100° Arena di Verona Opera Festival 2023: “Rigoletto”

100° Arena di Verona Opera Festival 2023
RIGOLETTO
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave
Musica di 
Giuseppe Verdi
Il Duca di Mantova YUSIF EYVAZOV
Rigoletto
 ROMAN BURDENKO
Gilda ROSA FEOLA
Sparafucile
 GIANLUCA BURATTO
Maddalena VALERIA GIRARDELLO
Giovanna AGOSTINA SMIMMERO
Il Conte di Monterone GIANFRANCO MONTRESOR
Marullo NICOLÒ CERIANI
Matteo Borsa RICCARDO RADOS
Il Conte di Ceprano ROBERTO ACCURSO
La Contessa di Ceprano FRANCESCA MAIONCHI
Un Usciere di Corte GIORGI MANOSHVILI
Un paggio della Duchessa ELISABETTA ZIZZO
Orchestra, Coro e Ballo della Fondazione Arena di Verona
Direttore 
Marco Armiliato
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Regia Antonio Albanese
Scene Juan Guillermo Nova
Costumi
Valeria Donata Bettella
Luci 
Paolo Mazzon
Coreografia 
Luc Bouy
Verona, 1 luglio 2023
Quarto titolo ad andare in scena e seconda nuova produzione, c’era molta curiosità attorno a questo Rigoletto firmato Antonio Albanese che a Verona aveva già allestito un Don Pasquale nel 2013. Il capolavoro verdiano, da sempre amato dai melomani, è una di quelle creazioni teatrali che induce spesso in tentazione i registi che ne vogliono dare una personale lettura; del resto lo stesso compositore era stato subito attratto dal forte contrasto tra la deformità esteriore del gobbo e la pienezza della nobiltà d’animo con il suo slancio paterno e passionale. Una metafora della distorsione morale e per questo considerato soggetto indesiderato prima dalla censura francese (sul lavoro di Victor Hugo) e poi da quella austriaca a Venezia: il motivo, ancor prima che politico, era di natura etica poiché una siffatta vicenda grottesca non era considerata degna di un teatro d’opera, soprattutto di un teatro come La Fenice. Ma il nostro buon Verdi, che di teatro ne sapeva molto e desiderava storie complesse su cui scolpire i suoi personaggi, rimase folgorato ed ossessionato dalla grandiosità di Le Roi s’amuse di Hugo non trovando pace fino a quando non ne avesse ricavato un’opera. L’approccio di Albanese è innovativo e prudente allo stesso tempo: come cita nelle note di regia, non vuole impossessarsi del melodramma né stravolgerlo quanto affermare la propria cifra autoriale senza tuttavia imporsi su Verdi. La trasposizione della vicenda in una locanda del Polesine negli anni ’50 del secolo scorso vuole idealmente veicolare le suggestioni e le atmosfere di Rigoletto in una nuova dimensione senza smarrirne il messaggio originale; la stessa ambientazione padana e il richiamo al cinema neorealista traccia un parallelo tra la drammaturgia verdiana ed il recente passato del nostro paese appena uscito dalla guerra. Se davvero il Cigno di Busseto può parlarci del presente, come se vivesse ai nostri giorni, ecco dunque che l’idea teatrale di Albanese prende forma sotto un’altra luce. Suggestive le scenografie di Juan Guillermo Nova, non invasive e ben aderenti alla regìa che prende i personaggi spostandoli dalla Corte di Mantova ad una corte rurale dove il Duca è un proprietario terriero e Rigoletto il suo factotum/fattore. Originale l’idea, sul lato sinistro, di un piccolo cinema all’aperto con la proiezione, durante il Preludio, di un breve frammento di Bellissima di Luchino Visconti così come appropriati e pertinenti sono i costumi di Valeria Donata Bettelli i quali, se non rendono le differenze sociali richiamate da una corte rinascimentale, mettono a nudo le diverse personalità e profondità dello scibile umano. Le luci di Paolo Mazzon, mai invasive ma sempre adeguate allo scorrere degli eventi, hanno sempre interagito con correttezza allo stesso modo delle coreografie di Luc Bouy che richiamavano velatamente i giochi dei bambini e dei ragazzi all’aria aperta in tempi lontani da smartphone e tablet. Chi, come il sottoscritto, non nutre particolari simpatie per le regìe innovative, soprattutto quando queste fanno a pugni con il libretto e le didascalie, questa volta ha avuto ben poco da storcere il naso: lo spettacolo è godibile e qualche vezzo visivo è comunque rispettoso della centralità della musica e del protagonista così come lo ha scolpito Verdi, con