Milano, Teatro Elfo-Puccini: “La morte e la fanciulla”

Milano, Teatro Elfo-Puccini, Stagione 2022/23
LA MORTE E LA FANCIULLA”
di Ariel Dorfman nella traduzione di  Alessandra Serra
Paulina Salas MARINA SORRENTI
Roberto Miranda CLAUDIO DI PALMA
Gerardo Escobar ENZO CURCURÙ
Regia Elio De Capitani
Scene e Costumi Carlo Sala
Luci Nando Frigerio
Suono Ivo Parlati
Produzione Fondazione Campania dei Festival – Campania Teatro Festival Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Teatro dell’Elfo
Milano, 22 marzo 2023
La morte e la fanciulla” di Ariel Dorfman è un testo che è bene venga riproposto spesso, più di quanto già non avvenga. Se per le generazioni più attempate fu immortalato dalla tagliente e sofferta pellicola del 1994 di Roman Polański con una magistrale Sigourney Weaver, oggi – che la pellicola non è così facilmente reperibile e con Polański vittima di una damnatio memoriae di per lo meno dubbia ragionevolezza – ripartire da questo testo di Dorfman è un dovere morale, nei confronti non solo delle vittime dei regimi sudamericani, ma più in generale di ogni persona che per la propria diversità sia stata privata dei diritti più basilari, perseguitata, torturata, uccisa. Un plauso dunque alla nuova produzione del Teatro dell’Elfo di questo classico contemporaneo, che dal 1991 non ha mai smesso di stimolare la riflessione. Tuttavia, il testo presenta delle oggettive asperità, in particolar modo legate alla verbosità delle parti, al rischio della sovrainterpretazione: purtroppo la messa in scena di Elio De Capitani sembra non essersene accorta, e, al posto di smussare questi angoli, porta il pubblico a sbatterci contro. La scena totalmente bianca, di scarso realismo e indiscutibile fascino (un plauso a Carlo Sala per la sua realizzazione), tende ad esacerbare la distanza tra i personaggi, la rarefazione del sentimento, rimandando ad atmosfere cliniche, quasi patologizzando la figura dei protagonisti (sono marito e moglie o medico e paziente?); i ben riusciti giochi di luci e ombre (a cura di Nando Frigerio) strizzano l’occhio all’introspezione; ma soprattutto l’interpretazione di Marina Sorrenti, ringhiante, nervosa, ma anche monocorde lungo tutto il testo, percorsa da una leggera nenia antinaturalistica, sembra ancora acerba o sottodimensionata: il ruolo di Paulina Salas è una vera, torrenziale, marea di parole, che necessitano di grande espressività, ma anche di variazioni che purtroppo nella Sorrenti non emergono – e non riusciamo a capire se sia un limite suo o una scelta registica cui l’attrice aderisce perfettamente, nel pieno della sua riconosciuta professionalità. Di fronte a lei, nemico e insopprimibile nemesi, Claudio Di Palma, il dottor Miranda, l’aguzzino, il seviziatore, ora ridotto a vittima violentata. Una performance, quella di Di Palma, che cresce piano, esattamente come dovrebbe essere, ma fatica ad arrivare a un’esplosione – ci si aspetterebbe Hiroshima e ci troviamo con la Bomba di Maradona. Questo agire compassato, borghese e quasi formale, anche nei momenti di tortura, anche quando dovrebbe piangere, sbavare, implorare, di fronte alla mitraglia continua della Paulina di Marina Sorrenti, funziona da contraltare, tuttavia acuisce anche quel senso clinico/patologico di cui sopra: lui è un dottore, e sembra comportarsi per tutto il tempo da dottore, quasi enfatizzando che lei sia la malata. E qui un filo di disagio – voluto o involontario? – serpeggia: per quanto drammaturgicamente molto interessante e performante, siamo certi di volere instillare questo dubbio nel pubblico, che magari nemmeno ha mai sentito parlare di Pinochet o Videla? Non basta il dubbio su cui si regge già tutta la pièce, cioè se Miranda sia effettivamente colpevole, e non se Paulina sia stata effettivamente una vittima? Ma torniamo allo spettacolo: ci fa molto piacere constatare come il personaggio di Gerardo Escobar, marito di Paulina e suo accidentale complice, sia stato pienamente eviscerato da Enzo Curcurù. Tradizionalmente, infatti, il “terzo incomodo” di questo gioco al massacro è il ruolo più sacrificato dei tre, mentre l’attore milanese emerge come il più credibile scenicamente, costruendo un personaggio che, da macchietta moralistica del principio, si immerge nel gorgo dei suoi istinti più bassi, fra tutti la vendetta e la rivalsa verso un mondo ingiusto, senza perdere mai né presenza carnale né adamantina fedeltà etica. Tutto sommato, dunque, una produzione interessante e ricca di spunti, appesantita soltanto da una regia un po’ compiaciuta e un ruolo – quello di Paulina – su cui si sarebbe potuto e dovuto lavorare in senso meno istintuale e più drammaturgico. Il pubblico in sala – non numeroso, ma più giovane delle nostre aspettative, una volta tanto – gradisce e applaude il giusto, molto Milano style. Foto Salvatore Pastore