100° Arena di Verona Opera Festival 2023:”Nabucco”

100° Arena di Verona Opera Festival 2023
NABUCCO
Dramma lirico in quattro parti su libretto di Temistocle Solera
Musica di 
Giuseppe Verdi
Nabucco AMARTUVSHIN ENKHBAT
Ismaele 
MATTEO MEZZARO
Zaccaria ALEXANDER VINOGRADOV
Abigaille
 ANNA PIROZZI
Fenena JOSÈ MARIA LO MONACO
Il Gran Sacerdote di Belo GIANFRANCO MONTRESOR
Abdallo RICCARDO RADOS
Anna ELENA BORIN
Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona
Direttore 
Alvise Casellati
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Regia Gianfranco De Bosio
Scene Rinaldo Olivieri
Verona, 28 luglio 2023
Quando il giovane Verdi fu messo sbrigativamente alla porta da Bartolomeo Merelli, non prima che quest’ultimo gli avesse cacciato in mano l’ingombrante libretto del Solera, aveva ben poca intenzione di mettere in musica Nabucco. Eppure quel soggetto lo intrigava, come del resto lo intrigava la Bibbia della cui lettura si dilettava spesso; in particolare la sofferenza del popolo d’Israele deportato in Babilonia lo ispirava così come da subito individuò in Zaccaria il fulcro intero della vicenda. Proprio la centralità di quest’ultimo, a cui è affidato il ruolo di difensore degli afflitti e garante di un futuro di libertà, fu il primo dei pensieri di Verdi che si preoccupò di forgiarne l’essenza ieratica e solenne. Sono ben note le discussioni col Solera, il quale non voleva saperne di mettere mano ai versi già scritti (e che Verdi giudicava prolissi), concluse con la reclusione forzata in una stanza chiusa a chiave dalla quale il librettista sarebbe uscito solo dopo aver scritto nuovamente la scena della Profezia come voleva il maestro. Ed è proprio questa atmosfera ieratica la base su cui poggia l’allestimento di Gianfranco De Bosio, risalente al 1991, una delle ultime regìe areniane strettamente aderenti alle didascalie e alla fedeltà storica delle vicende narrate. Uno di quegli allestimenti macchinosi, con lunghi cambi di scena che spesso fanno perdere la continuità dell’azione, forse vecchio per alcuni ma pur sempre godibile e bello da vedere. Una regìa pura ed essenziale che lascia lo spettatore concentrarsi sulla musica e sui versi, senza distrarlo con inutili orpelli o esagerazioni visive; in questo ben coadiuvato dalle scene di Rinaldo Olivieri con una sorta di Torre di Babele centrale a confermare lo sfondo biblico da cui muove l’intera vicenda. Proposto come sesto titolo nel cartellone del 100° Opera Festival, Nabucco aveva la voce di Amartushvin Enkhbat, baritono ormai stabile a Verona, che ha confermato le doti già espresse negli anni precedenti: musicalità, precisione, fraseggio cesellato, espressività e pieno dominio dello strumento che piega alla parola scenica a cui va ad aggiungersi una dizione chiara e limpida. Accanto a lui non ha di certo sfigurato Anna Pirozzi, Abigaille, che ha scolpito il personaggio della perfida schiava che attenta al potere ma che trova nella redenzione finale il proprio punto di arrivo. Il soprano napoletano ha saputo gestire con singolare bravura tutte le asperità del ruolo, uno dei primi importanti scritti da Verdi, risolvendo bene le ampie escursioni dal registro grave a quello acuto con grande personalità musicale ed attoriale. Il vocalmente complesso ruolo di Zaccaria è affrontato dignitosamente da Alexander Vinogradov. Certo, non è un “vocione”, il fraseggio un po’ incolore ma, nel complesso, riesce a destreggiarsi con l’ampia scrittura del ruolo. Nei panni di Ismaele Matteo Mezzaro ha risolto con dignità la sua parte, peraltro nemmeno gratificata da una pagina di ampio respiro musicale ma relegata quasi in secondo piano, schiacciata tra le figure di Abigaille e Fenena. Quest’ultima ha invece trovato in Josè Maria Lo Monaco un’interprete di bella espressività e fraseggio piegato al senso drammaturgico: di particolare intensità in “Oh, dischiuso è il firmamento” dell’ultimo atto. Il resto del cast era completato, senza ombre né bagliori particolari, da Gianfranco Montresor (il Gran Sacerdote di Belo), Riccardo Rados (Abdallo) ed Elena Borin (Anna). Sul podio dell’orchestra della Fondazione Arena Alvise Casellati, subentrante a Daniel Oren, ha imposto tempi particolarmente serrati soprattutto nel primo atto rischiando in più di un’occasione di perdere l’assieme; più che una lettura attenta dell’opera la sua quadratura musicale si è sostanzialmente allineata ad un semplice battere il tempo, peraltro non sempre con gestualità chiara, soprattutto nelle strette passanti dalla scansione quaternaria a quella binaria. Ma in questo, ancora una volta, le maestranze artistiche veronesi hanno saputo assolvere al loro compito con solido mestiere, soprattutto il coro (vero protagonista della partitura verdiana) ben preparato da Roberto Gabbiani, che ha rischiato di dover cantare il celebre Va’ pensiero per ben tre volte, fortemente sollecitato da un pubblico numeroso e coinvolto emotivamente. Repliche il 3 e il 17 agosto. Foto Ennevi per Fondazione Arena