la sua rabbia, la frustrazione e la solitudine. Entrando nel merito della musica, il ruolo principale era sostenuto da Roman Burdenko, già Deus ex machina del disastroso Galà Domingo dello scorso anno quando salvò una serata già compromessa dall’ex tenore spagnolo; è un baritono di buona vocalità, a tratti ruvida, purtroppo genericamente scenico e non scava nel personaggio, peraltro reso chiaro e limpido dalla stessa musica. È mancato in sostanza il caleidoscopio emotivo che anima il gobbo, buffone cinico e spietato ma capace di commuoversi al caro ricordo della moglie, padre affettuoso e colmo di premure, terrorizzato dallo spettro della maledizione, uomo vendicativo che non esita a concepire l’assassinio assoldando un sicario. L’ingrato compito di impersonare l’odioso ed antipatico Duca di Mantova è toccato a Yusif Eyvazov, già Radames nell’Aida di apertura e presenza ormai stabile a Verona, qui al debutto nel ruolo (almeno in Italia); una prova iniziata distrattamente, con qualche amnesia nel testo di Questa o quella e con un attacco mancato in Ah sempre tu spingi lo scherzo all’estremo ma risolta poi nel corso del secondo e del terzo atto. Una voce poco ammaliante, cosa già detta e ripetuta, ma dotata di un grande fraseggio e ciò non è poco soprattutto in È il sol dell’anima e Parmi veder le lagrime e nel celebre quartetto del terzo atto. Sorvoliamo sulla celebre canzonetta  “La donna è mobile, che pure ha sollevato ovazioni tra il pubblico (ancora una volta: possibile che nell’immaginario popolare Rigoletto sia ridotto solo a questo?) e risolta con un sicuro e stentoreo si naturale. Rosa Feola, chiamata all’ultimo a sostituire la collega in cartellone, ha delineato una Gilda di bella voce e bella presenza, credibile nei panni della ragazza ingenua e sprovveduta: il suo Caro nome è stato una vera icona dell’innocenza giovanile al primo amore. Sicuro e spavaldo lo Sparafucile di Gianluca Buratto, dal grottesco incontro con Rigoletto al tragico epilogo; anch’esso un personaggio ben delineato nella vicenda, losco figuro dedito al brigantaggio e all’omicidio su commissione quanto animato da un’etica professionale che aborrisce il tradimento verso il cliente. Ottima anche Maddalena, che aveva la voce di Valeria Girardello, ruolo per nulla semplice da sostenere, in bilico tra seduzione, capacità amatorie e sentimento sincero. Il resto del cast annoverava i sicuri ed esperti Agostina Smimmero (Giovanna), Gianfranco Montresor (Monterone), Nicolò Ceriani (Marullo), Riccardo Rados (Borsa), Roberto Accurso (Ceprano), Francesca Maionchi (la Contessa), Giorgi Manoshvili (Un usciere) ed Elisabetta Zizzo (Paggio), ognuno dei quali ha condotto dignitosamente in porto la serata. Marco Armiliato ha tenuto le redini di una partitura che certamente non brilla per magistero sinfonico ma di certo sa interagire con l’azione drammatica raccontandone ed evidenziandone ogni sfumatura caratteriale; la sua concertazione si è mantenuta perciò attenta ad assecondare il canto senza particolari bagliori ma fornendo un approdo sicuro alle insidie che la musica di Verdi è sempre pronta a tendere. Il coro, in un ruolo apparentemente marginale quanto invece importante nell’interazione scenica, ha fornito una buona prova grazie anche al posizionamento agevole (ai limiti della staticità) sul palcoscenico. Un’ultima considerazione. Questo è il quarto spettacolo visto e dobbiamo riportare un’impressione poco rassicurante: quella cioè di spettacoli montati in fretta e furia, anche a ridosso dell’orario di inizio, e che si reggono su un equilibrio precario (in Rigoletto anche un imprevisto tecnico che ha interrotto l’esecuzione nel primo atto) forse perché provati poco o nulla. Dobbiamo per questo dare atto alla grande professionalità dalle maestranze artistiche e tecniche della Fondazione Arena che nonostante tutto riescono sempre a risolvere le difficoltà. Sarebbe il caso che la Sovrintendenza e la Direzione Artistica ci ragionasse sopra dal momento che questo Festival ha risonanza mondiale oltre ad una cospicua ricaduta in termini economici e di turismo sulla città. Repliche il 7 e 20 luglio e il 4 agosto.
Foto Ennevi per Fondazione Arena