Milano, Teatro alla Scala: Carla Fracci Gala 2023

Milano, Teatro alla Scala, Stagione lirica 2022/23
“GALA FRACCI 2023”
Coreografie Michail Fokin, Roland Petit, Pierre Lacotte Da Maria Taglioni, John Neumeier, Manuel Legris, Amedeo Amodio, Rudolf Nureyev, Marius Petipa, Lev Ivanov, Christopher Wheeldon, Sergej Vikharev.
Musiche Carl Maria Von Weber, Henry Dutilleux, Jacques Offenbach, Fryderyk Chopin, Giuseppe Verdi, Claude Debussy, Nikolai Čerepnin, Pëtr Il’ič Čajkovskij, Arvo Pärt, Aleksandr Glazunov
Artisti ospiti: Alessandra Ferri, Roberto Bolle, Davide Dato, Jacopo Tissi
Corpo di ballo e Orchestra del Teatro alla Scala di Milano
Direttore Kevin Rhodes
Milano, 7 giugno 2023
Seconda edizione del Gala Fracci in Scala, e non sarà l’ultima. Ormai sembra che il tradizionale Gala des etoiles sia stato dedicato a colei che tra le etoiles è stata tra le più luminose, Carla Fracci. La serata è cominciata con Le spectre de la rose, con Letizia Masini e Jacopo Tissi. Il tenue filo conduttore esposto, l’omaggio a Carla Fracci – sicuramente molto facile, visto che nella sostanza ha ballato quasi tutto – ci ha sottolineato come questo balletto fosse stato tra primi danzati dalla Fracci, licenzianda; ma aggiungiamo che fu anche tra gli ultimi, esibito in Giappone nel 1998 all’età di 62 anni, insieme a un ancora acerbo Roberto Bolle, nominato primo ballerino del Teatro alla Scala circa due anni prima, alla sola età di 21 anni. L’esibizione è stata gradevole, ma Jacopo Tissi ci è apparso un più asciutto nelle movenze, soprattutto rispetto ad altre grandi esibizioni che fanno gran dispiego della sinuosità del ballerino rosa, come quella – solo per citarne una – dello stesso direttore Legris di parecchi anni orsono. Il passo a due da Le loup di Roland Petit ci è sembrata una scelta sfidante, perché si tratta di un balletto sicuramente poco rappresentato rispetto ad altri dello stesso Petit, ma che è nel repertorio dell’Opera di Parigi, e quindi deve essere stato scelto sicuramente da Legris per parentela al teatro in cui si è formato. Alla Scala arrivò nel 1963, danzato da Carla Fracci e dallo stesso Roland Petit. Questa prima fu quindi registrata da Montale, per circa vent’anni corrispondente fisso delle prime alla Scala, e troviamo qui conferma del fatto che il clima del balletto sia narrativo, come lo sono tutti quelli di Petit. Quel che abbiamo invece visto nel passo a due messo in scena da Martina Arduino e Marco Agostino è una serie di passi ben danzati, ma di cui non abbiamo compreso le dinamiche di coppia. La donna dovrebbe essere una ragazza che scopre che il promesso l’ha ingannata: si fece passare per lupo per dileguarsi con un’altra donna di cui si era invaghito, facendola ammogliare con un vero lupo, per poi però scoprirsene innamorata, perché si tratta di un lupo buono, contro invece l’odio e lo sgomento di tutti. Le dinamiche dei passi tra donna e lupo, in virtù di ciò, ci sono quindi sembrate poco chiare: forse perché decontestualizzate, o forse perché non si è riuscita a centrare l’interpretazione dei personaggi. A seguire, il Grand pas de deux da Le papillon, l’unica coreografia firmata dalla Taglioni. Il passo a due ha visto una Linda Giubelli e Nicola del Freo un po’ rigidi. La situazione è migliorata con le variazioni e la coda, dove i due sono stati parecchio applauditi dopo le variazioni. Il passo a due dal II atto de La Dame aux camélias ha avuto come protagonisti Nicoletta Manni e Roberto Bolle. I due sono stati veri protagonisti, e la contemporaneità della coreografia, innestandosi nel filone del ballet d’action, ritenuto ormai da molti patrimonio di un’epoca remota, è emozionante. La ballerina è a capelli sciolti, e parecchi sono i fuori peso, per i quali la sintonia tra i due ballerini deve essere massima per poter avere quella scioltezza necessaria a dare un’impressione