100° Arena di Verona Opera Festival 2023
“IL BARBIERE DI SIVIGLIA”
Melodramma buffo in due atti su libretto di Cesare Sterbini
Musica di Gioachino Rossini
Il conte d’Almaviva ANTONINO SIRAGUSA
Bartolo CARLO LEPORE
Rosina VASILISA BERZHANSKAYA
Figaro DALIBOR JENIS
Basilio MICHELE PERTUSI Berta MARIANNA MAPPA
Fiorello/Ambrogio NICOLÒ CERIANI
Un ufficiale LORENZO CESCOTTI
Orchestra, Coro e Ballo della Fondazione Arena di Verona
Direttore Alessandro Bonato
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Maestro al cembalo Richard Barker
Continuo Sara Airoldi, Riccardo Mazzoni
Regia, Scene, Costumi e Luci Hugo De Ana
Coreografia Leda Lojodice
Verona, 24 giugno 2023
Era il 1996 quando il Barbiere rossiniano faceva il suo debutto nell’anfiteatro veronese (senza contare un’apparizione ottocentesca) con la messa in scena di Tobias Richter e un quintetto stellare formato da Cecilia Gasdia, Leo Nucci, Ramon Vargas, Enzo Dara e Ruggero Raimondi. Sul podio c’era l’autorevole bacchetta di Claudio Scimone. Vinta quella che sembrava un’autentica sfida per gli ampi spazi areniani, la monumentale partitura (che non cessa mai di stupire per la straordinaria modernità a dispetto dell’epoca in cui fu scritta) venne nuovamente riproposta undici anni più tardi, nel 2007 da Hugo De Ana e rimessa in scena altre quattro volte negli anni seguenti. Tornato nuovamente come terzo titolo di questo festival numero 100, l’allestimento del regista argentino risulta ancora oggi fresco, delizioso e perfettamente funzionale alla vicenda narrata. Non essendo un’opera kolossal, De Ana si preoccupa di riempire gli ampi spazi areniani di mimi e danzatori che concorrono all’azione con movimenti coordinati che li fanno sembrare spesso dei carillon; un moto perpetuo, con alcune trovate eleganti e garbate ma che alla lunga tendono a distrarre lo spettatore dal centro della scena, soprattutto durante i recitativi che sono poi il fulcro della trama stessa. Particolare attenzione è data alla sciocca ed avida gelosia di Bartolo, oggetto di scherno che alla fine verrà comunque “infinocchiato”; Figaro, Rosina e Almaviva/Lindoro se lo rigirano a piacimento come un calzino. Un allestimento dunque che, tra regìa, scene, costumi rococò e luci non ha perso il suo fascino e la leggerezza originali e che fa scorrere la commedia annullandone gli effetti della sua stessa lunghezza, grazie anche alle ridondanti coreografie di Leda Lojodice. Unica perdita, rispetto agli anni precedenti, sono i giochi pirotecnici al termine dell’opera, in seguito al veto opposto dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali. Sul podio vi era il debutto del giovane veronese Alessandro Bonato che si mantiene fedele all’edizione Ricordi curata da Alberto Zedda già in uso al Rossini Opera Festival; contrariamente alle precedenti edizioni areniane sono state qui tolte le incrostazioni sedimentate nel corso degli anni, i tempi sono adeguati alla parola scenica con particolare cura al canto sillabato, al fine di rendere intelleggibile l’articolazione del testo. Il maestro, con alcune scelte coraggiose per la vastità areniana, non rinuncia agli effetti orchestrali voluti da Rossini come il battuto, i colpi d’arco e il suono sul ponticello; nei recitativi ha introdotto oltre al cembalo, anche il violoncello ed il contrabbasso. L’opera viene offerta integrale, tutte le arie, le cavatine e le cabalette sono con le variazioni sul da capo e per la parte di Rosina viene ripristinato il registro originale di mezzosoprano in luogo di quello sopranile utilizzato nelle precedenti messe in scena. La direzione di Bonato si mantiene sobria, lineare e funzionale al palcoscenico: ampio merito va dato all’orchestra della Fondazione Arena e alle sue prime parti (flauto, oboe, clarinetto e corno) che hanno fornito una prestazione di alta professionalità musicale. La compagnia di canto si presentava ricca ed omogenea, a partire dal mezzosoprano Vasilisa Berzhanskaya, già ascoltata come Charlotte nel recente Werther al Filarmonico: conferma il suo bel colore vocale, dotato di un registro grave pieno e sonoro unito ad eleganza ed intelligenza musicale, tratteggiando una Rosina decisa e persino combattiva, disposta a tutto per riscattare la propria condizione e conquistare l’agognata felicità. Almaviva vedeva il sicuro ed esperto Antonino Siragusa con la sua ampia vocalità in grado di sfidare le distanze dell’anfiteatro; unica nota, qualche sbiancatura nel registro acuto, di tanto in tanto, ben poca cosa a fronte di una prestazione teatrale di grande scuola, una lezione di stile ed una dizione chiara e limpida. Nel ruolo principale il baritono slovacco Dalibor Jenis, già Figaro in due precedenti edizioni areniane, non delude in un ruolo a lui congeniale ma viziato da qualche pecca di pronuncia; anche qui poca cosa a fronte di una sicurezza vocale e scenica di tutto rispetto. Degno di nota, se mai ce ne fosse bisogno, è il Bartolo di Carlo Lepore, interprete dotato di spirito teatrale ed attoriale unito a profondità di indagine del personaggio e grande intelligenza musicale; invidiabile la sua mimica facciale ed il suo sguardo eloquente più di mille parole, come del resto è esemplare il suo sillabato rossiniano. Michele Pertusi, rientrato nei ranghi a lui congeniali dopo il generico Ramfis dell’inaugurazione del festival delinea un Basilio pedante, parruccone, ottusamente arraffone ed opportunista interpretando la celebre “Calunnia” con alto magistero teatrale. Non meno brava la Berta di Marianna Mappa che riesce con grande maestria a districarsi nel non facile ruolo; non dimentichiamo che nella stesura originale Rossini scrisse la parte frettolosamente, pressato dagli impegni, e mai con continuità. La tessitura di Berta oscilla così tra il registro sopranile e quello di mezzo e richiede sempre un’interprete all’altezza della situazione che la Mappa affronta con disinvolta capacità attoriale unita ad una solida linea di canto dimostrata in quello scoglio del secondo atto, Il vecchiotto cerca moglie. Con navigato mestiere completavano il cast Nicolò Ceriani nel duplice ruolo di Fiorello ed Ambrogio e l’ufficiale di Lorenzo Cescotti. Doveroso sottolineare l’impegno del coro della Fondazione, affidato alle cure temporanee dell’espertissimo Roberto Gabbiani; il risultato c’è e si vede. Peccato che le maestranze areniane non possano giovarsi in chiave stabile delle esperienze di grandi e qualificati maestri; tutto quanto essi fanno va in larghissima parte a loro merito. Pubblico numeroso e grande successo di spettacolo. Repliche il 30 giugno e il 13 e 22 luglio. Foto Ennevi per Fondazione Arena.