Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, di Torino, Stagione Sinfonica 2022-23.
Orchestra Sinfonica Nazionale RAI
Direttore Ottavio Dantone
Wolfgang Amadeus Mozart: Sinfonia n.39 in Mi Bemolle Maggiore K543; Franz Joseph Haydn: Sinfonia n.45 in fa diesis minore, Hob. I 45 Sinfonia degli addii.
Torino, 31 marzo 2023.
l classicismo viennese, merce ormai rarissima nei nostri auditori, tutti votati alle musiche del cinquantennio a cavallo della fine dell’800, ritorna all’Auditorium Toscanini della RAI con, sul podio, Ottavio Dantone. Haydn funge da perno di collegamento tra i tre autori pre-mozartiani della scorsa settimana e lo strepitoso Mozart di questa. L’Orchestra della RAI, pur a ranghi ridotti, ma non tanto scarni quanto vorrebbe una moda imperante per questo repertorio, ha un suono avvolgente e ricco di armonici risuonanti. Dantone conferma la lucidità delle sue esecuzioni, animate dallo spirito teatrale che una lunga pratica di palcoscenico gli ha reso naturale. L’inizio eroico e folgorante della mozartiana Sinfonia n.39 in Mi Bemolle Maggiore K.543 sorprende per teatralità esibita. La sinfonia data 1788, pochi mesi prima, a Praga, esordiva Don Giovanni e l’Adagio, avvio della sinfonia, ci immerge in quella temperie oscura ed agitata della Siviglia del Burlador. Il timpano, il rinforzo degli archi gravi, i clarinetti e i fagotti, tutti contribuiscono a rendere incombente la drammaticità della situazione. Dantone, fatto forte dalla magnifica condizione dell’OSN RAI, non si sottrae alla sfida del confronto col clima dell’opera. Troppa energia drammatica? Troppa sonorità? Non ce la sentiamo di rispondere positivamente a queste domande. Viceversa, crediamo molto apprezzabile l’emancipazione raggiunta dal direttore rispetto all’asettica e venerata tradizione d’oltralpe, tutt’ora perdurante a dispetto delle rivoluzionarie scorribande degli Harnoncourt di turno. L’attività costante di Dantone con la sua formazione, l’Accademia Bizantina, gli consente di ricavare dai professionisti dell’OSN RAI, pur a ranghi ridotti, una pienezza di suono che non sempre troviamo con altre bacchette più avvezze al gigantismo. L’Andante ammicca a tutte le inquietudini e le ingenuità delle Zerline e dei Cherubini. Il Minuetto, rude e boschereccio, è più emblematico di quello tragicissimo della successiva K 550. Il trio, un brevissimo, sconvolgente respiro, oppone il misterioso melodizzare dei due clarinetti, a parti separate, al punteggiare, al registro basso, degli archi. L’allegro finale è interminabile, il direttore, come raramente accade, lo fa riprendere integralmente rispettando i due da-capo. È un procedere a domande e risposte, tipico dialogo teatrale tra detto, non-detto, sottinteso. Ad inizio poi della seconda parte, una brusca lunga pausa collettiva ci lascia fantasticare sulla natura della domanda e della conseguente risposta. Un timido ed insicuro applauso, a fine primo tempo, dà la temperie di queste serate, con capolavori da capogiro, esecutori altrettanto meravigliosi e residui di scolaresche costrette, speriamo non a forza, a riempire i vuoti causati da un pubblico renitente.
Dopo il vertice della sinfonia mozartiana, segue un altro capolavoro: di Franz Joseph Haydn la Sinfonia in fa diesis minore n.49, quella degli Addii. Per il contrasto dei temi del primo movimento, viene classificata come appartenente al gruppo delle sinfonie dello Sturm und Drang. In realtà dal confronto ravvicinato con la complessità psicologica e il turbamento causato dalla precedente opera mozartiana, quanto si ascolta è un luminoso e razionale prodotto dall’inconfondibile grazia rococò. L’organico orchestrale, luminoso e brillante, ha infatti perso, nell’intervallo, tutto l’armamentario di timpano, due corni, due trombe, due clarinetti, un fagotto e forse anche di due contrabbassi, che supportava, verso lo scuro, la drammaturgia mozartiana. Il discorso musicale è bellissimo, di una pulizia che si lascia solo increspare da caute irruzioni tematiche. È come se Haydn si apprestasse a dare al Principe Hesterhazy, padrone di casa, il meglio di sé. La fuggitiva e improbabile inserzione, nel trio, di un frammento gregoriano tratto dalle Lamentazioni del profeta Geremia potrebbe anche suggerirci il fine ultimo della sinfonia, che solo dall’ultimo movimento verrà esplicitato. Era consuetudine che il Principe congedasse l’orchestra, dopo il periodo estivo passato nel castello di famiglia, ad Hesterhaza, nella campagna ungherese. In quel momento a tutti, orchestrali ed inservienti, era concessa, finalmente, l’opportunità di rientro a Vienna, in famiglia. In quell’anno, il 1772, il congedo tardava e l’impazienza aumentava. I rapporti tra suonatori e nobili erano tali da non consentirne un contatto diretto, Haydn, che li reggeva, si assunse l’onere di trovare una dignitosa via d’uscita. Il tramite fu proprio la sinfonia n.45 il cui ultimo movimento presto offrì, ai mecenati raccolti dal principe, il meglio assoluto della produzione musicale del tempo. Nell’adagio finale, una piagnucolosa perorazione, con un meticoloso ordine di progressione, imposto in partitura, i suonatori smettono lo strumento, si alzano, se ne vanno, avendo prima cura di spegnere la candela che dà luce al leggio. Il principe capì, svincolò e congedò gli orchestrali, rimandando le musiche all’autunno viennese. Immancabilmente la pantomima finale, benissimo organizzata e orchestrata da Dantone e dalla regia delle luci, suscita gli entusiasmi che forse la sola esecuzione stellare della musica avrebbe faticato ad eguagliare. Questi sono i tempi e questo è il pubblico.