Milano, Teatro alla Scala, stagione d’opera e balletto 2022-23
“LI ZITE NGALERA”
Commedia in musica in tre atti su libretto di Bernardo Saddumene
Musica di Leonardo Vinci
Carlo Celmino FRANCESCA ASPROMONTE
Belluccia Mariano CHIARA AMARÙ
Ciomma Palummo FRANCESCA PIA VITALE
Federico Mariano FILIPPO MORACE
Titta Castagna FILIPPO MINECCIA
Meneca Vernillo ROBERTO ALLEGREZZA
Ciccariello RAFFAELE PE
Rapisto MARCO FILIPPO ROMANO
Col’Agnolo ANTONINO SIRAGUSA
Assan MATÍAS MONCADA
Na schiavottella FAN ZHOU
Orchestra del Teatro alla Scala su strumenti storici con la partecipazione di elementi de La Cetra Barockorchester
Direttore Andrea Marcon
Regia Leo Muscato
Scene Federica Parolini
Costumi Silvia Aymonino
Luci Alessandro Verazzi
Milano, 15 aprile 2023
La Napoli dei primi decenni del Settecento vede la propria vita musicale divisa tra due poli maggiori. Il teatro di San Bartolomeo, tempio dell’opera seria e quello dei Fiorentini divenuto luogo d’elezione di un nuovo genere, la commedia per musica, che si andava affermandosi sulla scena cittadina. Il nuovo genere nasceva dalla volontà di fondere in modo più compiuto la musica colta – non dimentichiamo mai che l’iniziativa nasce all’interno di circoli aristocratici – con la ricca tradizione popolare della città. Le commedie per musica dei primi decenni del secolo sono per noi quasi solo semplici titoli, al più libretti cui è andata persa la parte musicale. Questa situazione vale anche per dieci degli undici titoli del genere composti da Leonardo Vinci, il compositore calabrese che proprio sul palco dei Fiorentini cominciò la sua scalata ai maggiori palcoscenici europei purtroppo interrotta dalla morte prematura nel 1730.
L’unica eccezione è rappresentata da “Li zite ngalera” (“I fidanzati sulla nave”) andata in scena nel 1722 e ora proposta per la prima volta sul palcoscenico scaligero. Alla prova dell’ascolto l’opera risulta vincente. Non è forse un autentico capolavoro – né si chiedeva di esserlo a prodotti come questi destinati a rapido consumo – ma un’opera scritta benissimo e che non solo illumina su una stagione fondamentale nell’elaborazione del teatro musicale buffo ma dona tre ore di autentico divertimento agli spettatori.Il libretto di Bernardo Saddumene è un piccolo gioiello. Il letterato – forse pseudonimo del nobile Andrea Bermudes – è semplicemente perfetto. La complicata trama fatta di travestimenti, inganni e colpi di scena scorre chiara e ben definita. Il gioco linguistico fra napoletano, toscano e lingua franca è perfettamente bilanciato e si nota un amore sincero per la particolare musicalità del dialetto partenopeo declinato in forme diverse a secondo lo status sociale dei personaggi. Il gioco – modernissimo – dei travestimenti e della natura cangiante delle identità di genere e un umorismo spesso salace ma mai sguaiato completano la perfetta base testuale su cui si adagia l’altrettanto caleidoscopica musica di Vinci. L’impianto musicale è tradizionale con una prevalenza di arie tripartite seppur di struttura semplificata ma su di esso s’innervano gli echi della tradizione popolare riconoscibile nelle sonorità strumentali, nell’andamento strofico di alcuni brani, nella trascinante freschezza dei ritmi danzanti che trovano il loro apice nella tarantella del III atto. Molto originale l’uso dell’aria non solo come pausa espressiva ma come elemento narrativo e dialogico che anticipa un’impostazione che si farà abituale solo alla fine del secolo.
