“LA FORZA DEL DESTINO”
Melodramma in quattro atti su libretto di Francesco Maria Piave dal dramma Don Álvaro o la fuerza del sino di Ángel Perez de Saavedra
Musica Giuseppe Verdi
Fra’ Melitone SERGIO VITALE
Preziosilla NINO SURGULADZE
Mastro Trabuco ORLANDO POLIDORO
Il Marchese di Calatrava CRISTIAN SAITTA
Curra FEDERICA GIANSANTI
Un Alcade FABRIZIO BRANCACCIO
Un chirurgo TONG LIU
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Asher Fisch
Maestro del coro Gea Garatti Ansini
Regia, scene e costumi Yannis Kokkos
Luci Giuseppe Di Iorio
Coreografia Marta Bevilacqua
Projection Designer Sergio Metalli
Drammaturgia Anne Blancard
Produzione del Teatro Comunale di Bologna con Teatro Regio di Parma, Teatro Massimo di Palermo e Opéra Orchestre National Montpellier Occitaine
Bologna, 17 giugno 2023
C’è chi non la nomina neppure, per tema che porti sventura; e poi c’è il Comunale, che invece la mette in cartellone nell’anno difficile del trasloco. Fuori dagli schemi, non da tutti, ma da tanti sì, in una parola: sperimentale; c’è chi la ama alla follia e chi resta perplesso.
Asher Fisch forse appartiene alla seconda categoria. La sua direzione si contenta (per così dire: in effetti non è poco) della bella esecuzione di quanto è scritto, senza decollare con un piglio drammatico preciso alla volta dell’evento teatrale. Almeno questa è la sensazione. Splendidamente assecondata dall’orchestra bolognese cui l’edonismo timbrico non manca mai, la lettura di Fisch è accurata e cauta, velata di uno scetticismo pacato, poco contrastata, improntata alla sobrietà. Nell’allestimento, la sobrietà cromatica confina con il grigiore. La produzione è quella visivamente elegantissima e raffinatissima con cui si è inaugurato lo scorso Festival Verdi, regia scene costumi di Yannis Kokkos. Ma scesa a compromessi con lo spazio cinematografico del Nouveau: scesa, appunto, di altezza. La grafica sagoma di facciata e campanile della Vergine degli Angeli diventa una silhouette proiettata, con campitura di mattoni padani in omaggio al Divo Petronio. E se nell’impianto scenico il fondale animato, col suo nubiloso moto perpetuo, si guadagna un protagonismo imprevisto, poco o nulla cambia invece dell’impianto registico: l’inverosimile vicenda si svolge nel secondo conflitto mondiale (o in qualcosa che gli somiglia parecchio). L’intuizione è felice: come l’opera, con disordine romantico, si fa teatro del mondo che tutto accoglie e rappresenta, così la guerra mondiale, con le sue proporzioni, coinvolge e travolge tutti i corpi sociali. La stessa intuizione aveva avuto Georg Wilhelm Pabst nel ‘53 al Maggio Fiorentino, quando quell’esperienza era ancora bruciante nella memoria comune e l’idea registica tanto scandalosa da scatenare l’opposizione preventiva di cantanti e critica. Dunque in quest’opera centralissimo è il coro: sempre ottimo quello del Comunale diretto da Gea Garatti Ansini, che alterna le sue sonorità corpose e dense a sfumature che non sono meramente di dinamica, ma intimamente espressive. Erika Grimaldi si guadagna tutto il protagonismo che le promette la locandina: voce piena, morbida, rotonda, ricca di armonici; l’amorevole cura dedicata all’emissione produce effetti di grande eleganza, che rasentano il brivido nella celebre “Pace, Pace, Mio Dio”. Dello stesso sangue e della stessa morbidissima pasta vocale il di lei fratello, Don Carlo di Vargas, nel nostro mondo reale Gabriele Viviani, baritono dall’espressività di gusto deliziosamente vintage. Roberto Aronica, nella parte dell’infelice Alvaro, ha subitanee fiammate scoppiettanti di squillo, che s’inseriscono su un canto cui è congenito un certo qual vibratino, e che talvolta piega al lamentoso: ma forse è per via l’emissione non rilassata. Ad ogni modo, il volume non gli manca certo. Rafał Siwek ha del Padre Guardiano l’attititudine aristocratica e altera, la voce ampia, scura, vagamente opaca. Roberto De Candia scaricò la soma sul dorso al Melitone di Sergio Vitale: che ha onorato il bellissimo ruolo con timbro luminoso e dizione chiara, ma soprattutto con la sua verve. Convince meno la Preziosilla di Nino Surguladze: voce solida e di buon volume, ma dall’espressività piuttosto generica e un approccio al registro acuto del non facile ruolo, che ci è parso problematico.Il cast si completa con il Calatrava sonoro e pieno di Cristian Saitta e il Trabuco spassoso e lagnoso di Orlando Polidoro. Il pubblico ha salutato con favore il ritorno del titolo dopo quarant’anni esatti di assenza.