Milano, Piccolo Teatro Strehler: “Romeo e Giulietta”

Milano, Piccolo Teatro Strehler, Stagione 2022/23
ROMEO E GIULIETTA”
di William Shakespeare nella traduzione Chiara Lagani
Romeo FRANCESCO GHEGHI
Giulietta ANITA SERAFINI
Frate Lorenzo GABRIELE BENEDETTI
Angelica LICIA LANERA
Capuleti MICHELE DI MAURO
Donna Capuleti LUCREZIA GUIDONE
Mercuzio ALESSANDRO BAY ROSSI
Benvolio EDOARDO SABATO*
Tebaldo LEONARDO CASTELLANI
Paride EMANUELE MARIA DI STEFANO
Montecchi BENEDETTO SICCA
Donna Montecchi ALICE TORRIANI
Pietro JOZEF GJURA
Sansone FRANCESCO NIGRELLI
Abramo FEDERICO RUBINO
Baldassarre LIBERO RENZI
Cugino Capuleti / Frate Giovanni RAFFAELE DI FLORIO
Speziale MICHELE BOTTINI (voce registrata)
Rosalina CLARA BORTOLOTTI*
Servitori/ Guardie/ Cittadini/ Coro GIUSEPPE BENVEGNA, GIADA CIABINI*, CARMELO CRISAFULLI, CECILIA FABRIS*, HAGIAR IBRAHIM, ION DONÀ*, SOFIA AMBER REDWAY*, CATERINA SANVI*, SIMONE SEVERINI
Musici LEONARDO ARENA, FRANCESCO CHIAPPERINI, GIACOMO CAGLIARDINI
*allieve e allievi del corso Claudia Giannotti della Scuola di Teatro “Luca Ronconi” del Piccolo Teatro di Milano
Adattamento e Regia Mario Martone
Scene Margherita Palli
Costumi Giada Masi
Luci Pasquale Mari
Suono Hubert Westkemper
Video Alessandro Papa
Nuova produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Milano, 24 marzo 2023
Il “Romeo e Giulietta” di Martone per il Piccolo è già sulla bocca di tutti: prima di tutto perché è la prima produzione del Piccolo della celebre tragedia scespiriana; poi perché è la prima volta di Mario Martone al teatro milanese; ma soprattutto, inutile girarci intorno, per il chiacchericcio che si fa sull’età dei protagonisti – lui vent’anni anni, lei sedici, gli altri poco più che ventenni –, ragione per la quale praticamente ogni classe di liceo della Lombardia occidentale vi sta venendo portata. Eppure questo spettacolo, lungi dall’essere prossimo alla perfezione, si meriterebbe qualcosa di meglio di un esercito di adolescenti costretti a stare per tre ore filate al buio senza telefono a sbuffare o fare commenti poco pertinenti: si meriterebbe un pubblico che arrivasse a vedere questo capolavoro della drammaturgia d’ogni tempo con calma, consapevole, intenzionato a cancellare da “Romeo e Giulietta” quella patina di zucchero che lo ricopre. Purtroppo, tuttavia, sono sufficienti i primi minuti della recita per capire che questa patina Martone la calca, creando un vero e proprio kolossal dalle linee adolescenziali, ma che, ammettiamolo, degli adolescenti di oggi non sa praticamente nulla. La rappresentazione di questi giovani arrabbiati e teppisti, sarcastici e dal coltello facile, intenti a bere birrette e ballare musica techno, è decisamente un cliché novecentesco – come altrettanto anacronistico è che si mettano a intonare “La gallina” di Cochi e Renato. Altro luogo comune visto e rivisto – e non a teatro, ma nelle fiction televisive – incarnano i genitori ricchi e isterici, autoritari e non autorevoli, papà camorristi e madri procaci, troppo edonisti per accorgersi che i figli stanno per suicidarsi. Più originale, ma di poco (presente “Romeo+Juliet” di Luhrmann?) un Frate Lorenzo fricchettone che si muove su un caddy scassato e di fronte ai poetici voti matrimoniali degli innamorati commenta “Ragazzi, ma voi parlate davvero così?”. Cringe. Inaspettato plot twist, la nutrice diventa zia Angelica, la zia ubriacona e promiscua che fa da confidente a Giulietta – forse l’unica novità che abbia senso drammaturgico e risulti credibile. Peraltro gli adulti, e non crediamo sia stata una scelta consapevole, sono anche quelli che recitano mediamente peggio: buone prove forniscono i cattivi e dark Capuleti senior (Lucrezia Guidone e Michele Di Mauro), ma sopratutto Licia Lanera nella parte della nutrice/zia, capace di saltare bruscamente dall’ironico al cupo, dal tragico al leggero senza mai cadere nel banale o nel già sentito, padrona anche della fisicità del suo personaggio e di una vocalità profonda e graffiata, piacevolmente percorsa da una cadenza de borgata perfettamente organica al ruolo. Sugli altri over quaranta taciamo per rispetto. I giovani, tanto decantati, in effetti funzionano, ma non vi troviamo nulla di miracoloso: sono per lo più attori di cinema o teatro già avviati, o studenti della scuola del Piccolo. Abbiamo già visto Francesco Gheghi (Romeo) ed Emanuele Maria di Stefano (Paride) in alcune pellicole, così come sappiamo del Premio Ubu vinto da Alessandro Bay Rossi (Mercuzio). Tutti loro confermano di essere certamente talentuosi, e se Di Stefano sembra anche piuttosto consapevole del suo ruolo, da Romeo e Mercuzio ci saremmo aspettati forse qualche scintilla in più: Gheghi e Bay Rossi si muovono entrambi, invece, nell’aurea mediocritas che tutto assolve, proponendo un giovane Montecchi sofferto e nevrotico (fino al grottesco nei dialoghi con Frate Lorenzo) e il suo sfortunato amico recitato come da manuale, con tanto di saltelli qua e là per la scena, fervori