Venezia, Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, Festival “Compositrici!”, 1° aprile-11 maggio 2023
“LA BELLE ÉPOQUE DELLE COMPOSITRICI”
Violino Pierre Fouchenneret
Viola Lise Berthaud
Violoncello Yan Levionnois
Pianoforte Adam Laloum
Rita Strohl: Solitude – Romance sans parole pour violoncelle et piano; Hélène Fleury: Fantaisie pour alto et piano; Charlotte Sohy: Trio avec piano en la mineur; Lili Boulanger: D’un matin de printemps pour violon et piano; Mel Bonis: Quatuor avec piano no 1 en si bémol op. 69
Venezia, 1° aprile 2023
Nel passato, un approccio parziale, per non dire crudele, alla storia dell’arte, ha relegato nell’ombra tanti musicisti, arbitrariamente qualificati come minori. Nel momento attuale, in cui si mettono in discussione certi giudizi estetici, ormai superati, ci si rende conto di quanto sia stato penalizzato l’universo femminile, in particolare nel campo musicale, dove nessuna compositrice veniva annoverata tra gli autori importanti. Dunque, sembra davvero giunto il momento di studiare meglio il percorso di tante musiciste e di far rivivere le loro opere. Questo si propone il nuovo ciclo veneziano del Palazzetto Bru Zane, Compositrici!, previsto dal 1° aprile all’11 maggio e articolato in sette concerti.
Nel concerto d’apertura – svoltosi nella sontuosa Sala Capitolare della Scuola Grande di San Giovanni Evangelista – è stato offerto un saggio della produzione di alcune compositrici, che operarono alle soglie del XX secolo, nel momento in cui il movimento femminista otteneva le sue prime vittorie in Europa e il clima si faceva più propizio anche per le artiste. Si tratta di Hélène Fleury, la prima donna che partecipò, nel 1903, al concorso per il Prix de Rome, istituito cent’anni prima; di Lili Boulanger. la prima che conseguì l’ambìto premio, nel 1913; di musiciste, quali Mel Bonis, Rita Strohl e Charlotte Sohy, che videro finalmente aprirsi spazi per la promozione delle loro opere. Autorevoli protagonisti della serata erano Pierre Fouchenneret al violino, Lise Berthaud alla viola, Yan Levionnois al violoncello, Adam Laloum al pianoforte, che hanno saputo magicamente ricreare l’atmosfera di un salotto della Belle époque affrontando, con adeguata sensibilità interpretativa, un programma tutto al femminile.
Si è iniziato con Solitude di Rita Strohl – un pezzo terminato nel 1887, da lei stessa definito “romance sans parole” –, in cui si è colto un respiro malinconico, che faceva pensare a Mendelssohn e a Schubert, e dove il violoncello di Yan Levionnois ha fatto sentire il sentimento di spleen, che l’autrice esprime estendendo al massimo la tessitura dello strumento, mentre al pianoforte affida il compito di sostenerne il lamento con una formula ostinata. Grande padronanza tecnica ha sfoggiato la violista Lise Berthaud nella Fantaisie per viola e pianoforte di Hélène Fleury, un pezzo del 1906, concepito per una classe di allievi del Conservatorio di Parigi, irto di difficoltà – come sequenze virtuosistiche, passaggi a corde doppie o triple, cambiamenti di tempi, metri o sfumature –, pur essendo immerso in una delicata aura poetica. Perfetta l’intesa tra viola e violoncello nel Trio con pianoforte in la minore di Charlotte Sohy (composto nel 1931), in cui si è colta l’influenza di Franck e di Wagner, oltre a un rigore formale e a una tecnica mai spinta fino al virtuosismo, secondo i canoni della Schola Cantorum di Parigi, a suo tempo frequentata dall’autrice, per completare la propria formazione musicale. Particolarmente espressivo è risultato il violino di Pierre Fouchenneret, in D’un matin de printemps – uno dei pochi pezzi vagamente sereni, firmati da Lili Boulanger –, composto, assieme a D’un soir triste, poco prima di morire tra il 1917 e il1918: nel vivace tema danzante d’apertura su accordi ribattuti dalle ricche sonorità, molto debussiane, del pianoforte; nella seguente melodia più distesa, riecheggiata dalla tastiera, su armonie seducenti, forse anche decadenti; nella riproposizione del tema dell’inizio, successivamente variato in modo elegiaco, alla maniera di un carillon, prima di essere enunciato un’ultima volta con la massima potenza. Determinante l’apporto di Adam Laloum nel Quartetto con pianoforte n. 1 di Mel Bonis – in cui il pianoforte ha un ruolo alla pari rispetto agli altri strumenti –, concorrendo a portare avanti un discorso musicale, che procede in modo graduale, senza scosse improvvise, con gli strumenti che spesso si scambiano il materiale musicale: nel Moderato iniziale, che esordisce dolcemente, ma poi il suo tema principale mostra una marcata espressività, mentre il secondo tema è più lirico; nel successivo Intermezzo, che inizia piano per riprendere quasi immediatamente un certo slancio; nel grazioso Andante che segue, momento magico dell’opera, con la prima parte del tema principale di carattere struggente e la seconda metà sorprendentemente ottimistica; nell’impetuoso, concitato Final.Grandi applausi con un bis dal Quartetto con pianoforte di Rita Strohl.