accademica, con port de bras e pose in stile ungherese, che incanta per lʼarmonia della sintesi fra musica e danza. Raymonda, infatti, rappresenta un anello di congiunzione tra la dissoluzione del balletto romantico, incentrato sulla centralità del libretto e su una costruzione solida dei personaggi, e lʼavvento del balletto concertante o sinfonico che dalle prime esperienze di Gorskij e Fokin, avrà in Fedor Lopukhov un importante esponente e teorico. Nei suoi scritti pubblicati nel 1925, The Ballet Master and His Art (Puti baletmeistera), Lopukhov espone una serie di analisi in cui i balletti di Petipa sulle musiche di Čajkovskij (ma anche La figlia del faraone e La bayadère) vengono analizzati come esempi di coreografia modellata sulla forma sonata in musica, per quanto concerne i momenti non pantomimici, cioè i cosiddetti divertissements. Non si tratta solo di unʼalternanza tra tempi lenti e veloci, così come avveniva nelle suites di danze barocche alla base della nascita della forma sonata, né come avviene nella costruzione dei Grand Pas che prevedono unʼentrata, un adagio, un certo numero di variazioni e la coda con lʼapoteosi finale, struttura a forme chiuse riscontrabili in tutti i principali balletti di Petipa quali Don Chisciotte, Paquita, Bella addormentata, Lago dei cigni, Le corsaire, La bayadère e Raymonda, appunto. Si tratta di unʼanalisi specifica e approfondita in cui Lopukhov dimostra che, similmente a quanto avviene nella forma sonata, in cui cʼè unʼesposizione del tema, che viene poi sviluppato e modulato nelle variazioni in senso armonico, tematico, di tessuto, per poi tornare alla ripresa del tema principale, anche nella costruzione coreografica di Petipa si possono riconoscere elementi coreici attraverso lʼutilizzo di movimenti, passi e posizioni che si modulano e variano nellʼesecuzione ritmica, nello sviluppo spaziale, nella ripetizione e nellʼampliamento del numero degli esecutori. Lopukhov espone teoricamente i principi della composizione coreografica classica, su cui cʼè in genere una scarsa riflessione teorica, che è, invece, alla base degli sviluppi della creazione neoclassica nel corso del Novecento e del balletto sinfonico o concertante, di cui George Balanchine sarà il più prolifico esponente in occidente.
Serenade è un balletto creato da George Balanchine nel suo primo approccio col mondo americano, nel 1934, per gli studenti della School of American Ballet, appena fondata con Lincoln Kirstein e Edward M. M. Warburg a New York. La coreografia è creata sulla Serenata in do maggiore per archi, op. 48 di Pëtr Ilʼič Čajkovskij, composta dal musicista russo senza alcuna progettualità coreica nel 1880. Dalla sua prima proposizione il balletto ha ricevuto diverse revisioni ed è oggi diventato un punto cardine del repertorio del New York City Ballet. Nella struttura originaria del musicista russo è composto da quattro movimenti: Sonatina, Valzer, Elegia e Danza russa. È considerato il primo balletto “americano” di Balanchine, senza trama, quindi astratto, ma alcune scelte del coreografo, come quella di invertire il terzo movimento, lʼElegia, ponendolo alla fine, rivelano lʼintenzione di mettere in primo piano un fine evocativo e malinconico. I variegati passaggi richiamano tematiche coreografiche del balletto romantico ma inserite in un contesto a-narrativo in cui Balanchine inizia ad applicare i principi del balletto sinfonico secondo le direttive del suo maestro Lopukhov. Le diciassette ballerine, poste nel quadro iniziale in una originale figura di doppio rombo, sono al chiaro di luna e sono in VI posizione, poi gradualmente, come allʼinizio di una lezione, ruotano le gambe in I posizione ed eseguono un port de bras elementare. Da quel momento iniziano ad attraversare il palcoscenico con movimenti sempre più dinamici e veloci disegnando figure e gruppi che richiamano il modernismo dei Ballets Russes – i “fiori” con le ballerine inclinate con le braccia in III posizione come in Les noces di Bronislava Nijinska o in Apollon musagète dello stesso Balanchine – con linee coreografiche che rievocano diagonali e passaggi di Giselle, ed ancora con posizioni inginocchiate e accovacciate con le braccia incrociate come nel Lago dei cigni. Una ballerina entra in ritardo e raggiunge di corsa la sua posizione, unʼaltra cade e si rialza, tutti avvenimenti episodici accaduti durante le prove che Balanchine dichiarò di aver voluto mantenere nella coreografia definitiva. Una irruzione della casualità in quella che è una forma dʼarte, il balletto, fino ad allora contraddistinta dalla maniacale attenzione per i dettagli. Compare lʼevento imprevisto, il caso che per Merce Cunningham, coreografo contemporaneo e amico di Balanchine, diventerà la base del processo creativo aleatorio rimodellato sulle teorie di John Cage. La studiosa americana Elizabeth Kendall nel suo libro Balanchine & the Lost Muse (Oxford University Press, 2013) ipotizza che la coreografia sia dedicata alla morte improvvisa, a seguito di un incidente su un battello sulla Neva, di una sua amica e collega (compagna di corso fin dagli studi nella Scuola dei Teatri Imperiali di San Pietroburgo conclusi nel 1921), Lidia Ivanova, chiamata Lidochka. Molto cara a Balanchine, la sua morte imprevista sconvolse il giovane coreografo e tutti i membri del gruppo da lui guidato, lo Young Ballet (Molodoi Balet), proprio pochi giorni prima della loro definitiva partenza dalla Russia nel 1924, a seguito degli ulteriori sconvolgimenti politici seguiti alla scomparsa di Lenin.
