“ZIO VANJA” di Anton Čechov
adattamento e regia Roberto Valerio
con Giuseppe Cederna
e con: Pietro Bontempo, Mimosa Campironi, Massimo Grigò, Alberto Mancioppi, Caterina Misasi, Elisabetta Piccolomini
Costumi Lucia Mariani – Luci Emiliano Pona – Suono Alessandro Saviozzi
Allestimento Associazione Teatrale Pistoiese – Produzione Associazione Teatrale Pistoiese con il sostegno di Ministero della Cultura, Regione Toscana
In una tenuta di campagna c’è una tavola apparecchiata per il tè sotto ad un vecchio pioppo. Poco più in là, dondola un’altalena. L’atmosfera tranquilla e serena non rispecchia il tumulto disordinato dei cuori. La vita quotidiana e monotona che Vanja, sua nipote Sonja, l’anziana maman Marija, Telegin e il dottor Astrov, conducono in quella residenza di proprietà del professor Serebrjakov, viene stravolta dall’arrivo dello stesso illustre accademico e dalla sua bellissima seconda moglie Elena…
Questi personaggi non sono eroi o eroine, ma persone semplici che ci raccontano il semplice flusso della vita. Della vita di tutti noi. Ed è per questo che ci sentiamo così vicini ed empatici a queste anime smarrite. Le loro passioni sono le nostre passioni, i loro slanci, le loro delusioni sono le stesse emozioni che accompagnano la nostra vita. Ogni personaggio insegue un proprio pensiero, una propria ispirazione. Ognuno declama i propri sogni, le proprie sofferenze, che non si incontrano però mai con quelle degli altri personaggi. Parlano a sé stessi. I dialoghi non sono mai un vero scambio, un vero dialogo. I personaggi sembrano intrappolati in soliloqui che denunciano la loro incapacità di comunicare. Ogni personaggio anela al bello, al riscatto, all’amore: tutti però incapaci di agire. Così come in Beckett i due clown Vladimiro ed Estragone attendono Godot, così i personaggi di Čechov attendono, invano anch’essi, la felicità e un futuro migliore. I personaggi vivono in una cappa di noia dalla quale non sembrano intenzionati a fuggire. Vorrebbero fare qualcosa per reagire alla propria insoddisfazione e in alcuni momenti sembrano anche riuscirci, ma poi ritornano al punto di partenza.
Zio Vanja si può allora definire il dramma delle occasioni mancate, della rinuncia a cogliere l’opportunità di cogliere le occasioni per cambiare la propria vita. Zio Vanja è una commedia basata su un vero e proprio meccanismo di inerzia. “Quando non c’è vita vera, si vive di miraggi” dice zio Vanja. E allora spesso i personaggi attraverso il bere (vodka o vino) cercano uno stato di ebrezza, di ubriachezza che dia loro la possibilità di evadere dalla realtà.
Nella commedia si beve molto, ben 17 volte i vari personaggi sono invitati dall’autore a bere. Attraverso il bere si realizza una vita illusoria, inventata, artificiosa. Si contrappone alla non-vita reale, quotidiana. Tanto grandi sono i sogni nell’ebrezza dell’alcool, altrettanto grande è l’incapacità di agire nella vita di tutti i giorni. All’interno del testo, troviamo un continuo balenio di spunti burleschi e tragicomici: il ridicolo tentativo di Vanja di uccidere il Professore Serebrjakov con un colpo di pistola, il penoso tentativo di suicidio dello stesso Vanja con una bustina di morfina, il goffo corteggiamento alla bella e ambigua Elena da parte sempre di Vanja, le ubriacature notturne, le tante piccole stranezze che coltivano tutti i personaggi e che li rendono degli amabili stravaganti bislacchi…
Čechov considerava Zio Vanja una commedia, quasi un vaudeville. “Tu sei il re dei buffoni” dice il dottor Astrov a Vanja. D’altronde i buffoni, i clown, gli eccentrici, non sono l’immagine della solitudine e della tristezza?