L’allestimento scaligero si può dire nel complesso perfettamente riuscito. Un merito non secondario spetta alla regia di Leo Muscato che il teatro napoletano lo conosce bene – è stato collaboratore di Eduardo – e lo rispetta nei suo valori essenziali. Quindi niente attualizzazioni e niente forzature ideologiche ma una lettura nitida e puntuale, un Settecento direttamente tratto dalla pittura napoletana del tempo ma animato da una recitazione spigliata e moderna che mostra chiaramente come si possa spazzar via ogni traccia di polvere pur nel rispetto delle coordinate storico-culturali. Essenziale ed efficace l’impianto scenico di Federica Parolini con bocchi mobili che si compongono e scompongono per definire i vari ambienti e molto belli i costumi di Silvia Aymonino, tradizionali ma con un tocco ironico pienamente confacente.
In linea con la regia la direzione di Andrea Marcon che fornisce della partitura una lettura molto dinamica con una preferenza per colori brillanti e per un andamento ritmico assai dinamico che esalta i contrasti d’affetti che caratterizzano la scrittura di Vinci. Marcon non ha poi timore nel lasciarsi andare all’impeto dei momenti più popolareschi resi con straordinaria energia. L’orchestra della Scala – rinforzata da elementi de La Centra Barockorchester – suona su strumenti originali e lo fa benissimo mostrando di possedere ormai una piena sinfonia con le particolarità esecutive degli strumenti barocchi.
I numerosi personaggi – quasi tutti indicati con nome e cognome per dare un senso di maggior realismo – sono affidati a una compagnia affiatata e complice, che si diverte a fare musica e trasmette questa gioia al pubblico.
Carlo Celmino si esprime con un linguaggio patetico che spesso parodia i modi dell’opera seria. Francesca Aspromonte lo canta splendidamente con una voce suggestiva per timbro e colore, una linea musicale impeccabile e una perfetta conoscenza stilistica ed espressiva. Attrice convincente, coglie tutte le sfumature del galante cavaliere. La sua amante Belluccia – per quasi tutta l’opera nelle vesti maschili di Peppariello – ha il timbro caldo e profondo di Chiara Amarù, contralto di matrice rossiniana dal canto omogeneo ed elegante e naturalmente portata ai toni sentimentali del personaggio cui dona anche la giusta ironia nel difendersi dal corteggiamento di tutte le donne di casa.La bella Ciomma, oggetto dell’attenzione universale di tutti i maschi dell’opera e vanamente innamorata di Pepparielo, è Francesca Pia Vitale, formatasi all’accademia scaligera e perfettamente in possesso del canto brillante richiesto al secondo soprano. L’innegabile presenza scenica è poi perfetta per un personaggio che fa dell’avvenenza fisica la sua cifra peculiare.
Vero mattatore della serata Alberto Allegrezza ha interpretato in modo esemplare la parte “en travesti” di Memeca, la vecchia con smaniosa d’amore che corteggia Peppariello. Oltre a cantare molto bene, Allegrezza colpisce per le capacità attoriali, tratteggiando un personaggio di straordinaria efficacia, divertentissimo, caricaturale ma senza eccessi e con un fondo di patetica umanità.
Antonino Siragusa presta tutta la sua classe al barbiere Col’Agnolo reso con un canto pulitissimo, fluido e musicalmente impeccabile l’emissione, un po’ nasale, è usatoa alla perfezione per rendere il carattere senile del personaggio.
Ben distinti i due controtenori. Timbro più chiaro, quasi adolescenziale, predisposizione a un canto brillante ed energia scenica al vetriolo per il Ciccariello di Raffaele Pe mentre voce più morbida e gusto più cantabile e patetico caratterizzano Filippo Mineccia come Titta. Marco Filippo Romano affronta il cuoco Rapisto con voce solidissima e ottimamente proiettata ma ancora di più convince come interprete con un perfetto controllo della parola e una capacità di giocare in modo magistrale con il personaggio. Interpretativamente efficacie ma vocalmente un po’ sottotono, ci è parso Filippo Morace come Federico. La sua aria – in italiano e di stampo serio – soffriva di una proiezione poco incisiva.
Gli allievi dell’Accademia Matías Moncada e Fan Zhou affrontano con grande proprietà i ruoli di Assan e della Schiavottella distinguendosi specie la seconda per un materiale vocale assai interessante.
Buona presenza di pubblico anche se sala non gremita e successo davvero convinto per tutti gli interpreti. Foto Teatro alla Scala / Brescia & Amisano