Serenade è un capolavoro assoluto in cui la danza prende forma in svariate forme visive e in cui, nel finale, si può ritrovare lʼallusione ad un sogno di Balanchine che vide lʼamica morta chiedere aiuto ad Aleksandra Danilova, altra collega e a lungo compagna nellʼattività professionale del coreografo negli Stati Uniti. La ballerina con i capelli sciolti, elemento di sovversione rispetto ai canoni del balletto classico che li vuole legati e stretti alla nuca, rappresenta lʼillusoria aspirazione alla libertà artistica ed esistenziale di cui Lidochka era una genuina e spontanea rappresentante. Nel suo rigoroso atteggiamento riservato e autorevole George Balanchine non ha mai rivelato la genesi delle sue creazioni. Non si può negare che sia accaduto quanto era già avvenuto al suo amico e compatriota Igor Stravinskij che dichiarò che lʼidea per Le sacre du printemps fosse derivata da un sogno fatto durante la stesura della partitura dellʼOiseau de feu. Si tratta di supposizioni, ben documentate da Kendall, che comunque non modificano la magia e la suggestione di Serenade che avvia quella linea stilistica del balletto concertante per cui Balanchine rivendica la possibilità di visualizzare la musica attraverso la danza. Balanchine rifiutò sempre la definizione di balletto astratto, in quanto i corpi dei danzatori astratti non sono affatto ma contengono lʼincorporazione del loro personale vissuto, della loro emotività e della loro formazione artistica. Vale la sua affermazione che sostanzia il grande amore per la musica e per il suo compositore preferito: «In tutto ciò che ho fatto con la musica di Čajkovskij, ho percepito il suo aiuto. Non era una vera e propria conversazione. Ma quando lavoravo e vedevo che ne usciva qualcosa, sentivo che era stato Čajkovskij ad aiutarmi».
Nota bibliografica
Per Petipa e lʼambiente russo del suo tempo ecco i titoli di riferimento più importanti: Nadine Meisner, Marius Petipa. The Emperorʼs Ballet Master, Oxford University Press, 2019; Elena Randi, La grande stagione del balletto russo, Roma, Dino Audino, 2022.
Per Balanchine cominciamo dagli scritti del suo maestro in Russia: Fedor Lopukhov, Writings on Ballet and Music, The University of Winsconsin Press, 2002. Quindi ricordiamo almeno i seguenti testi: George Balanchine e Francis Mason, Balanchineʼs Complete Stories of the Great Ballets, Garden City-New York, Doubleday & Company, 1977; Bernard Taper, Balanchine: A Biography, University of California Press, 1987; Elizabeth Kendall, Balanchine & the Lost Muse, New York and Oxford, Oxford University Press, 2013.
Roberta Albano, laureata al DAMS presso lʼUniversità di Studi di Bologna, è docente di Storia della Danza allʼAccademia Nazionale di Danza di Roma (AND). Dal 2021 è membro del Consiglio Accademico dellʼAND. Socio fondatore di AIRDanza, Associazione Italiana per la Ricerca in Danza, dal 2021 ne è Vicepresidente. Per lʼanno accademico 2022-2023 è docente a contratto di Storia della Danza per il corso di laurea in Spettacolo, Storia e Teoria dellʼUniversità Federico II di Napoli. Con Elisabetta Testa ha scritto Nureyev & Fracci. Le due stelle che hanno illuminato la danza del secondo Novecento, Roma, Gremese, 2020. È autrice della sezione sul Teatro di San Carlo, di La danza in Italia, Roma, Gremese, 1998. Ha svolto attività di critico presso “Il Mattino” di Napoli ed ora collabora con “Campadidanza”. Ha pubblicato anche A passo di danza: scuole teatrali, collegi femminili e licei coreutici nel volume curato da Rossella Del Prete, Saperi, Parole e Mondi: la scuola italiana tra permanenze e mutazioni (sec. XIX-XXI) (Benevento, Kinetès edizioni, 2020). Ha partecipato ai comitati scientifici di vari convegni internazionali tra cui Giselle nostra contemporanea organizzato da AIRDanza nel dicembre 2022 in collaborazione con lʼAccademia Nazionale di Danza e il Teatro dellʼOpera di Roma.