di fuggevole compostezza che si rinnova ad ogni istante. La musica di Chopin aggiunge il resto. Ha chiuso la prima parte di questo Gala la Verdi Suite coreografata qualche anno fa dal direttore Legris. Protagonisti del pezzo Alice Mariani, Maria Celeste Losa, Claudio Coviello, Federico Fresi, Mattia Semperboni, Caterina Bianchi e Gabriele Corrado. Tra tutti, teniamo a registrare il successo di Alice Mariani, che ha danzato in maniera molto ispirata; infatti, soprattutto una sua variazione ha ricevuto applausi a scena aperta. La serata è ripresa con L’Apres midi d’un faune per la coreografia di Amedeo Amodio, con Agnese Di Clemente e Domenico Di Cristo. Soprattutto quest’ultimo si conferma, serata dopo serata, un astro nascente della scena scaligera, con una danza pulita e ispirata che non sbaglia un colpo. Ci auguriamo vivamente che continui così! La variazione dal Pavillon d’Armide dell’ormai celebre ospite Davide Dato – portato in quest’occasione per la prima volta in Scala dal direttore Legris dalla scena viennese, di cui lo stesso Legris fu direttore – è stata una presenza troppo fugace per poterla apprezzare appieno. Ci auguriamo che possa essere di nuovo ospite in una posizione che possa metterlo maggiormente in luce. Il pas de trois dal Lago dei cigni danzato da una Nicoletta Manni in splendida forma e da Timofej Andrijashenko e Christian Fagetti ha avuto la giusta carica e brio. Applausi meritati, seppure ci aspettiamo di più da Andrijashenko e Fagetti, presenze consolidate e di splendida caratura della scena scaligera. Protagonisti, con la p maiuscola, sono poi state le due stelle più attese della serata, Alessandra Ferri e Roberto Bolle, con After the rain. Soprattutto la Ferri è stata salutata con calore da coloro che non pensavano di vederla di nuovo in scena alla Scala, e proprio con Bolle, con cui danzò nel 2007 sia il suo saluto all’American Ballet Theatre a New York con Romeo e Giulietta, sia a Milano con gli stessi intenti La Dame aux Camélias. Sappiamo tutti come poi non seppe star lontano dalla danza; e lei, come la Fracci, dimostra come oggigiorno il ruolo del ballerino sia cambiato, di come oltre al fervore della giovinezza, la maturità necessiti di un ripensamento di ruoli e di coreografie che incanalino gli entusiasmi di questa nuova fase di vita. Fu infatti proprio la Fracci, con spettacoli come L’heure exquise di Bejart, a far emergere queste esigenze; e la Ferri ha recentemente raccolto il testimone, portando di nuovo in scena questo spettacolo (qui la nostra recensione). Ha chiuso la serata il Pas classique hongrois da Raymonda. Crediamo che ciò significhi ben oltre una semplice rimessa in scena. È un momento significativo, soprattutto per i danzatori, perché dopo poco più di dieci anni finalmente hanno potuto rimettere in scena una parte di coreografia per cui hanno tanto faticato. Infatti, nel 2012 Sergej Vikharev – coreografo noto, e anche osteggiato in patria, per le ricostruzioni filologiche dei balletti di Petipa – aveva riscostruito tutto il balletto di Raymonda proprio qui in Scala, visto che era principalmente noto e inferito da pochi frammenti, come il Pas classique hongrois. È stata quella un’occasione sentita, se alcuni danzatori del corpo di ballo hanno ricordato su Instagram tale momento, la gran fatica, la cura minuziosa di ogni singolo dito o nota musica, rammentandolo con affetto: “un ballerino e un artista che sapeva cos’era la danza e sapeva farla amare”. È una riflessione da farsi, non solo per un po’ di tenero amarcord: parliamo di mesi di lavoro e di preparazione per uno spettacolo, che chissà quando mai potrà essere riportato di nuovo in scena. Applausi finali per tutti, e attese fuori dal teatro all’uscita artisti per i due protagonisti principali, Alessandra Ferri e Roberto Bolle.Ph. Teatro alla Scala / Brescia – Amisano