Madrid, Auditorio Nacional de Música, Ibermúsica 2022-2023
London Philharmonic Orchestra
Direttore Edward Gardner
Antonín Dvořák: Sinfonia n. 7 in re minore, op. 70 B. 141
Edward Elgar: Enigma Variations, op. 36
Madrid, 28 febbraio 2023
Debutta nelle stagioni di Ibermúsica il Direttore titolare della London Philharmonic Orchestra, l’inglese Edward Gardner, con una piccola tournée che si apre a Madrid. La compagine fondata da Sir Thomas Beecham nel 1932, invece, vanta un annoso rapporto con Ibermúsica, di cui ha infoltito i programmi a partire dalla stagione del 1980, quando fu diretta per la prima volta in Spagna da Okko Kamu. Da allora si sono succeduti più di ottanta concerti, diretti dai grandi “sinfoneti” degli ultimi decenni, da Jesús López Cobos a Sir Georg Solti, da Lorin Maazel a Vladimir Jurowski (che, tra l’altro, ostenta il primato del maggior numero di concerti della LPO diretti in Spagna). L’attesa per il ritorno del complesso londinese era grande, considerate la giusta fama che ne accompagna le prestazioni e l’aspettativa per il nuovo direttore. Il programma inaugurale, con due brani celebri di Antonín Dvořák ed Edward Elgar, non avrebbe potuto costituire abbinamento più “classico” e coerente. L’accoglienza e la risposta del pubblico che gremisce l’Auditorio Nacional de Música sono state molto positive, anche entusiastiche, e lo stesso si può dire dei commenti critici sui periodici spagnoli. Sia dunque permesso a chi scrive di emettere una piccola stecca nel coro degli elogi incondizionati. A petto di un’esecuzione brillante e appassionata, infatti, non tutto è stato pregevole. Nella VII Sinfonia di Dvořák, per esempio, qualche sibilo incontrollato degli ottoni o degli archi turba il meticoloso disegno dell’Allegro maestoso iniziale. Inoltre, il fragore continuo del timpano e delle sonorità ricorda il gusto deteriore con cui si eseguiva Beethoven negli ultimi decenni del secolo scorso. Anche nei movimenti successivi, se il tempo è ben sostenuto, l’agogica si appiattisce su di un volume mantenuto al massimo (scandito, magari, da qualche tentazione espressionistica, come nello scherzo). Nel porgere le pièces che compongono la partitura di Elgar, Gardner differenzia opportunamente colori, timbri e nuances, ma neppure in questo brano si astiene da un generale “fortissimo” che finisce per sovrastare tutto (anche la bellissima intensità degli archi nell’ultima variazione). In sintesi, la direzione di Gardner non è stata persuasiva, prima di tutto perché incapace di controllare le sonorità delle percussioni e il volume complessivo del suono; e poi perché mancava di una precisa caratterizzazione stilistica. Forse l’approccio al concerto è stato volutamente semplificativo, in direzione di un risultato popolare; anche la scelta del bis, la Danza ungherese n. 5 di Brahms, significa omaggio ai gusti più prevedibili del pubblico. Foto Rafa Martín © Ibermúsica