Milano, Palazzo Reale
“BILL VIOLA”
Dal 24 febbraio 2023 al 25 giugno 2023
Orari: dal martedì alla domenica: 10.00 – 19.30 / giovedì chiusura alle 22.30
Biglietti: Intero 15 € / Ridotto 13€
Bill Viola è un fautore della videoart. Mediante l’uso del video è giunto ad un utilizzo dello slow motion che ha suscitato un interesse crescente. Prendete un attimo. Che cos’è un attimo? Se esteso e stiracchiato il più possibile può durare un’eternità, tanto da domandarsi: “ma quanto dura?”; e anche: “quindi l’eternità è un attimo?”. D’altronde, l’eternità sembra proprio come un punto di fuga. Rimirate un bel paesaggio. Siamo a Milano, ponetevi al centro di un ponticello sui Navigli. Guardate all’infinito, e le due linee parallele del canale d’acqua che vi scorre sotto i piedi convergeranno verso un punto di fuga. Ora fate una lunga camminata, oppure prendere la macchina, in direzione di quel punto di fuga; ebbene, una volta che lo avrete raggiunto, sarete giunti presso l’infinito. Giratevi ora verso il punto da cui arrivate, sarà proprio quello il nuovo punto di fuga, l’infinito anch’esso. Giungeremo, quindi, alla conclusione che l’infinito è ovunque; e così anche l’eternità. Almeno questo è quello che abbiamo compreso dopo aver visitato la mostra di Bill Viola che sta avendo luogo a Palazzo Reale.È un’intuizione che ha genialità, quella di un “tempo malleabile”, “dove un momento diventa eternità” (parole di Kira Perov, curatrice delle mostre e moglie di Viola); e nella prima sala di questa mostra vengono esposti i lavori di una prima fase in tal senso: The Greeting (1995), The Quintet of the silent (2000), Catherine’s Room (2001), Four hand (2001). Nonostante questi lavori rappresentino i ragionamenti dell’artista sullo slow motion, con degli importanti riferimenti all’arte italiana del Quattro e Cinquecento, ci appaiono però più degli interessanti esercizi di stile. Se estendiamo per 16 minuti le reazioni di pochi secondi di cinque persone, ciò può essere interessante per coglierne appieno i cambiamenti di espressione, e anche per poterli osservare con agio in tutte quante: molto spesso i cambiamenti sono troppo repentini nel loro accadimento per poterli studiare, o averne un’impressione generale. Ecco che, in tal senso, un video del genere coglie nel segno. Ma è come filmare, e rallentare il più possibile, i passaggi di un operaio. Se non siamo interessati a impararne la tecnica, e se neanche ci piace esteticamente chi lavora, o il suo abbigliamento, o un qualsivoglia dettaglio, ecco che il video, nella sua estrema lentezza, può smettere facilmente di interessare. Sembra questa, forse, una fase preparatoria in cui Viola stesse studiando il linguaggio per esprimere qualcosa di “poetico”. Arriverà di lì a breve. Già nella sala successiva troviamo Emergence, del 2002. Ma perché da molte parti si parla di una resurrezione, considerato che l’ispirazione dichiarata è quella della Imago pietatis di Masolino, e il video fu realizzato su commissione del Getty per la mostra “The passions”? Viola ci sembra qui andare ben oltre ad un rifacimento o studio dell’opera di ispirazione. Lo slow motion coglie nel segno, già nell’attesa esasperante delle due donne ai piedi della cisterna. Quella alla nostra destra si gira una prima volta. Sta succedendo qualcosa? No. Si gira una seconda. Forse anche questa volta nulla. Non accade nulla. Ma no, emerge un ragazzo esanime, come un corpo morto che riaffiorasse dal mare dopo che si era cercato di cacciarlo sottacqua; e nascondere così un cadavere è come affrontare i problemi alla maniera dello struzzo. Le due donne non possono fare a meno di sorreggere quel corpo, distenderlo e coprirlo. Ci sembra che Viola sia penetrato nella poesia delle imagines pietatis, iconografia che nel Quattrocento era diffusissima. Ne esistono a iosa, in molti musei, e non è un caso che molte siano attestate come “insegne” o “stemmi” di istituti caritatevoli. La pietas si incarna anche in questo video di Viola. Infatti, regge il confronto con un’altra Imago pietatis, cara a chi vi scrive, quella di Bellini. La firma in versi, che trae spunto da altri di Properzio, denuncia un’ispirazione profonda: quella di un volgere lo sguardo alla sofferenza altrui, e che questo sia un mezzo per ragionare sulla propria di esistenza. Per la riuscita di questo video, ci appare anche doveroso sottolineare il ruolo espressivo di John Hay, il performer nei panni del “Cristo”. Altro elemento rilevante, infine, è l’acqua, presente in molte opere di Viola, e che ha un ruolo simbolico (ed autobiografico) di vita e morte insieme. Infatti, delle cascate d’acqua sono quelle che attraversano le anime in Ocean Without a Shore, opera del 2007, realizzata in una chiesa sconsacrata di Venezia, in cui nei tre altari vennero posti degli schermi da cui si affacciavano in loop dei performer (tra cui Viola stesso): si guardano in giro, ci guardano, interrogativi, forse delusi, per poi tornare nel loro mondo e sparire nuovamente da dove sono venuti. L’acqua è anche uno dei quattro elementi di Martyrs, del 2014, dove i quattro pannelli video interpretano gli elementi primordiali, e in quello dell’acqua ritroviamo il performer John Hay. Molto interessante anche quello della terra, in cui l’uso del rewind per scoprire l’uomo da una montagna di terra appare un processo funzionante al contrario rispetto a quello che si può vedere in Giorni felici di Beckett. La mostra, infine, si conclude con due opere trasmesse in loop alternate, anche qui due dei quattro elementi (acqua e fuoco), e cronologicamente vicine a Emergence: Fire woman e Tristan’s ascension; e in quest’ultima di nuovo John Hay. Viola non racconta nulla della vicenda, e se il titolo non rammentasse questa suggestione, non penseremmo a Tristano; eppure, la potenza di queste immagini ci appare indiscussa, soprattutto grazie a quello che John Hay può fare con il corpo. Come sottolineato anche dai curatori, queste opere si sviluppano “sempre più all’interno di una dimensione performativa, in cui il corpo dell’attore diventa fondamentale”. Ci sembra quindi giusto restituire ai performer il proprio merito; e soprattutto a uno sconosciuto John Hay, il cui corpo ha permesso a Viola di fare cose stupefacenti: come nel teatro, le capacità dell’attore possono giocare il ruolo decisivo per il successo di un’opera. Oggi Viola è un artista affermato, ma non sappiamo come e se passerà alla storia. Già il passato ci ha dimostrato di come la critica e la storia dell’arte muti con il mutare della storia. Tutto ciò è ancora materia troppo viva per poterla sezionare e analizzare (anche se noi non abbiamo resistito a farlo); va vista, per poi amarla o odiarla.