Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2022-2023
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Frédéric Chaslin
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Pianoforte Davide Ranaldi
Soprano Hilary Cronin
Baritono Armando Noguera
Wolfgang Amadeus Mozart: “Die Zauberflöte”, ouverture; Concerto per pianoforte e orchestra n. 20 in re minore KV 466; Gabriel Fauré: Requiem op. 48 per soli, coro e orchestra
Venezia, 25 febbraio 2023
Nuovo appuntamento nell’ambito della Stagione Sinfonica 2022-2023 del Teatro La Fenice. Tre i titoli in programma. Due gli autori coinvolti: Wolfgang Amadeus Mozart con l’ouverture dall’opera Zauberflöte e il Concerto per pianoforte e orchestra n. 20 in re minore KV 466; Gabriel Fauré rappresentato dal Requiem per soli, coro e orchestra op. 48. Si tratta di composizioni, che rimandano a due periodi storici tra loro lontani (alla fine del Settecento i due titoli mozartiani, all’ultimo scorcio dell’Ottocento il Requiem di Fauré), ma sono in qualche modo legate tra loro per il fatto che affrontano una tematica comune: l’universale aspirazione dell’Uomo a trovare un rimedio alla “paura del divenire” – un concetto elaborato, in particolare, da Nietzsche – o, in termini più semplici, alla paura della morte, sia tale rimedio offerto dalla religione, dalla filosofia o dalla scienza moderna. Abbastanza emblematica, in tal senso, appare l’ouverture della Zauberflöte, la quale – composta classicamente da un enigmatico Adagio introduttivo, cui segue un vivace e luminoso Allegro – esprime simbolicamente la vittoria della ragione sulle tenebre dell’ignoranza. Aperta da tre imponenti accordi – a preannunciare il tentativo da parte di Tamino di entrare nel Tempio della Saggezza – essa sfocia, dopo la lenta introduzione, in un Allegro, basato su un tema, tratto da una sonata di Muzio Clementi, sottoposto ad uno sbalorditivo trattamento contrappuntistico.
Ma la luce trionfa sulle tenebre anche alla fine del Concerto per pianoforte e orchestra KV 466, in cui il Salisburghese tratta lo strumento solista in modo innovativo, facendolo interagire con l’orchestra in un rapporto paritetico, attraverso una scrittura che ne amplifica la dimensione sinfonica, nonché l’espressività, di sapore già romantico. In questo movimento conclusivo (Allegro assai) ritroviamo, dopo la parentesi rasserenante della Romance, la concitazione e il tono tormentato che caratterizzano il primo movimento (Allegro), cui contrasta uno squarcio rassicurante, che si impone soprattutto nel luminoso finale.
Lo stesso Requiem di Fauré tende ad esorcizzare il terrore della morte, attraverso la speranza di godere, nell’Aldilà, della luce perpetua. Così nella partitura non vi è traccia del Dies irae, una sequenza dal piglio troppo lugubre e minaccioso, mentre domina un tono di nobile tristezza, con il quale il non credente Fauré esprime la sua aspirazione, molto umana, al riposo ultraterreno.Raffinata e attenta ad ogni sfumatura si è confermata, ancora una volta, la direzione di Frédéric Chaslin, nell’affrontare il dovizioso programma della serata. Così nell’ouverture mozartiana – complice una compagine orchestrale inappuntabile sotto ogni aspetto – si è goduta una vera e propria magia del suono con gli ottoni e gli altri fiati, che hanno offerto seducenti, nitide, intonatissime armonie, mentre gli archi si sono dimostrati assolutamente coesi e precisi, con il loro suono perlaceo, nell’affrontare la complessa scrittura contrappuntistica, che come si è detto, caratterizza la seconda parte del brano.
Ovviamente nel Concerto KV 466 ha brillato di luce propria il giovane Davide Ranaldi – vincitore del Premio Venezia 2021 –, che ha affrontato da par suo il dialogo serrato tra solista e orchestra, rendendo con una sensibilità già matura il clima espressivo, diffusamente cupo e drammatico della composizione – scritta in re minore: la stessa tonalità dell’ouverture e del finale del Don Giovanni, e poi ancora del Requiem –, ma anche affrontando con disinvoltura le figurazioni brillanti, che pure caratterizzano questo assoluto capolavoro.
L’autorevolezza, la sensibilità, la profonda conoscenza dell’essenza più genuina della musica francese a cavallo tra Otto e Novecento, da parte di uno specialista, qual è Frédéric Chaslin, si sono imposte mirabilmente nell’esecuzione del Requiem di Fauré, di cui si è messo in risalto il particolare colore, che risente – anche nella versione definitiva, arricchita nell’organico – dell’essenzialità quasi cameristica, che si poteva cogliere nella versione originale, in cui la strumentazione era decisamente scarna. Encomiabile in questa suggestiva esecuzione è risultata la prestazione del Coro – magistralmente istruito e diretto da Alfonso Caiani – che si è segnalato nel sillabato, tenero e sommesso, del “Requiem aeternam” (nell’Introït et Kyrie), prima di ripetere questa invocazione nella forma di un tema vero e proprio (lo stesso del “Kyrie”), per intonare poi, con forza e nitidezza di fraseggio, l’implorazione dell’“Exaudi”. Ancora il Coro si è fatto apprezzare nel Sanctus, caratterizzato da un accompagnamento a semicrome di arpa e viole – per il sottile intimismo, con cui ha connotato il suo intervento, interrotto dal carattere marziale dell’“Hosanna” – e nell’Agnus Dei, che contiene gli accenti più gravi dell’intera partitura. Il baritono solista, Armando Noguera è emerso in primo piano, accanto al Coro, in corrispondenza delle parole “Hostias et preces”, nell’ Offertoire, impostato in modo prevalentemente contrappuntistico, ma – a nostro modesto avviso – la sua interpretazione non ha espresso quel mistico fervore, che richiederebbe questa pagina. Lo stesso solista è intervenuto nel Libera me, ma anche questa volta – ci pare – senza rendere appieno il carattere cupo e implorante della preghiera. Quanto a Hilary Cronin, il soprano solista ha sedotto il pubblico nel Pie Jesu – forse la pagina più incantevole dell’intero Requiem – per la dolcezza della sua prestazione canora, messa in risalto dall’uso estremamente parco dell’orchestra, brillando anche nella fascinosa sequenza conclusiva, In Paradisum – che si avvale del discreto accompagnamento di organo e arpa –, dove ha intonato questa nobile melodia con pacatezza di toni, ma senza far venir meno l’intensità espressiva. Applausi senza riserve per il direttore, i solisti, il coro e l’orchestra.