Venezia, Teatro la Fenice, Stagione Sinfonica 2022-2023, Concerto straordinario
Orchestra “Haydn” di Bolzano e Trento
Direttore Min Chung
Felix Mendelssohn Bartholdy: Sinfonia n. 3 in la minore op. 56 “Scozzese”; Johannes Brahms: Serenata n. 1 in re maggiore op. 11
Venezia, 8 maggio 2023
L’Orchestra “Hadyn” di Bolzano e Trento, guidata dal suo direttore-ospite principale, Min Chung, era sul palcoscenico del Teatro La Fenice per questo concerto straordinario, nell’ambito della Stagione Sinfonica 2022-2023. Il giovane direttore coreano ha diretto due pagine sinfoniche del grande repertorio romantico tedesco: la Sinfonia n. 3 “Scozzese” di Felix Mendelssohn Bartholdy e la Serenata n. 1 op. 11 di Johannes Brahms, entrambe risposte alla vexata quaestio del rapporto tra sensibilità romantica e neoclassico controllo delle passioni.
Come l’“Italiana, anche la “Scozzese” trae ispirazione da un viaggio di formazione. Nel 1829 Mendelssohn aveva visitato l’Inghilterra e la Scozia, restando profondamente colpito dal carattere nordico e ossianico di quelle terre. Nondimeno sarebbe riuscito a tradurre in musica tali suggestioni solo al termine di una lunga gestazione, dopo aver raggiunto la maturità creativa, e con essa la capacità di controllare l’impeto dell’emozione, grazie ad una consolidata padronanza della forma. Ciò non significa che Mendelssohn, nel produrre la sua ultima Sinfonia (tale è la “Scozzese” considerando l’ordine di composizione), non adotti soluzioni innovative, volte ad instaurare un sublime equilibrio tra il piano formale e quello espressivo: a tale scopo, fonde i tradizionali quattro movimenti in un’unica sequenza, inserita tra un’introduzione e una conclusione, contrastanti ma complementari; inoltre unifica lo Scherzo, eliminando il Trio. Ne risulta un lavoro di grande impatto emotivo, pur provenendo da un autore, generalmente definito “il più classico dei romantici”. Questa, almeno, è l’impressione suscitata in noi dall’interpretazione di Min Chung, che ci sembra abbia messo in risalto la drammaticità, che percorre questa partitura. La sua concertazione accentuava i contrasti timbrici e dinamici, e quasi enfatizzava la valenza emotiva, sottesa a una scrittura pur sempre rispettosa della forma e con elaborati passaggi contrappuntistici. Così è stato nel primo movimento: dalla malinconica Introduzione (ispirata dalla visita alle rovine della Cappella di Maria stuarda) al primo tema sommesso ed inquieto (derivato dalla stessa Introduzione), intonato con trepidazione dagli archi, al secondo tema, enunciato dal clarinetto – in contrappunto rispetto al precedente –, fino alla tempestosa Coda, chiusa sommessamente dal ritorno dell’Introduzione. Ancora il clarinetto, degnamente seguito poi dai legni, si è imposto nel gioioso tema pentatonico che, nello Scherzo (qui precedente il tempo lento), rimanda ai melismi delle cornamuse scozzesi. Nell’Adagio ha dominato il contrasto tra due temi: uno cantabile intensamente lirico ai violini; l’altro, dal tono solenne di marcia funebre, ai corni e ai legni. Una grande forza drammatica si è colta nell’Allegro vivacissimo finale, con due temi aperti a combinazioni contrappuntistiche di estrema leggerezza, fino al termine dello Sviluppo, cui subentra un Allegro maestoso assai, scandito dalle fanfare dei corni e dei legni, che conclude la Sinfonia con accenti nobilmente gioiosi.
Seguiva il primo lavoro sinfonico di Johannes Brahms: la Serenata n. 1 in re maggiore op. 11. Questa pagina – nata tra il 1857 ed il 1858, quando Brahms era impegnato come pianista, direttore di coro e insegnante presso la corte di Lippe-Detmold – è brillante, serena, lontana dalle passioni giovanili. Nel Settecento la Serenata era una delle tante forme di musica d’intrattenimento e il suo carattere romantico, amoroso, ricorreva nella musica vocale, ma quando Brahms riprende questa forma musicale, in un contesto storico e sociale così diverso, tale carattere non era che uno dei possibili tratti distintivi. All’amata Clara Brahms aveva scritto – proprio da Detmold – che le passioni degenerano e, dunque, bisogna perseguire la serenità, attraverso una rigorosa disciplina, nella vita quanto nell’arte. In quest’ultima, il controllo della forma deve fungere da argine per contenere il flusso dei sentimenti e dell’immaginazione. Tale è l’ideale che Brahms ha coltivato fin da giovane e di cui la Serenata op. 11 rappresenta – insieme alla successiva, distinta come op. 16 – una prima e provvisoria testimonianza. Il che non significa che si tratti di pura musica totalmente “disimpegnata”: alla sensibilità dell’autore parlava, già allora, il Teutoburgerwald, che egli amava esplorare facendo lunghe camminate, coltivando, nel contempo, il culto dell’antico. Nella sua lettura di questo primo lavoro sinfonico di Brahms – straordinario per invenzione melodica e raffinata scrittura orchestrale – ci sembra che Min Chung abbia saputo contemperare gli aspetti espressivi con le ragioni della forma, verosimilmente consapevole che, in esso, la volontà di riallacciarsi alla tradizione classica già convive con alcuni caratteri peculiari della futura maturità. Anche qui l’orchestra si è fatta apprezzare in tutte le sue sezioni, ben destreggiandosi tra colori decisi e delicati chiaroscuri. Il primo tempo, Allegro molto, ha avuto uno straordinario l’inizio, con viole e dei violoncelli che si sono prodotti in un pedale di quinte vuote su cui corno e clarinetto hanno disegnato, avvicendandosi, il primo tema festoso. Nel successivo Scherzo, in minore, costruito su un sinuoso tema cromatico, il carattere irrequieto e tenebroso, che vi predomina, è stato interrotto dalla rustica gaiezza popolare del Trio. Colori velati e caldi, come in un notturno, hanno caratterizzato l’Adagio non troppo. Nel prosieguo dell’esecuzione, i clarinetti si sono segnalati – all’interno del quarto movimento – nel primo dei due Menuetti, esponendo un tema di chiara derivazione mozartiana, su un basso ossessivamente ripetitivo del fagotto e poi dei violoncelli, mentre nel secondo Menuetto i violini hanno intonato, in un clima tenero e appassionato, la bellissima melodia, loro affidata. I corni – qui come altrove davvero impeccabili – si sono imposti nel successivo breve Scherzo proponendo cavallereschi temi di caccia, che nel Trio assumevano il carattere spensierato e infantile di un girotondo. Un ritmo baldanzoso di marcia, intervallato da episodi contrastanti anche se riconducibili a variazioni dell’idea principale – a sua volta ricollegabile all’incipit dell’Adagio – ricorreva nell’Allegro conclusivo, in forma di Rondò. Applausi reiterati a fine serata.