Napoli, Teatro Bellini: “Sei personaggi in cerca d’autore”

Napoli, Teatro Bellini, Stagione 2022/23
SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE”
Da Luigi Pirandello
Drammaturgia e Assistente Regia Micol Jalla
Madre SARA BERTELÀ
Padre VALERIO BINASCO
Figlio GIOVANNI DRAGO
Figliastra GIORDANA FAGGIANO
Direttore-Capocomico JURIJ FERRINI
Con la partecipazione degli allievi della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino: ALESSANDRO AMBROSI, FRANCESCO BOTTIN, CECILIA BRAMATI, ILARIA CAMPANI, MARIA TERESA CASTELLO, HANA DANERI, ALICE FAZZI, MATTEO FEDERICI, IACOPO FERRO, SAMUELE FINOCCHIARO, CHRISTIAN GAGLIONE, SARA GEDEONE, FRANCESCO HALUPCA, MARTINA MONTINI, GRETA PETRONILLO, DIEGO PLEUTERI, EMMA FRANCESCA SAVOLDI, ANDREA TARTAGLIA, NICOLÒ TOMASSINI, MARIA TRENTA
Regia Valerio Binasco
Aiuto Regia Giulia Odetto
Scene Guido Fiorato
Costumi Alessio Rosati
Luci Alessandro Verazzi
Musiche Paolo Spaccamonti
Suono Filippo Conti
Coproduzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale / Teatro Nazionale di Genova / Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
Napoli, 24 maggio 2023
Ciascuno di noi si crede «uno», ma non è vero: è «tanti», invece – afferma uno dei Sei personaggi in cerca d’autore… secondo tutte le «possibilità d’essere» che sono in «noi»: la «fluidità», in senso tanto vago del termine, è un concetto eterno; e, senza andare troppo lontano, potremmo ritrovarlo in Pirandello e scoprire che ciò che definiamo come «fluidità» (e che potremmo e dovremmo anche non definire, dal momento che la «fluidità» dev’essere indefinibile, di per sé) risiede proprio in quel «noi pirandelliano» – e che, tutto sommato, quel «noi» rappresenta un tentativo, sia pure tanto vago e imperfetto (come vaghe ed imperfette sono, dopotutto, le «possibilità dell’essere»), di farla finita – almeno a teatro – con l’idealistica, settaria e narcisistica perfezione dell’ «Io».«Non appartenere». Come non appartiene, manco a sé stesso, il gruppo famigliare che, nella finzione scenica, facendo irruzione in un teatro, interrompe le prove d’una commedia – domandando al capocomico d’occuparsi di loro, e d’essere, in fondo, «il loro autore». E non perché questa famiglia sia composta da attori… no, al contrario, è fatta da «personaggi», da «pupi», da perfette maschere d’un dramma novecentesco o d’una tragedia antica, con tutti i vari tòpoi letterari e narrativi. La frantumazione dell’istituzione della famiglia è ciò che emerge con estrema chiarezza in questa esemplificazione o rilettura critica del testo pirandelliano effettuata da Micol Jalla al Bellini; tema che s’affianca a domande eterne: a cosa serve il teatro, oggi? È necessaria una emancipazione del teatro da un’eterna mania dell’autore d’osservare e concepire il teatro come realistica «replica» – sia pure estremamente poetica e illusoria – della realtà? Un atteggiamento razionalistico dello spettatore – parafrasando Adorno – che osserva criticamente o con estrema «diffidenza» tutto ciò che non è «verosimile» o «realistico», impedisce all’autore d’emancipare la sua produzione dalla «fissazione» per una «verosimiglianza» a tutti i costi? Questa esemplificazione critica del teatro pirandelliano pone, dunque, delle domande, la cui risoluzione viene affidata ad una potente struttura di «contrasti», anche figurativi oltre che testuali o linguistici: il contrasto tra i due gruppi famigliari: uno, fatto da «parenti» acquisiti o amici (il Capocomico e i suoi attori), strutturalmente sano e non asfissiante; l’altro, invece, fatto da Padre, Madre, Figli e Figliastri – sconvolto dal tabù dell’incesto e ritratto come contenitore di frustrazioni e depravazioni; il contrasto «contraddittorio», se vogliamo, tra un carattere fortemente «fluido» della natura dell’essere umano, formata da varie «possibilità d’essere», da gradazioni e contrasti, appunto, e la fissità o cristallizzazione emotiva in cui sono costretti i «Personaggi vivi»: maschere eterne ed allegoriche personificazioni d’invariabili sentimenti. Un ultimo contrasto avviene tra l’ «invenzione scenica» degli attori che, nella finzione della scena, talvolta assumono una funzione creativa «tradendo» il testo (attraverso un’intromissione di fittizie modificazioni o variazioni), e la «fissazione» per la filologia dei Personaggi vivi, che non seguono il testo, ma SONO il testo: Personaggi vivi che assurgono a «tutori del testo e dell’ordine», per dirla con Carmelo Bene.Una rappresentazione che procede per via d’analisi, dunque: il taglio documentaristico, fortemente evidente, consente al dramma d’essere osservato come un documentario sui prodromi della rappresentazione: le prove di teatro – che si svolgono, appunto, su d’un palcoscenico d’un teatro di prosa, progettato da Guido Fiorato e nitidamente illuminato da Alessandro Verazzi, con un arredo estremamente modesto che, nella finzione del «giuoco delle parti», viene osservato ed adoperato, all’occorrenza, come il mobilio d’una pensione o come il salottino piccolo-borghese della Famiglia.La regia di Valerio Binasco, coadiuvato da Giulia Odetto, procede – anch’essa – «analiticamente», perché determinata da una idea «superiore», quella dell’ordine, parafrasando Roland Barthes: l’idea della formalizzazione, anche figurativa, e d’una severa organizzazione del «caos» (che s’attuano attraverso un’armoniosa e geometricamente simmetrica disposizione dei corpi sulla scena), governa il fine supremo del dramma: «illudere» – anche, e soprattutto, attraverso l’illusoria «verosimiglianza» dell’errore nella sua finzione: attraverso, dunque, la «replica», sia pure fittizia, d’imprevisti ed errori che i prodromi della rappresentazione (le prove teatrali, cioè) solitamente prevedono. La ricerca della verosimiglianza, da parte degli attori e dei Personaggi, avviene attraverso un linguaggio potentemente nervoso, fortemente «veristico» – che mima o «replica», attraverso la verosimiglianza del finto errore e la creazione d’una finta improvvisazione, tutta la brutalità della vita: paroline bofonchiate, strascicate… risate isteriche, grosse e nevrotiche: una pasoliniana «disperata vitalità», che procede in modo estremamente variegato, tra espressionistiche variazioni d’intonazione, collettivi momenti d’estremo smarrimento e le conseguenze d’una nevrotica ricerca, da parte dei Personaggi, d’una perfezione espressiva ed espositiva; ricerca che accade sopra le atmosfere sonore di Filippo Conti, e sopra le musiche composte da Paolo Spaccamonti. Ottimi, dunque, tutti gli attori – avvolti negli appropriati costumi di Alessio Rosati; costumi dal carattere novecentesco per la Famiglia, e dal carattere contemporaneo per il Capocomico e i suoi attori: Sara Bertelà (Madre), Valerio Binasco (Padre), Giovanni Drago (Figlio), Giordana Faggiano (Figliastra), Jurij Ferrini (Direttore-Capocomico); allievi della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino: Alessandro Ambrosi, Francesco Bottin, Cecilia Bramati, Ilaria Campani, Maria Teresa Castello, Hana Daneri, Alice Fazzi, Matteo Federici, Iacopo Ferro, Samuele Finocchiaro, Christian Gaglione, Sara Gedeone, Francesco Halupca, Martina Montini, Greta Petronillo, Diego Pleuteri, Emma Francesca Savoldi, Andrea Tartaglia, Nicolò Tomassini, Maria Trenta. Successo di pubblico che ha accolto con entusiasmo questa riscrittura critica del dramma pirandelliano. Foto Luigi De Palma