per la regina Mab e anatema sul capo delle famiglie urlato strozzato in articulo mortis. Questi giovani maudit stanno già correndo il rischio di diventare “bravi” proprio come i loro corrispettivi più anziani. Ed è, in fin dei conti, il grande errore di questo “Romeo e Giulietta”: che senso ha reclutare tutti questi interpreti giovani, anche poco esperti, per trattarli esattamente come tutti gli altri attori, e non ricavare da loro la freschezza che siamo certi potrebbero infondere al tutto? Prendiamo, ad esempio, Anita Serafini: la sua Giulietta prende una piega retorica, quasi pontificale, e la bellezza della sua fisicità appena sbocciata si abortisce in una serie di gesti automatici, senz’anima; è certamente, anche lei, brava a recitare, ma l’avremmo preferita meno controllata, meno brava, con più verità, più sanguinante: far recitare a una teenager la parte di una teenager non è interessante, se non le poniamo di fronte delle sfide – e questa Giulietta ha per unica sfida (del tutto vinta, per carità) quella di ricordarsi un copione infinito e dirlo bene. Piacevole eccezione a questa schiera di giovani brillanti che han fatto il compitino è Edoardo Sabato, allievo della scuola del Piccolo, molto focalizzato a rivoltare come un calzino Benvolio. Beh, ci riesce: dall’accorato – quasi catechizzante – cugino di Romeo Sabato tira fuori un fanciullo fragile e riottoso, dai sentimenti tanto basici quanto intensi e dalla fisicità taurina; non esageriamo se diciamo che ci ricorda lo Stanley Kowalski del ventiseienne Brando, proprio per il contrasto tra l’esteriorità feroce e il lirismo dello sguardo e della voce. Scommettiamo che lo rivedremo, finita l’Accademia, e speriamo non lo educhino troppo. Più o meno sulla stessa linea d’onda anche il ventitreenne Leonardo Castellani, sebbene il suo Tebaldo sia affrontato con maggiore stereotipia e abbia meno possibilità di mettersi in luce. Tuttavia, il vero punto forte di questo “Romeo e Giulietta”, oltre all’interessante prova d’insieme del cast giovane, è la scena disegnata da Margherita Palli, che toglie il fiato al primo sguardo: due enormi alberi che s’intrecciano, a simboleggiare le casate rivali, e sui rami dei quali gli attori si muovono, creando vari piani d’azione e consentendo anche bei giochi di luce e affascinanti chiaroscuri (curati da Pasquale Mari); anche il piano della terra è molto sfruttato, ma forse sarebbe valsa la pena di provare una regia del tutto aerea, giacchè quanto avviene sul palco è spesso ordinario – se questi giovani fossero stati davvero ferini, un po’ ragazzi sperduti di Peter Pan e un po’ wild boys di Burroughs, e si fossero accoltellati saltando tra i rami e volteggiando come rapaci notturni, allora avrebbero davvero reso giustizia a questa scenografia che non ci stanchiamo di ammirare. Invece no, tra i rami ci sono le feste dei socialite Capuleti, le scene d’amore dei protagonisti e poco più; il resto, tra il fondo sabbioso del palco, evidente metafora del torbido, della società che abbrutisce i puri blablabla ma anche tutto tanto bidimensionale e diminuito rispetto all’aspettativa! Così anche il finale tragico avviene ad altezza palco, anzi proprio stesi a terra sulla sinistra: omicidio di Paride nello stesso punto, stesura e suicidio di Romeo sempre lì e risveglio di Giulietta abbozzato. E dopo aver visto volare coltelli per tre ore (senza intervallo, un sequestro, praticamente), alla fine, Giulietta non si accoltella più, muore dell’improbabile veleno sulle labbra di Romeo – o almeno così ci è parso, perché ovviamente anche la sua morte avviene accasciata a terra. L’efficace proiezione di una pioggia torrenziale accompagna gli ultimi minuti di silenzio, nei quali, tuttavia, non arrivano i rappresentanti delle famiglie col Principe di Verona a sancire la pace, la non inutilità del sacrificio dei loro rampolli, ma semplicemente alcuni adulti che guardano la scena, anche un filo schifati, con Frate Lorenzo che spiega (inutilmente) tutta la storia del veleno. Il Principe di Verona non c’è, perché è evidentemente un mondo senza giustizia e senza pietà, quello che si vuole raccontare qui: peccato però, che l’insegnamento finale di “Romeo e Giulietta” sia, probabilmente, quello più spendibile oggigiorno, e togliere il senso di giustizia alla vicenda, con tanto di temporale che tutto monda e cancella, sembra togliere importanza anche alla vicenda stessa degli innamorati – una visione forse troppo cinica, per uno spettacolo di adolescenti. Ed eccoci qui con un “Romeo e Giulietta” senza catarsi, senza futuro. Mario Martone ha teso a specificare di non aver voluto fare il “Romeo e Giulietta di Martone”, e infatti abbiamo onestamente molto apprezzato il testo che per la maggior parte del tempo è quello originale; ma comunque questa interpretazione senza speranza segna (molto più che il gergo inserito qua e là e le “licenze” contemporanee) l’opera di Shakespeare, irrimediabilmente. Foto Masiar Pasquali