Venezia, Teatro La Fenice, Lirica e Balletto, Stagione 2022-2023
“DER FLIEGENDE HOLLÄNDER”
Romantische Oper in tre atti
Musica e libretto di Richard Wagner
Daland FRANZ-JOSEF SELIG
Senta ANJA KAMPE
Erik TOBY SPENCE
Mary ANNELY PEEBO
Der Steuermann LEONARDO CORTELLAZZI
Der Holländer SAMUEL YOUN
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice con la partecipazione del Coro Taras Shevchenko National Academic Opera and Ballet Theatre of Ukraine
Direttore Markus Stenz
Maestri dei Cori Alfonso Caiani, Bogdan Plish
Regia Marcin Łakomicki
Scene Leonie Wolf
Costumi Cristina Aceti
Light designer Irene Selka
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, 25 giugno 2023
La genesi di Der fliegende Holländer è legata a un drammatico frangente in cui si trovò l’autore nel settembre 1839. Costretto a fuggire, per sottrarsi ai creditori, da Riga, era diretto, insieme a Minna e al cane Robber, a Parigi. Giunto a Königsberg, si imbarcò sulla goletta Thetis, senonché la nave incappò in una serie di violente tempeste, che lasciarono nel compositore un ricordo indelebile. La paura provata durante la traversata – unita alla suggestione prodotta in lui dal canto dei marinai – gli tornava ancora alla mente, quando a Parigi mise mano al libretto dell’Olandese volante. Ma ad influenzare Wagner nella stesura fu anche la lettura di Memoiren des Herrn von Schnabelewopski (1834) di Heine, che lo avvicinò al mito nordico del marinaio maledetto, condannato ad errare sul mare fino al Giorno del Giudizio, e redento solo dall’estremo sacrificio di una fanciulla a lui fedele fino alla morte. Wagner basò la vicenda sul tema prediletto dell’amore come redenzione, qui incarnato da Senta, la cui Ballata rappresenta uno snodo fondamentale della vicenda, contenendo motivi musicali – il mare, l’Olandese, la tempesta, la redenzione, la morte –, che si ricorrono nell’opera. È un primo passo verso l’adozione di un organico sistema di leitmotive, che avverrà compiutamente nelle opere mature. Nell’Olandese, il materiale musicale si articola ancora nei tradizionali ”numeri”, seppur legati tramite dissolvenze incrociate. Per quanto riguarda l’impostazione registica di Marcin Łakomicki, essa si basa su alcuni presupposti, non tutti – a nostro avviso – convincenti. Il più azzardato ci pare quello, secondo cui andrebbe ridimensionata, se non negata l’importanza del mare, lo giustificherebbe il fatto che nell’opera nessuna azione si svolge su questo elemento naturale. In realtà il mare costituisce un terzo personaggio principale – ispiratore di grandiose idee musicali –, al quale Wagner attribuisce un ruolo fondamentale, vedi le tante didascalie fornite, in proposito, dal libretto. Più fondata appare l’idea che Der fliegende Holländer – rispetto ai precedenti drammi storici – racchiuda un significato più universale. In questa chiave il regista polacco legge la vicenda e i suoi protagonisti, che vede accomunati da opposti desideri: l’Olandese cerca un “Ubi consistam”; Senta, vorrebbe “partire”, lasciare la propria deludente quotidianità con i connessi compiti muliebri. Nell’opera, tra l’altro, Łakomicki coglie una contrapposizione tra mondo maschile e mondo femminile: le donne hanno il compito di raccontare le vicende degli uomini e, in questo senso, detengono molto potere. Tutto questo intende evidenziare questo nuovo allestimento, nel quale, peraltro, non mancano soluzioni abbastanza scontate o di non facile decodificazione. In esso è assente ogni riferimento “marino”, a parte la presenza, nel primo atto, dello “scheletro” di una prora, appartenente alla nave di Daland – che si illumina quando il padre di Senta è come abbagliato dall’idea dei tesori offertigli dall’Olandese in cambio della mano della fanciulla – e l’apparizione di una scogliera, che ricorda il Giant’s Causeway. La scena – dove, nel secondo atto, una cornice sta forse a delimitare una realtà fantasmatica – è piuttosto spoglia e monocromatica, puntando all’astrazione; le luci sono in genere soffuse con “impressionistici” cambi di colore; i costumi, poco colorati e di quotidiana semplicità, rivelano una foggia novecentesca. La chiave di lettura di Łakomicki attinge ampiamente al Mito del Doppio, espressione dell’immaginario collettivo fra Romanticismo e primo Novecento. Senta canta la sua ballata – non si vede però il ritratto del pallido marinaio, cui ella si amorevolmente rivolge – in presenza del suo doppio. E un doppio hanno anche Daland, Erik e l’Olandese, che nell’ultimo atto appare bendato (significa che – novello Edipo – in quel momento “vede” dentro di sé?). Intanto una schiera di bambine vestite di bianco – replicazione dell’innocenza salvifica di Senta? – continua a prodigarsi mettendo in comunicazione mondo fantasmatico e mondo reale… Fino all’olocausto finale, in cui però non succede nulla: Senta non si getta in mare né sale al Cielo abbracciata all’Olandese. Rimane immobile. Sul versante musicale, la direzione di Markus Stenz accentua i contrasti, in particolare a livello agogico, per coinvolgere emotivamente lo spettatore. La sua lettura compensa certe carenze – dianzi rilevate – della messinscena, portando alla luce la ricchezza semantica della grande partitura wagneriana. Buona la prova dell’orchestra. Quanto ai cantanti, vera mattatrice ci è sembrata Anja Kampe – tra i più interessanti soprani drammatici di oggi, particolarmente adatta ai ruoli wagneriani –, che ha disegnato, con voce stentorea, una Senta determinata nel propugnare il proprio rifiuto delle convenzioni sociali. Al di là di qualche forzatura nella zona acuta, la sua interpretazione è stata diffusamente convincente. Meno riuscito ci è sembrato l’Olandese offerto dal baritono Samuel Youn, che ha rivelato un’emissione poco fluida e qualche asprezza nel timbro, oltre a sporadiche difficoltà nell’intonazione, consegnandoci un personaggio, in parte privo quell’aura spettrale ed eroica, evocata intorno a lui dalla musica di Wagner. Convincente il Daland di Franz-Josef Selig, grazie all’uso intelligente della propria voce di basso, brunita e profonda, evitando opportunamente di scivolare nel caricaturale. Positiva la prova dei due tenori: Toby Spence, che al bel timbro ha saputo coniugare un’espressività diffusamente intensa ma mai sopra le righe, nel dar voce alle pene d’amore di Erik, e Leonardo Cortellazzi (un nostalgico Der Steuermann) analogamente apprezzabile quanto a vocalità ed equilibrio interpretativo. Di sicura professionalità Annely Peebo come sussiegosa Mary.Encomiabili le masse corali: il Coro del Teatro La Fenice e il Coro Tars Shevchenko dell’Accademia Nazionale di Opera e Balletto dell’Ukraina, istruiti rispettivamente da Alfonso Caiani e Bogdan Plish. Applausi reiterati a fine serata e un timido dissenso, forse diretto a Youn.