Riccardo Zandonai (1883-1944): Una vita per il teatro musicale

Riccardo Zandonai (Rovereto, 28 maggio 1883 – Pesaro, 5 giugno 1944) – A 80 anni dalla morte del compositore.
L’ultimo nostro incontro avvenne a Palermo nel 1937. Erano in scena al teatro Massimo I cavalieri di Ekebù e della poderosa partitura e del vivo successo e ne avevo coronato la prima rappresentazione io aveva parlato alla radio con grande entusiasmo che lo stesso Zandonai – temperamento un po’ rude e di poche parole, ma franco e generoso, da vero figlio della sua terra –  al mio apparire, tra un atto e l’altro, nel camerino riservatogli sul palcoscenico dimenticando ogni ritegno (vi era una grande folla di gente intorno a lui) mi buttò le braccia al collo con un impeto che mi parve quasi selvaggio….
Ci
eravamo visti regolarmente negli anni movimentatissimi del dopoguerra tra il 1926 e il 1932, quand’ègli, ormai celebre e ricercatissimo da impresari da teatri, sbalzava da Milano a Roma, da Roma a Parigi, da Parigi a Londra a Berlino, al Vienna, a Budapest. Una mattina di luglio. Egli attendeva alla stazione di Rovereto. Gli oleandri del Viale intitolato al nome del grande filosofo Rosmini, erano tutti in fiore. Un trionfo di colori e di profumi. Ma quante gloriose in quelle contrade!…Su queste strade era transitata la lugubre carretta che portava alla morte Cesare Battisti, e lassù presso Castel Dante, erano sepolti Damiano Chiesa e di Fabio Filzi. “Lo so -furono le prime parole di Zandonai – in questa mia città si respira ancora aria d’amore per i grandi che vi sono vissuti e che vi hanno sofferto. È un atmosfera, vedi, di cui non posso far senza.  Ecco perché al mio Borgo Sacco, di là del fiume faccio spesso ritorno.”
Giunti in piazza Rosmini mi prese sottobraccio ed entrammo in un palazzo, al pian terreno del quale era allora la sede di un Circolo di cultura. “Qui in quest’angolo faremo uno spuntino e qualche “ciacola” e berremmo un bicchiere di vino di queste terre, che so che non ti dispiace. Fra un paio d’ore debbo partire per Milano e fra tre giorni devo essere a Londra. Credo che la Scala faremo una ripresa dei “Cavalieri di Ekebù” e al Covent Garden Garden stiamo trattando per la “Francesca”.
Le tue due opere che più amo
“Anche tu! Io mi preferisco di più in “Conchita” e in “Melenis”.
È destino. S’amano più delle altre quelle nostre creature che hanno meno fortuna.”
Scusa la mia sincerità, ma ne Conchita Melenis hanno pagine che possono pareggiare quella di quelle dei Cavalieri e della Francesca.... Zandonai beveva sorsi il suo vino, in silenzio non una parola, non un gesto punto ad un tratto posò il bicchiere: “Sì, forse hai ragione– e mi pianta gli occhi negli occhi – Ma
vedi, tu devi pensare al lavoro da me compiuto sinora, così come ad una scala, dai gradini ripidi, aspri a salirsi, difficili e faticosi. Stammi a sentire…”Conchita”, nota dominante proprio del melodramma verista: l’amore, però, non cerebrale non come può esserlo quello cantato da Debussy, ma tutto fuoco, ardore, fremito, gelosia, crudeltà… “Melenis”, già altra atmosfera, contrastante fra il classicismo dei canoni tradizionali ed una aspirazione quasi violenta verso una libertà elaborativa più spiccata, nuovissima… “Francesca”, l’altro lirismo dannunziano, nell’influenza formidabile della tragedia greca e della tradizione dantesca… “I cavalieri di Ekebù” sogno e leggenda, miti e saghe, atmosfera nordica e, conseguentemente, lirismo più severo nel canto, approfondimento contrappuntistico e più ampio sviluppo polifonico nell’orchestrale…Giudica il quadro nel suo insieme. Mi pare così di essere giunto agli estremi gradini di quella scala. Raggiungerò la cima?…Iddio me lo conceda..Xe tardi, andémo!”…
Lasciandoci, in quel giorno di una lontana estate roveretana, più che mai mi auguravo che al suo genio fosse riservato il compito di creare un melodramma che avrebbe potuto attingere il suo soffio di vita dalla magica storia delle terre trentine. Lo colse purtroppo la morte, prima che giungesse a tanto. (Estratto da “Riccardo Zandonai: una vita per il teatro musicale, di Gino Cucchetti, 1964)