Torino, Auditorium Agnellli: Hélène Grimaud, Giovanni Guzzo e la Camerata Salzburg in concerto

Torino, Auditorium “G. Agnelli” del Lingotto
“CAMERATA SALZBURG”
Violino concertatore 
Giovanni Guzzo
Pianoforte Hélène Grimaud
Wolfgang Amadeus Mozart: Concerto per Pianoforte e orchestra n.20 in re minore KV 466; Sinfonia n.39 in Mi bemolle Maggiore KV 543; Robert Schumann: Concerto per Pianoforte e orchestra in la minore op. 54
Torino, 28 febbraio 2022
L’attrazione della serata è sicuramente Hélène Grimaud, stranota pianista francese, che oltre alla tastiera si dedica pure alla cura dei lupi ed è stata, alcuni anni fa, autrice di un bestseller sull’argomento. Il pubblico torinese ha reagito al suo richiamo garantendo il tutto esaurito del grande auditorio del Lingotto. La pianista francese non era sola sul palco, con lei erano di partita una trentina di elementi della Camerata Salzburg e Giovanni Guzzo, primo violino, guida e concertatore del gruppo. Il complesso salisburghese con sede al Mozarteum, fondato settant’anni fa, nel 1952, da Bernhard Puamgartner, è, fin da quell’anno, una eccellenza indiscutibile nel repertorio mozartiano. Alla sua direzione si sono succeduti nomi di tutto prestigio e di riconosciuta aderenza alle tradizioni mozartiane, quali Géza Anda, Sandor Végh e Roger Norrington. Dal 2016 i membri della Camerata hanno deciso di autogestirsi, affidando a due di loro, in alternanza, il compito di concertatore. Non direttore ma coordinatore, seduto tra i violini primi, primus inter pares. Nella serata del Lingotto questo compito è stato assunto da Giovanni Guzzo, esuberante italo venezuelano che, benché seduto, teneva il piglio sicuro di chi ha la bacchetta in mano, per l’occasione, l’archetto del violino. Non ho presente quale fosse il suono della Camerata nel passato, sotto questo aspetto le pur fedeli registrazioni sono di scarso aiuto, quello attuale, ascoltato al Lingotto, è di qualità inaspettata e sorprendente: pulita e castigatissima, senza forcelle (gli spartiti mozartiani, peraltro, non ne riportano), al limite della “secchezza”, legature e portamenti impercettibili, altrettanto il vibrato degli archi. Più che un chiaro-scuro, un bianco-nero screziato che ben s’addice alla tragicità dei due pezzi mozartiani. Il concerto K466, il re minore più drammatico di Mozart, e la sinfonia K 543 con le sue scoperte contrapposizioni e i richiami a echi solenni del Flauto Magico e a cupezze cimiteriali del Don Giovanni. Flauti, fagotti e clarinetti completano, col rullio incombente del timpano, il coinvolgente panorama sonoro. Hélène Grimaud, folgorante di tecnica e di “possanza”, si inserisce splendidamente nelle trame orchestrali. Il suo suono è viceversa coloratissimo, sfumato in milioni di nuances, mai fisso, in continuo divenire. Con più semplicità: è un suono di travolgente bellezza. Nel concerto mozartiano, la netta griglia strutturale, innalzata dalla Camerata, trattiene comunque la solista dal cadere nella trappola di un estetismo sonoro fine a sé stesso. In Schumann viceversa è l’autore stesso che ovvia a questo rischio ponendo il pianoforte e le sue magie sul piedistallo di protagonista assoluto, col fine specifico di eccellere e di primeggiare. L’orchestra, sullo sfondo, funge da indispensabile anticipatrice e suggeritrice dei temi e delle trame del discorso che, dopo la ripresa da parte della tastiera, ne riporta l’eco. Il sostegno armonico complessivo sta poi negli accordi degli archi, staccati e continui sul sottofondo orchestrale. La Grimaud, che del concerto schumanniano è da anni tra gli interpreti di riferimento, vi riversa coerentemente, vista l’intricata personalità dell’autore, tutti i suoi scatti umorali. L’assertiva energia muscolare lascia spazi, sottolineati dal rovesciamento del capo, forse per la contemplazione dell’universo stellato, alla dolcezza di un intimo e profondo lirismo. Qui la magia del tocco raggiunge palette timbriche inusitate. Dopo un concerto che ha segnato una solidarietà assoluta, se non di stili, d’intenti e di volontà tra orchestra e solista, l’ineludibile encore poteva essere solo collettivo. Guzzo elogia la grandezza artistica della Grimaud e ne sottolinea la generosità nell’averli voluti associare al suo lavoro. A ricordo di un concerto tenuto ad Amburgo nel febbraio 2022, data d’inizio della feroce guerra d’Ukraina, annuncia un pezzo per pianoforte e orchestra d’archi di Valentin Silvestrov, compositore ukraino vivente, The Messenger. Il pezzo è caratterizzato da un intimo lirismo, come di una meditazione religiosa collettiva che esclude qualsiasi forma di protagonismo. Dieci minuti in cui i rari tocchi di tastiera, dispersi nel salmodiare doloroso degli archi, suscitano una irreprimibile generale emozione. Pubblico: abbondante, soddisfatto e plaudente. Trionfo per la Grimaud e trionfo pure per Guzzo. Meritatamente!