Verona, Teatro Filarmonico, Stagione Sinfonica 2023
Orchestra della Fondazione Arena di Verona
Direttore Antonio Pirolli
Felix Mendelssohn Bartholdy: Sinfonia n. 5 in re minore op. 107 “La Riforma”; Ludwig van Beethoven: Sinfonia n. 7 in la maggiore op. 92
Verona, 14 aprile 2023
Era il 1829 quando il ventenne Mendelssohn si accostò al suo secondo lavoro sinfonico mosso da un particolare entusiasmo, cogliendo l’occasione del trecentesimo anniversario della Confessione di Augusta che cadeva nel 1830, quasi a voler testimoniare con unpersonale atto di fede la sua conversione (e quella della sua famiglia) dall’ebraismo alla confessione protestante. Chiamata La Riforma per la citazione del corale luterano nell’ultimo movimento, questa sinfonia fu oggetto di continui ripensamenti e rimaneggiamenti; eseguita per la prima volta nel 1832 a Berlino diretta dall’autore, fu pubblicata postuma solo nel 1868 e catalogata come Quinta sebbene fosse stata cronologicamente scritta come seconda. Mendelssohn la ripudiò a posteriori, forse suggestionato dalle feroci critiche mossegli contro e che consideravano tale sinfonia troppo dotta e formale, con molta accademia e poca melodia; effettivamente chiaro e forte è il richiamo alla tradizione contrappuntistica di Bach specialmente nel trattare le melodie liturgiche come nella trionfale chiusura sul corale Ein feste Burg ist unser Gott (una salda fortezza è il nostro Dio). Altrettanto evidente è l’influenza di Beethoven, quasi un lascito testamentario musicale, presente anch’esso nel programma del quinto concerto della stagione sinfonica della Fondazione Arena di Verona con la sua Settima Sinfonia, presentata a Vienna nel 1813 con successo clamoroso, soprattutto il secondo movimento che ebbe presa rapida sul pubblico per la sua melodica spontaneità. La Settima incarna una personale ricerca di Beethoven verso una nuova dimensione emotiva, fatta di elementi contrastanti che non convergono ma che vagano come impazziti: il vortice emozionale presente fin dall’inizio non viene pacificato ma condotto al parossismo finale in una sorta di esaltazione dionisiaca tale da generare la celebre definizione che ne diede Wagner, Apoteosi della danza. Molto efficace e dunque ben scelto questo dittico sinfonicoscelto dalla fondazione veronese, che ha trovato in Antonio Pirolli un validissimo interprete capace di esaltare tanto la raffinatissima (ma non sempre impeccabile) scrittura mendelssohniana, svelando le trame contrappuntistiche del finale nella sua ieraticità luterana, ma anche di rivelare la lezione di Beethoven. Eccellente, a tale riguardo, lo stacco dell’Allegretto della Settima con un tempo ben sostenuto, così come desiderato dal titano di Bonn; per i motivi sopra descritti esso non va eseguito lentamente ma quasi incalzante poiché il vero assunto drammatico è dato da una malinconia iniziale che trova la quadra in un intenso lirismo interiore ormai rasserenato. Il tutto realizzato su uno schema ritmico che continua a perpetuarsi e rigenerarsi senza sosta. Esemplare la prova dell’orchestra della Fondazione Arena, precisa nei passaggi rapidi quanto nella morbida plasticità del momenti cantabili: in evidenza la sezione archi che ha sfoggiato un bel suono ricco di armonici, e le prime parti dei fiati, in particolare il flauto, l’oboe, il clarinetto e i corni, qualità messe in luce soprattutto nella parte beethoveniana della serata. Pubblico non numeroso ma coinvolto, che ha tributato il meritato riconoscimento al successo degli interpreti con richieste di bis, giustamente non concesso per salvaguardare quella “sospensione esaltante della danza” rimasta a fluttuare nell’aria. Foto Ennevi per Fondazione Arena