Venezia, Teatro La Fenice, Lirica e balletto, Stagione 2022-2023
“IL MATRIMONIO SEGRETO”
Melodramma giocoso in due atti. Libretto di Giovanni Bertati, dalla commedia “The Clandestine Marriage” di George Colman il Vecchio e David Garrick
Musica di Domenico Cimarosa
Carolina LUCREZIA DREI
Paolino JUAN FRANCISCO GATELL
Fidalma MARTINA BELLI
Geronimo PIETRO DI BIANCO
Elisetta FRANCESCA BENITEZ
Il conte Robinson OMAR MONTANARI
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Alvise Casellati
Maestro al cembalo Roberta Paroletti
Regia Luca De Fusco
Scene e costumi Marta Crisolini Malatesta
Light designer Gigi Saccomandi
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, 10 febbraio 2023
Dopo circa quindici anni di assenza è approdato nuovamente a Venezia Il matrimonio segreto, capolavoro indiscusso di Domenico Cimarosa e dell’opera buffa italiana del Settecento, a parte l’ineguagliabile trilogia firmata da Mozart e Da Ponte. In effetti si tratta di una delle poche opere del XVIII secolo rimaste sempre in repertorio fino ai giorni nostri, essendo una felice sintesi di temi e stilemi tipici del teatro musicale di quel periodo, al punto da affascinare tre fra i più illustri esponenti della cultura occidentale, quali Goethe, Stendhal e persino Nietzsche. In particolare lo scrittore francese – memore della commozione da lui stesso provata assistendo a una rappresentazione dell’opera – inserì in Le rouge et le noir un episodio, nel quale lo spregiudicato Julien Sorel, a teatro, non riesce a trattenere le lacrime di fronte alla patetiche vicende di Carolina. Del resto, l’atteggiamento di Stendhal era largamente condiviso dai suoi contemporanei, compreso l’Imperatore d’Austria Leopoldo II – tra gli spettatori alla prima rappresentazione assoluta dell’opera al Burgtheater di Vienna, il 7 febbraio 1792 –, che secondo un aneddoto, peraltro alquanto fantasioso, avrebbe addirittura preteso il bis dell’intero spettacolo.
Efficace la messinscena ideata da Luca De Fusco – per quanto forse ripercorra territori già esplorati – a dare un senso meno scontato a una classica “commedia degli equivoci”, che si regge soprattutto su una musica di straordinaria qualità. Nei personaggi il regista napoletano coglie un comun denominatore: il ricorso all’immaginazione. E lo scarto tra immaginazione e realtà è una delle sue chiavi interpretative della vicenda: ogni componente del terzetto femminile – Carolina, la sposa segreta; Elisetta, sua sorella, aspirante al matrimonio; Fidalma, l’anziana zia, ancora animata da speranze amorose – crea nella sua mente una situazione diversa da quella in cui si trova effettivamente. In modo analogo si comporta il gruppo maschile. Geronimo, il padre usa la propria capacità immaginativa per escogitare una soluzione adeguata a sistemare le proprie figliole. Anche il Conte – il personaggio più interessante dell’opera – si fa sedurre dal proprio fantasticare, invaghendosi di una futura sposa solo immaginata, che non trova poi rispondenza nella realtà. Dal resto dei personaggi, nobili o comunque ricchi, si distingue Paolino – sposo segreto di Carolina –, un giovane di umili origini, che col matrimonio migliora la propria posizione nella società. Ma nell’opera non si coglie alcuna denuncia sociale, sicché la lettura più appropriata resta, secondo De Fusco, quella dell’“Omnia vincit amor”, in linea con il conservatorismo della corte viennese. Quanto all’ambientazione, essa corrisponde a una galleria di quadri, alcuni dei quali sono specchi, che riflettono non la realtà, ma l’immaginazione dei personaggi, il loro inconscio, i loro timori e desideri profondi, in un gioco lieve e ironico. La vicenda – lungi dalle solite letture attualizzanti e spesso forzatamente “scandalose” – si svolge nell’epoca in cui fu scritta. Appropriati e gradevoli i costumi disegnati da Marta Crisolini Malatesta, cui sono dovute anche le scene piuttosto essenziali. Ottimo il lavoro di Gigi Saccomandi, quale Light designer, che intona le luci – di volta in volta calde, fredde, radenti o diffuse – alle varie situazioni sceniche.
Sul versante musicale Alvise Casellati – sorretto da un’orchestra come sempre encomiabile – riesce a valorizzare l’eleganza e la leggerezza, di derivazione mozartiana, della scrittura di Cimarosa: un omaggio al Salisburghese, morto nel 1791, lo stesso anno in cui il compositore aversano arriva a Vienna, dove incontra il Bertati, che gli fornirà il libretto – assai ben congegnato – del Matrimonio segreto. Il direttore padovano trova il giusto accento nei vari momenti di questo lavoro “di mezzo carattere”, che prevede anche due episodi in minore, entrambi incentrati su Carolina, oltre a pagine semplici sotto il profilo melodico come l’aria iniziale, in cui i protagonisti, Caterina e Paolino, si dichiarano reciproco amore: un duetto, che parte semplice, ma poi contiene vari passaggi d’agilità e assume caratteristiche di cabaletta, sfociando in un finale veloce. Del resto, nell’opera non mancano le colorature, che il direttore ha opportunamente deciso di non tagliare, anche se generalmente ardue, potendo contare su un cast estremamente brillante, in grado di affrontare adeguatamente anche il parlato veloce, affidato non solo al basso, come da tradizione, ma anche agli altri ruoli. Passando alle voci, Lucrezia Drei nei panni di Carolina ha saputo esprimere la forte personalità della protagonista – che prevale nella coppia rispetto a Paolino e che Cimarosa, non a caso, fa cantare nei duetti con il marito una terza sopra –, brillando, tra l’altro, in “Ma voi siete tanto cani”, un accelerando particolarmente accentuato da Casellati, come nei momenti drammatici, ad esempio in “Come tacerlo, poi, se in un ritiro” . Convincente Francesca Benitez, quale Elisetta, che, in particolare, ha affrontato con onore le incredibili agilità contenute in “Se son vendicata”. Autorevole la Fidalma di Martina Belli, segnatamente in “È vero che in casa son io la signora”, risultando analogamente prestante nelle colorature conclusive. Ben calato nel personaggio Juan Francisco Gatell nel ruolo dell’insicuro Paolino – che si confonde nel duetto con il Conte, ma nello stesso tempo è un tombeur de femme –, segnalandosi, ad esempio, in “Pria che spunti in ciel l’aurora”. Davvero brillante la prestazione di Omar Montanari, che ha disegnato un Conte Robinson nobilmente generoso, anche grazie a una voce duttile dal timbro assai gradevole – osiamo dirlo? – “alla Bruscantini”, risultando perfettamente a suo agio in “Son vizioso giocatore”, per non fare che un esempio. Apprezzabile Pietro Di Bianco come Geronimo, tra l’altro, nella cavatina “Udite tutti, udite”. Successo pieno e grandi applausi a fine serata.