Torino, Auditorium RAI: Concerto diretto da Stanislav Kochanovsky con la partecipazione del violinista Sergey Khachatryan

Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, di Torino.Stagione Sinfonica 2022-23.
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore 
Stanislav Kochanovsky
Violino Sergey Khachatryan
Alfred Schnittke (1934-1998): … pianissimo … per orchestra (1968);  Robert Schumann (1810-1856): Concerto in re minore per violino e orchestra, op. postuma Wo01(1853);  Sergej Rachmaninov (1873-1943): Danze sinfoniche op.45 (1940)
Torino, *2 marzo 2023
Il concerto inizia con pianissimo … (i puntini di sospensione, prima e dopo, sono parte del titolo) che Alfred Schnittke, nel 1968, compose in ottemperanza ai dettami, allora in voga, della scuola europea degli strutturalisti post-dodecafonici e post-weberniani. L’italiano Nono fu tra i suoi mentori. L’ispirazione pare derivasse dal kafkiano racconto “Nella colonia penale” del 1919. Come era consuetudine, in quell’ambito culturale elitario di Darmstadt, nulla del racconto si manifesta nella musica che rimane uno scrigno chiuso a doppia mandata a qualsiasi tentativo di descrizione naturalistica ed ambientale. Da ascoltatori ignari potremmo pensare forse ad una specie di “bolero” raveliano, senza ritmo e senza melodia, che dal nulla si ingrossa in volume e si arricchisce coi timbri di un’orchestra sterminata. Due pianoforti, clavicembalo, chitarra elettrica, celesta, xilofoni e vibrafoni, percussioni varie, ottoni raddoppiati, legni anche triplicati, non mancano né il bassotuba né il controfagotto e poi: una distesa di archi. Il valido ed ardimentoso Stanislav Khochanovsky, come un granduca imperiale, in marsina e solitario che brilla sulla cravatta, non dirige con la bacchetta o con le mani ma con le dita. Per imbrigliare una partitura fortemente aleatoria, innalza numeri come per una sfida alla “morra”. L’effetto che ne sortisce è tutt’altro che disprezzabile. L’onda sonora parte dall’inudibile, attraverso mutazioni e metamorfosi si amplia e si irrobustisce fino ad un culmine sonoro istantaneo all’ottavo minuto (circa), per poi, con rapida progressione, decrescere fino al silenzio, nel minuto successivo e finale. Applausi! Per il Concerto per violino opera postuma di Robert Schumann le traversie son state, fin da subito, difficili e misteriose. Nato nel 1853 come omaggio al violinista amico Joachim, sempre presente, con Brahms, in casa Schumann, negli ultimi anni di vita e di pazzia di Robert, se ne persero le tracce. Forse fu occultato da Clara, la moglie pianista, e da Joachim perché ritenuto indegno di comparire nel catalogo schumanniano. Fu ritrovato, fortunosamente, in una biblioteca berlinese nel 1936. Revisionato da Hindemith, ebbe una prima esecuzione a Berlino, il 26 novembre del 1937 con i Berliner, Böhm sul podio e Kulenkampff al violino. Nel concerto dell’OSN RAI, Khochanovsky dal podio accompagna discretamente lo splendido e malinconico gioco violinistico di Sergey Khachatryan, trentasettenne musicista armeno, di nascita e d’aspetto. Minuto, dai neri riccioli, bruno e meditativo ricorda il giovane Aznavour, altro noto armeno dalla vena malinconica. Il suono è magnifico, sempre suadente e intimo. L’esecuzione è emozionante per semplicità e per il raffinato e nascosto virtuosismo. Camicia e pantaloni neri, non concede spazi al divismo paganineggiante, tipico vezzo dei solisti che imbracciano un violino. L’orchestra, discreta in sottofondo, stacca i suoi accordi di accompagnamento e nel Langsam, movimento lento centrale, introduce, col suono scuro dei fagotti, il famoso tema degli spiriti che ossessionò gli ultimi anni di Robert, ormai preda della terribile malattia mentale che lo porterà alla morte. Da questo clima dolente non si allontana neppure il richiestissimo e applauditissimo bis del solista. Khachatryan propone Krunk, una mesta melodia per violino solo, di Padre Komitas, vittima armena dei pogrom che i turchi perpetrarono, contro gli armeni, alla fine degli anni 10 del ‘900.Terza e ultima grandiosa pagina, nel programma della serata, sono le Danze sinfoniche op.45 di Sergej Rachmaninov. L’opera è l’ultima dell’autore e venne composta nel 1940, tre anni prima della sua morte a Benerly Hills, in California. Grande dispendio di forze e di timbri, un’orchestrazione lussureggiante che trova tutt’altro che impreparate la formidabile OSN RAI e la bacchetta russa di Khochanovsky. Son danze, seppur coloratissime e vivaci, non gioiose ma macabre. Percorse da umori neri e da memorie contundenti che ben rappresentano l’indole dell’esule che ripensa vicende e musiche ormai abbandonate da più di 20 anni. Ricorrono spezzoni, seppur mascherati, dell’infelice giovanile Sinfonia n.1 e manifeste citazioni del dies irae gregoriano e dei Vespri per coro a cappella che Rachmaninov aveva musicato, ancora in Russia, nel 1915. La grande e variopinta orchestrazione, il clima rapinosamente macabro e le citazioni, soprattutto quella del dies irae, portano inevitabilmente a collegare mentalmente le Danze Sinfoniche con la Symphonie Fantastique di Berlioz. Che l’Orchestra sia stata fantastica nel suo complesso, con le prime parti in magnifica evidenza, se n’è accorto l’attento pubblico torinese e soprattutto il direttore che ha apprezzato come i suoi gesti e le sue intenzioni si fossero concretizzati nel suono. Vicendevolmente ricambiati, i reciproci ringraziamenti sono suonati frammisti e sopravanzati dal gran applaudire del pubblico presente.