Venezia,Teatro Malibran, Stagione Sinfonica 2022-2023
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore e violino Federico Guglielmo
Francesco Maria Veracini: Ouverture n. 6 in sol minore; Johann Georg Pisendel: Concerto in re maggiore JunP I.7; Antonio Vivaldi: Concerto per violino, archi e basso continuo in mi maggiore op. 8 n. 1 RV 269 “La primavera”; Concerto per violino, archi e basso continuo in sol minore op. 8 n. 2 RV 315 “L’estate”; Concerto per violino, archi e basso continuo in fa maggiore op. 8 n. 3 RV 293 “L’autunno”; Concerto per violino, archi e basso continuo in fa minore op. 8 n. 4 RV 297 “L’inverno”
Venezia, 3 marzo 2023
Protagonista del concerto è stato Federico Guglielmo – violino solista e direttore – con un programma, che rimandava al ruolo di primo piano, svolto da Venezia (e da Vivaldi) nei primi decenni del Settecento, quando la Serenissima era ancora uno dei centri culturali musicali più importanti d’Europa. L’Ouverture n. 6 in sol minore del fiorentino Francesco Maria Veracini – personalità di spicco nel panorama musicale della prima metà del Settecento: virtuoso di violino e compositore – è l’ultima del ciclo di Ouvertures, che Veracini scrisse nel 1717 durante un suo breve soggiorno nella città lagunare, allo scopo di attirare l’attenzione di Federico Augusto di Sassonia e ottenere un posto nell’orchestra di corte a Dresda. Tale Ouverture si articola, come le altre cinque, in diversi movimenti, alcuni dei quali in forma di danza, sul modello bachiano. Nell’iniziale Allegro – con la struttura del Concerto grosso – il fagotto e due oboi (il “concertino”) hanno efficacemente dialogato con gli archi. Un dialogo che è piacevolmente continuato anche nel nel Largo. Eccentrici sono risultati i due movimenti finali: il terzo che inizia in modo convenzionale, come fosse l’inizio di una fuga, ma poi fiati e archi si alternano in modo curioso; il Minuetto intonato all’unisono da tutta l’orchestra con effetti coloristici.
A Venezia è legato anche il Concerto in re maggiore del bavarese Johann Georg Pisendel – dal 1712 violinista nell’Orchestra di Corte a Dresda –, che soggiornò nella città lagunare per vari mesi nel 1716, al seguito del diciottenne principe Federico Augusto di Sassonia, in viaggio nella penisola. Qui studiò con Vivaldi ed esibì la sua tecnica violinistica. L’influenza italiana e vivaldiana predomina nei sette concerti scritti probabilmente al ritorno dall’Italia. Nel primo movimento del Concerto in re maggiore, Vivace, dal carattere deciso si è imposto l’impeccabile affiatamento nel dialogo tra il violino solista e l’orchestra. Nell’Andante – caratterizzato da un ritmo ostinato – il violino solista ha eseguito con espressione una melodia molto articolata, che riporta al languido clima dei movimenti lenti vivaldiani. Anche nell’Allegro si è apprezzato il fitto dialogo tra l’orchestra e il violino solista, che ha affrontato in souplesse passaggi di arduo virtuosismo.
Seguivano le Quattro stagioni di Vivaldi, primi quattro concerti del Cimento dell’armonia e dell’invenzione, pubblicato nel 1725. I quattro concerti – ognuno accompagnato da un sonetto esplicativo – sono tutti incentrati sul rapporto Uomo-Natura. L’esecuzione offerta da Federico Guglielmo insieme agli strumentisti della Fenice ha pienamente valorizzato la capacità del Prete Rosso di rappresentare musicalmente questi quadri naturalistici ed emotivi, sfruttando la struttura e le peculiarità del Concerto barocco, oltre che le potenzialità virtuosistiche dello strumento solista. Nel primo movimento della Primavera, Vivace, l’orchestra ha festeggiato con entusiastica concitazione l’arrivo della ridente stagione, prima che il violino solista, accompagnato da altri due violini, imitasse con tocco preciso e leggero il canto degli uccelli e, successivamente, insieme ai violini di ripieno, evocasse lo spirare degli Zeffiretti, interrotto, con l’intervento di tutta l’orchestra, da scale e note ribattute (tuoni) e brevi scale ascendenti (lampi). Nell’Andante il violino di Guglielmo ha rappresentato con sensibilità melodica un capraro dormiente, mentre i violini di ripieno evocavano il mormorio delle fronde e le strappate della viola riproducevano il verso ricorrente di un cane. Una danza pastorale ha caratterizzato il conclusivo Allegro, dove il violino principale ha abilmente imitato una zampogna. Nell’Estate – grazie al virtuosismo di Guglielmo, sempre ottimamente supportato dall’orchestra – il primo movimento, Allegro non molto, ha evocato il languore dei pastori, spossati dalla calura, il canto degli uccelli, lo spirare degli Zeffiretti, le improvvise folate di Borea, il pianto del pastorello impaurito dall’imminente tempesta. Nell’Adagio ancora il violinista padovano ha brillato intonando la lentissima melodia rappresentante un pastorello che tenta invano di riposare, mentre i violini dell’orchestra imitavano il ronzìo di mosche e mosconi, prima che tutto l’insieme facesse sentire tuoni sempre più minacciosi tramite rapide note ribattute. La tempesta si è scatenata furiosamente nel Presto conclusivo. Nell’Autunno il movimento d’apertura, Allegro, ci ha immerso in un’atmosfera gioiosa e danzante, prima di dare spazio al buffo quadretto degli ubriachi, espresso musicalmente da rapidi arpeggi e scale discendenti e ascendenti. Nell’Adagio molto tutti gli strumenti con sordina, col lento accompagnamento del cembalo, hanno creato un’atmosfera ipnotica, diradata dall’irrompere della caccia. Suoni di caccia hanno dominato nell’Allegro finale: erano le terzine disordinate del violino solo (la fiera che fugge) e il suo suonare a scatti (la corsa dell’animale si interrompe più volte fino alla morte). L’Inverno è cominciato (Allegro non molto) con il violino principale che ha imitato, con nitore nell’articolazione, le raffiche di un vento spettrale – mentre il Tutti riproduceva il correre e lo sbattere i piedi per il freddo – e poi, tramite una linea melodica molto inquieta, scale rapide e improvvisi scambi di direzione, ha riprodotto con maestria lo scivolare sul ghiaccio. Nel Adagio la melodia del primo violino, estremamente cantabile, ha evocato il piacere di starsene seduti davanti al caminetto, al riparo dalla pioggia (imitata da semicrome in pizzicato). Nell’ultimo movimento (Presto) le semicrome del primo violino hanno rappresentato il camminare timoroso sul ghiaccio, mentre le scivolate erano scale discendenti e ascendenti dei violini; alla fine il ritmo del movimento è rallentato a significare che – per il troppo correre – il ghiaccio si è rotto, dopodiché hanno fatto irruzione tutti i venti in guerra a chiudere questo quadro del rigido inverno, “ma tal, che gioja apporte”. Applausi fragorosi.