“Nixon in China” al Teatro Real di Madrid

Madrid, Teatro Real, Temporada 2022-2023
“NIXON IN CHINA”
Opera in tre atti su libretto di Alice Goodman
Musica John Adams (1947)
Chou En-Lai JACQUES IMBRAILO
Richard Nixon LEIGH MELROSE
Henry Kissinger BORJA QUIZA
Nancy T`ang (prima segretaria di Mao) SANDRA FERRÁNDEZ
Seconda segretaria GEMA COMA-ALABERT
Terza segretaria EKATERINA ANTÍPOVA
Mao Tse-Tung ALFRED KIM
Pat Nixon SARAH TYNAN
Chiang Ch’ing (Madame Tse-Tung) AUDREY LUNA
Coro y Orquesta Titulares del Teatro Real 
Direttore Kornilios Michailidis
Maestro del Coro Andrés Máspero
Regia John Fulljames
Scene e costumi Dick Bird
Luci Ellen Ruge
Coreografia John Ross
Tecnico del suono Cameron Crosby
Video Will Duke
Nuova produzione del Teatro Real di Madrid, in coproduzione con Den Kongelige Opera di Copenhagen e la Scottish Opera
Madrid, 2 maggio 2023
Come se si trattasse di un’operazione archeologica, una folla di impiegati abbigliati nel modo più convenzionale estrae da scatole e scatoloni i materiali originali del famoso viaggio di Richard Nixon in Cina nel 1972: fotografie, ritagli di giornale, copertine di riviste, locandine e biglietti, oltre a esemplari e pagine dell’immancabile libretto rosso di Mao Tse-Tung. Tutto viene collocato sulla superficie di una macchina per lucidi, che proietta sullo sfondo l’oggetto, ingrandito e osservabile come sul vetrino di un microscopio. In parallelo, otto grandi schermi mobili disposti in circolo rievocano l’atterraggio dell’aereo presidenziale e la stretta di mano tra Nixon e Chou-en Lai, il primo ministro cinese. La storia relativamente recente è già diventata materiale d’archivio, utilizzabile per rievocare o per accusare; anzi, il fine della memoria storica parrebbe unicamente la costruzione di dossier contra personam. Di conseguenza, i protagonisti della storia si presentano come prigionieri di quel sistema di stoccaggio dell’informazione che essi stessi hanno creato. La storia si sviluppa e si cristallizza nel medesimo tempo, nella banalità deformata di un titolo di cronaca o di un fotogramma inopportuno. Il magnifico spettacolo di John Fulljames – ennesima nuova produzione del Teatro Real di Madrid – ovviamente si astiene dal formulare giudizi, ma neppure deride impietosamente i controversi personaggi dell’opera, sottolineandone piuttosto la debolezza, l’imbarazzo e l’incomprensione; in una parola, l’insicurezza, che non definisce certo una dimensione tragica, ma fissa efficacemente l’attitudine principale della postmodernità. Come sempre l’opera di John Adams che vide la luce a Houston nel 1987 e che per la prima volta approda a Madrid stravince la scommessa del soggetto anti-teatrale per antonomasia (una visita diplomatica), capace com’è di tramutarsi in esperienza drammatica che non dà tregua allo spettatore, inchiodato alla poltrona dalle martellanti riproposizioni delle stesse cellule musicali e dalle icastiche battute di un libretto sorprendente. Il greco Kornilios Michailidis dirige la Orquesta Titular del Teatro Real, staccando tempi adeguati e controllando bene le sonorità; non tutta la ricchezza della partitura di Adams, tuttavia, è adeguatamente valorizzata (in particolare durante il I atto. Molto belli, invece, i cromatismi wagneriani del II, nella parte finale del balletto. Va comunque ricordato che l’orchestra è stata preparata da Olivia Lee-Gunderman, la quale ha diretto la maggior parte delle rappresentazioni). Ben noto al pubblico madrileno, Leigh Melrose è il baritono che dà voce al personaggio protagonista di Nixon, aggiungendo un altro ruolo al suo già variegato repertorio: spigliato, sicuro, fermo nell’emissione, ma anche capace di esprimere imbarazzo e insicurezza, come nel corso del dialogo con Mao. Molto pregevole la prova del soprano inglese Sarah Tynan nella parte di Pat Nixon, protagonista vocale (quasi assoluta, almeno in questa edizione) dell’intero II atto, in particolare di una scena dalla tessitura impervia, resa in modo perfettamente convincente. Il personaggio meglio definito, sia vocalmente sia registicamente, è in ogni caso quello di Mao: il coreano Alfred Kim, in passato apprezzato tenore comprimario dalla solida professionalità, negli ultimi anni ha dato prova di una maturità artistica che gli permette di disimpegnare ruoli molto complessi. Kim fu Mao in un apprezzatissimo allestimento dell’opera presso il Théatre du Châtelet di Parigi nel 2012, e da allora si può dire che la sua interpretazione sia diventata ancora più sicura e coerente. Tutto il registro acuto (e sopracuto) e l’aggressività richiesti al personaggio durante il I atto sono resi in modo magistrale. Anche come attore, Kim esprime assai bene la solitudine dell’anziano leader politico, che vive all’interno di un cubicolo semovente, grigio e lapideo come un mausoleo (un cubo al centro del palcoscenico, che strizza l’occhio alle realizzazioni di Graham Vick). Le sue pareti, dispiegandosi come quelle di una casa in miniatura, rivelano un immenso archivio di scatolette e microfilm, un tempietto sia della “rivoluzione culturale” sia della “guerra fredda”. Molto buona anche la prova dei due baritoni, il sudafricano Jacques Imbrailo, nella parte di Chou-En Lai, e lo spagnolo Borja Quiza, in quella di Henry Kissinger. Non convince del tutto, invece, per la voce a tratti troppo stridula, il soprano statunitense Audrey Luna, interprete della temibile quarta sposa di Mao, Chiang Ching (di cui, in ogni caso, veicola efficacemente il dispotico fanatismo). Impeccabile il Coro del Teatro Real, istruito da Andrés Máspero, nell’accompagnare le scene portanti dei primi due atti. La coreografia del II atto, a cura dello scozzese John Ross, spazia da un numero di stile contemporaneo a una serie di scene liriche e di acting che realizzano il meta-teatrale Distaccamento rosso delle donne. Su di un fondo azzurro si muove la silhouette scarlatta di Xiao Ortega, il cui personaggio è vittima di sopruso e violazione, e al tempo stesso è fonte di turbamento per la sensibile Pat Nixon. Molto raffinata la scelta del coreografo di ispirarsi “filologicamente”, per alcuni scorci estetici, alla versione ufficiale dello storico balletto (che il pubblico locale vide nel corso del festival “Madrid en Danza” 2018). Non nei gesti, bensì nell’epilogo delle vicende politiche individuali è la tragedia della comunicazione, che trasforma anche la morte in celebrazione ideologica e imposizione del passato; per questo, durante l’avvio della scena iniziale, nel I atto, attraversa il palcoscenico il feretro imbalsamato di Mao, mentre nel III, poco prima del finale, campeggiano le bare dei soldati americani morti in Vietnam, avvolte nella bandiera a stelle e strisce. Ma la regia non infierisce su destini che in seguito sarebbero stati travolti da scandali ancora più gravi; piuttosto, partecipa della pena e del pudore malinconico con cui l’opera si conclude, con la domanda del sempre discreto Chou-En Lai: «How much of what we did was good?»   Foto Javier del Real © Teatro Real di Madrid