Doppio debutto per Thomas Guggeis e Alexandre Kantorow con l’Orchestra RAI

Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, di Torino.Stagione Sinfonica 2022-23.
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore 
Thomas Guggeis
Pianoforte Alexandre Kantorow
Zoltán Kodály: “Danze di Galánta” Sergej Rachmaninov: Concerto n.1 per pianoforte e orchestra op.1 (versione 1917);  Béla Bartòk: Concerto per orchestra BB123(SZ116)
Torino, 21 aprile 2023
Thomas Guggeis, trentenne direttore tedesco, Alexandre Kantorow, ventiseienne pianista francese, si impongono come le maggiori attrattive di questo concerto. Ambedue giovanissimi e con carriere in fase esplosiva. Il tedesco ha iniziato a farsi conoscere con il sostituire bacchette famose impedite a salire sul podio da incipienti indisposizioni, conquistandosi così anche la direzione di un importante teatro berlinese. Il francese è figlio d’arte, il padre Jean-Jacques è un assai noto violinista e direttore d’orchestra, nel 2019 ha vinto il prestigioso concorso Čaikowskij di Mosca.
Il programma consta di due paradigmatici pezzi ungheresi, quanto mai antitetici tra loro. Si inizia con le piacevolissime Galántai táncok (Le danze di Galanta) di Zoltán Kodály, rielaborazione colta di musiche zingaresche, tipiche delle contrade natali del compositore. Galanta, ora è città slovacca ma, al tempo dell’impero austro-ungarico, a tutti gli effetti stava entro i confini ungheresi. Le danze costituiscono una sintesi della passione etnografica di un musicista prevalentemente dedito alla didattica accademica. Il pezzo è costruito come un Rondò vivacizzato da ritmi incalzanti e da uno stupefacente trattamento coloristico dell’orchestra. L’OSN RAI, sotto la spinta di un Guggeis, ferreo battitore di tempi, si è scatenata in una ridda di suoni splendidi pur se non sempre accuratamente governati dalla bacchetta che indulge a robusti volumi sonori.
Il primo concerto per pianoforte di Rachmaninov ha fornito un intermezzo russo e una palestra formidabile ad un solista straordinario. Nel 1890, il diciassettenne Rachmaninov termina i suoi corsi di apprendistato al conservatorio di Mosca e ne celebra la fine con questo omaggio al suo insegnate e cugino, il celebre pianista Aleksandr Ziloti. Il concerto che guarda a Čaikowskij e ad Anton Rubinstein si pone obiettivi ambiziosi: mostrare le abilità compositive dell’autore ed esaltarne le altrettanto strabilianti doti di virtuoso della tastiera. Rachmaninov, nel 1917, poco prima di migrare negli USA per sfuggire alla rivoluzione bolscevica e per tentarvi la carriera di concertista, lo rielabora accentuandone ulteriormente l’aspetto virtuosistico. Alexandre Kantorow non si lascia sfuggire l’occasione e, non sempre in consonanza con il direttore, ne dà una sensibilissima lettura da virtuoso-poeta. La cadenza solistica del primo tempo è rivelatrice del suo approccio al concerto. Sfuggendo all’ipertrofica sonorità orchestrale, con magistrale perizia e sensibilità, pur esibendo uno stratosferico virtuosismo digitale, introduce una magica vena di struggente lirismo. Egualmente sfumato e colorato, con tocco e pedale controllatissimi, il secondo movimento andante, quasi per intero appannaggio del pianista. Nell’allegro vivace finale, non si sottrae al confronto muscolare con la velocità e il volume sonoro dell’orchestra. L’esito è strepitoso e gli applausi ritmati e ripetuti del pubblico del venerdì lo sanciscono e costringono il pianista ad un ineludibile bis. Come già un mese prima, in occasione del suo concerto solistico al Conservatorio, ripete un pezzo inconsueto, forse un filiale affettuoso omaggio al padre violinista, la Valse triste per violino e pianoforte di Franz von Vecsey, trascritto per pianoforte solo da György Cziffra, pianista ungherese noto per il suo funambolico virtuosismo. Il pezzo ha una durata di soli quattro minuti e Kantorow, dopo un inizio all’insegna di sospiroso lirismo, sfodera, nella seconda parte, un altrettanto straordinario virtuosismo in cui i trilli all’acuto, la melodia al centro e gli accordi al basso paiono esigere la presenza di una terza mano. Successo incontenibile e meritato, condito dai gridolini d’entusiasmo degli allievi dei corsi di pianoforte massicciamente presenti in sala.
Si è temuto di ritrovare, nel bartókiano Concerto per Orchestra, piatto forte della seconda parte della serata, l’intemperanza fonica che la bacchetta di Guggeis aveva inflitto alla prima parte. Il direttore ci ha invece sorpreso e convinto con una controllatissima interpretazione, testimonianza evidente di un’approfondita comprensione del pezzo. Bartók compone il concerto per orchestra in un periodo difficile della sua vita, funestato da seri guai di salute ed economici. Nel 1943 è in USA, in volontario esilio dall’Ungheria nazificata, non vi ha trovato fortuna né come compositore né come didatta e neppure come virtuoso della tastiera. Il violinista Szigeti, suo amico, fa conoscere a Koussewintzkij, influente direttore d’orchestra e manager culturale, lo stato di necessità ed indigenza in cui si trova l’ungherese. La Boston Symphony Orchestra, su sollecitazione di Koussewintzkij, gli commissiona un pezzo da suonarsi nella stagione dei concerti. Bartók scrive questo Concerto per orchestra che, abbandonati l’avanguardia e l’espressionismo degli anni europei, punta ad un linguaggio più facile per piacere al pubblico e mira, allo stesso tempo, ad esaltare le capacità timbriche e virtuosistiche dell’orchestra. Il concerto si riallaccia idealmente alle formule del Concerto Grosso barocco, in cui ogni orchestrale, nelle continue alternanze tra soli e tutti, ha funzione e rilievo di solista. Esemplificativo il secondo movimento, Gioco delle coppie, ove i doppi leggii dei legni e degli ottoni si susseguono, in coppia appunto, a esporre il tema trapuntando uno sfondo intessuto da timpani ed archi. Guggeis rende magnificamente anche l’atmosfera rarefatta di Elegia, movimento centrale della composizione e trattiene sia la gioia campestre delle danze dell’Intermezzo interrotto, quarto movimento, sia l’interruzione brutale, anticipata nel titolo del movimento, data dal ripescaggio, dalla Sinfonia 7° di Čostakovič, del barbaro passo degli invasori nazisti. La corsa sfrenata dell’ultimo tempo, Finale-Pesante, è magistralmente calibrata da una quadratura che stupisce in un esecutore ancora giovanissimo e naturalmente tanto irruente.
L’OSN RAI ha offerto al suo pubblico un’ennesima dimostrazione del suo assoluto valore. I presenti hanno quindi ritenuto che ringraziare con applausi ripetuti e ritmati fosse inevitabile e quindi non se ne sono né astenuti né trattenuti.