Roma, Teatro Argentina, Teatro di Roma, Stagione 2022 2023
“EDIFICIO 3” – Storia di un intento assurdo
scritto e diretto da Claudio Tolcachir
traduzione Rosaria Ruffini
luci Claudio De Pace
costumi Giada Masi
con (in ordine alfabetico) Rosario Lisma, Stella Piccioni, Valentina Picello, Giorgia Senesi, Emanuele Turetta
Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Carnezzeria srls, Timbre4
in collaborazione con Aldo Miguel Grompone
In collaborazione con Consulado General y Centro de Promoción de la República Argentina en Milán
Roma, 16 Maggio 2023
Il drammaturgo e regista argentino Claudio Tolcachir porta sul palco del Teatro Argentina di Roma “Edificio 3. Storia di un intento assurdo”, un’opera surreale e grottesca che indaga il labirinto delle relazioni umane. Tolcachir svela l’ipocrisia che rende tali legami impenetrabili, ma in questo caso l’ipocrisia è intesa come protezione, autodifesa e mascheramento delle paure e insicurezze personali. In uno stabile deserto, vicino all’abbandono, un ufficio in disfacimento ospita tre impiegati, intrappolati in tale situazione da regolamenti e dettagli burocratici. Essi costituiscono una piccola comunità all’interno di un limbo, attendendo un cambiamento e temendo la ristrutturazione della propria identità e la solitudine al di fuori del contesto lavorativo. Così, l’ufficio si trasforma in un sostituto di casa, famiglia, amore, amicizia, svago e felicità – un luogo di infinite possibilità e, allo stesso tempo, un non-luogo. Questa pièce, un connubio tra dramma e commedia, esamina la complessità delle relazioni tra i tre colleghi Moni (Valentina Picello), Sandra (Giorgia Senesi) ed Ettore (Rosario Lisma), che condividono da anni un ambiente lavorativo dove trascorrono gran parte della loro vita. In quest’ufficio inusuale, che ricorda una casa, non vi sono computer e tecnologie moderne, ma oggetti personali e articoli per l’igiene. All’interno dell’ufficio, le enigmatiche figure di Manuel (Emanuele Turetta) e Sofia (Stella Piccioni) emergono mute ed espressive, comunicando attraverso sguardi e gesti piuttosto che parole. Ettore, Sandra e Moni cercano di superare un isolamento intriso di angoscia e dolore, affrontando ciascuno i propri problemi e insicurezze. Tolcachir, membro della nuova generazione di artisti argentini e fondatore del Teatro Timbre 4 a Buenos Aires, narra nelle sue opere una realtà precaria, simile a quella del suo Paese. In “Edificio 3. Storia di un intento assurdo”, dietro un testo apparentemente leggero e ironico, emerge il tema della molteplicità: i personaggi, convinti di conoscersi a fondo, scoprono di essere estranei gli uni agli altri. La complicità tra colleghi si mescola a un senso di smarrimento, come nella scena in cui Ettore chiede alle colleghe come capire se sua madre è morta, richiamando “Lo straniero” di Camus. Il fulcro dell’opera è la difficoltà di ridurre la vita e le relazioni umane alla razionalità, di accettare il disordine e il caso come elementi fondamentali dell’esistenza e dei rapporti interpersonali, che appaiono indecifrabili e non riconducibili a schemi ordinati. Sul palcoscenico, la scena si svolge con fervida intensità e autenticità. Il pubblico ride e si commuove, soffrendo per le vite inesaurite e abbandonate, chiedendosi quale sia il loro scopo in quell’Edificio, in un contesto assai bizzarro. Forse Edificio 3 acquista valore maggiormente per le premesse che propone e i silenzi che evoca, piuttosto che per la conclusione della vicenda. Le aspettative sollecitate dal testo risultano più potenti delle rivelazioni delle singole storie. La drammaturgia di Claudio Tolcachir presenta un rigore ed una precisione matematica che guida lo spettatore, facendolo immergere in quell’ambiente e, infine, abbandonandolo lì, in compagnia di quei personaggi che, al tremolio della luce, sembrano attendere un’apocalisse (forse) imminente, la loro stessa. La regia peraltro scorre in modo fluido ed armonioso, orchestrando gli attori sul palcoscenico con grande sicurezza, e la loro complicità è uno degli aspetti più apprezzabili di questo spettacolo. Si alternano momenti di irresistibile comicità, come la stesura a sei mani del discorso che Ettore dovrà pronunciare in memoria della madre scomparsa (a cui era profondamente legato, amata da tutti soprattutto per i suoi deliziosi panzerotti), a scene toccanti e drammatiche, come lo sfogo di Sandra nei confronti dell’insopportabile Moni, maniaca dell’ordine ma che cela il caos della sua esistenza. In un’atmosfera sobria ed elegante, le scene si svolgono con una fluidità impeccabile. Uno sfondo nero avvolgente fagocita i pochi elementi di scena, delineando un ambiente che oscilla tra un ufficio e l’interno di un’abitazione. Le scrivanie ben posizionate, le librerie ordinate e le sedie rigorose creano un’ambientazione sofisticata e professionale, in cui ogni elemento sembra trovare il suo posto ideale. L’alternanza tra gli spazi lavorativi e quelli abitativi si fonde perfettamente, creando un’armonia visiva che cattura l’attenzione dello spettatore. La semplicità delle scene, pur essendo di grande impatto, invita a concentrarsi sui personaggi e sulla trama, senza distrarre con eccessivi elementi scenografici. In questo contesto, la scenografia minimale riesce a comunicare efficacemente le varie sfumature del racconto, esaltando la qualità del lavoro svolto dagli attori e dalla regia. Le luci e le ombre interagiscono con gli oggetti di scena, creando un gioco di contrasti che aggiunge profondità e dinamismo alle scene. La fusione tra l’ambiente ufficio e l’interno di un’abitazione diventa, così, una metafora della vita contemporanea, in cui i confini tra lavoro e sfera personale si assottigliano sempre più. Tradotto in un linguaggio vivace e brillante da Rosaria Ruffini, il testo riesce a disegnare personaggi autentici, archetipi di un’umanità che affronta le stesse questioni da quando viviamo nell’era moderna, in una società sempre più complessa in termini di relazioni interpersonali e tra le varie classi sociali. Forse “l’intento assurdo” del sottotitolo si riferisce proprio al tentativo di ri-scoprire quella chiave psicologica (smarrita in un cassetto della scrivania) indispensabile per instaurare rapporti più autentici ed equilibrati. Gli attori, nessuno escluso, hanno interpretato i loro ruoli con grande partecipazione e credibilità, senza eccessi e con profonda coerenza stilistica. Ogni interprete ha incarnato il proprio personaggio in modo straordinario, tessendo con una notevole soluzione di continuità un arazzo di emozioni, tensione e risonanza drammatica che ha catturato il pubblico dall’inizio alla fine. Lo squisito equilibrio raggiunto tra moderazione ed espressività ha mostrato la vera essenza della professionalità nella recitazione teatrale, lasciando un’impressione duratura su tutti coloro che hanno assistito a questo affascinante spettacolo. Il pubblico infatti ha accolto con entusiasmo e vivo interesse lo spettacolo, manifestando il proprio apprezzamento attraverso calorosi applausi rivolti a tutti gli interpreti. Foto © Masiar Pasquali Qui per tutte le informazioni.