Roma, Teatro dell’Opera: “La Bayadère” di Benjamin Pech

Roma, Teatro dell’Opera, Stagione di balletto 2022-2023
“LA BAYADÉRE”
Libretto di Marius Petipa e Sergej N. Khoudekov
Musica Ludwig Minkus
Coreografia Benjamin Pech da Marius Petipa 

Nikiya OLGA SMIRNOVA
Solor JACOPO TISSI
Gamzatti SUSANNA SALVI
Capo dei fachiri MICHELE SATRIANO
Alto Bramino DAMIANO MONGELLI
Il Rajah MICHAEL MORRONE
Idolo d’oro ALESSIO REZZA
Pas d’Action ELENA BIDINI, FEDERICA MAINE, FLAVIA MORGANTE, MARIANNA SURIANO. GIACOMO CASTELLANA, VALERIO MARISCA.
Tre ombre MARTA MARIGLIANI, MARIANNA SURIANO, FEDERICA MAINE.
Orchestra e Corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Kevin Rhodes
Scene Ignas Monreal
Costumi Anna Biagiotti
Luci Vinicio Cheli
Roma, 25 febbraio 2023
Grande successo di pubblico per la prima del balletto La Bayadère, uno dei grandi classici del repertorio ottocentesco, frutto del genio di Marius Petipa, che sulla scia di una tradizione già consolidata di temi e protagoniste esotiche che avevano nutrito l’Europa fin dai racconti di Marco Polo, sintentizza abilmente caratteri e situazioni drammaturgiche efficaci, armonizzandole attraverso una estetica coreografica che permette finanche a una partitura musicale debole come quella di Ludwig Minkus di essere efficacemente funzionale e sa ancora oggi – nonostante ci si trovi di fronte a un prodotto molto diverso dall’archetipo – avere grande presa sul pubblico e sui danzatori stessi.
L’allestimento andato in scena al Teatro dell’Opera di Roma per il Corpo di ballo diretto con decisione da Eleonora Abbagnato è firmato da Benjamin Pech, altro erede della tradizione francese che deve a Rudolph Nureyev il lascito di una Bayadère ereditata sì dalla più pura tradizione russa del Kirov/Marijnskj di Sanpietroburgo, ma sapientemente rinnovata in chiave moderna. D’altra parte quale lavoro teatrale non ha subìto rimaneggiamenti costanti fin dal giorno successivo al debutto, finanche dallo stesso Petipa, come da parte di tutti i coreografi della storia?
Ma La Bayadère è un titolo di recentissima importazione europea: benché la prima assoluta del 23 gennaio 1877 abbia avuto luogo al Teatro Imperiale Bol’ŝoj Kamennyj di Sanpietroburgo, il balletto arriva in Occidente col solo atto del Regno delle Ombre nel 1961, nel corso di una tournée della Compagnia del Kirov con lo stesso Nureyev nei panni di Solor. Mostra poi tutte le sue ‘facce’, ovvero le versioni più o meno ridotte in quattro/tre/due atti, con i relativi finali che privilegiano un esito piuttosto che un altro, a seconda che si voglia sottolineare lo spirito vendicativo di Nikiya, che trova pace solo dopo il crollo del tempio durante le nozze reali del suo amato con la rivale Gamzatti, responsabile della sua morte, con l’apoteosi finale in cui si ricongiunge allo spirito dell’amato oppure che si privilegi un finale ‘sospeso’ nel sogno di Solor, circondato dalle ombre e dalla sua amata senza alcun ritorno alla realtà; o ancora, come in quella di Pech, che si scelga di terminare con Solori che si piega al matrimonio con Gamzatti con una Nikiya che scompare sullo sfondo, quasi come la Giselle di alcune versioni ottocentesche, la quale additava Bathilde ad Albrecht come un nume tutelare.
La versione del coreografo francese, già Étoile dell’Opéra Garnier e ultimo testimone della ‘generazione Nureyev’ (qui coadiuvato da una Nikiya storica, tra i primi giovani promettenti lanciati da Nureyev stesso, come Isabel Guerin) insiste sulla colpa di Solor e chiude proprio con la vittoria del potere sull’amore. La sua è una Bayadère che intende oscillare fra tradizione e modernità, vicina al sentire contemporaneo, perché tutti possano ritrovarsi nelle passioni dei personaggi. Egli crea così un allestimento in effetti agile, in cui diverse ripetizioni musicali sono tagliate per evitare i manierismi più consumati,  conservando invece il senso della drammaturgia originaria, soprattutto nelle sezioni di pantomima, cha appaiono sempre misurate nel senso più ampio del termine, ovvero sintetiche ma anche collocate ritmicamente sulla musica come una danza. Sono presenti interpolazioni (una variazione in più per Gamzatti nella seconda scena del primo atto, mutuata dal divertissement di Paquita [carrillon]), e un assolo di Solor prima della discesa delle Ombre, così come la gestione del Corpo di ballo con danze che prediligono il lavoro di coppia. La tessitura coreografica scivola con rapidità e mantiene sempre viva l’attenzione; si è scelto di puntare su colori molto caldi sia per le scene che per i costumi, realizzati da Anna Biagiotti, in parte nuovi e in parte rielaborati dal repertorio del Teatro dell’Opera, essi sono per Pech un compromesso fra passato e presente (in vero appare discutibile la rimozione dei collants per le demi-soliste del Pas d’Action, specie perché si sono mantenute scarpette e laccetti rosa troppo evidenti sotto le luci, ma anche il tutù della principessa è apparso di un rosso e nero che nell’immaginario classico riporta a ben altri titoli). Godibile comunque l’impressione d’insieme. La novità scenografica più sensibile appare quella affidata alla mano del pittore spagnolo Ignasi Monreal, ovvero i grandi papaveri che scendono a incorniciare il secondo atto. Non più dunque una foresta tropicale ma l’interno del palazzo del Rajah che, nelle visioni deliranti indotte dall’oppio che Solor fuma per dimenticare, si accostano alle mantovane dorate. Un effetto che può far storcere il naso a qualcuno, ma che dal vivo non infastidisce l’occhio, anzi si amalgama nel colore esotico che le trasfigurazioni moderne spesso hanno perso.
L’ingresso a scena aperta, sia pure in silhouette, delle ‘ombre’ di scenografi e attrezzisti vari che solitamente lavorano dietro le quinte voluta dal coreografo,  rompe però l’illusione scenica che un balletto a serata intera di impianto narrativo dovrebbe creare e saper mantenere. E questo è il punto più sottile (e anche dolente) di ogni interpretazione che si rispetti, soprattutto a livelli altissimi come quelli offerti dai primi interpreti ospiti.
Grande successo senza alcun dubbio per Olga Smirnova e Jacopo Tissi, che non hanno bisogno di presentazioni e che hanno eseguito Passi a due e assoli da manuale con grande naturalezza (figlia di una padronanza della tecnica che riesce in quel difficile e non comune processo di sublimazione), sia pure con qualche défaillance iniziale inattesa (lift del primo Passo a Due, ma se c’è stata una emozione questo depone a favore di una umanità che spesso non si crede che le grandi stelle abbiano). Tra la seducente e plastica fluidità dei movimenti di Smirnova e gli straordinari ballon di Tissi, che nonostante l’altezza superba riesce a essere veloce e guizzante, la ‘nobiltà’ stilistica di quest’ultimo non sembra in sintonia col personaggio di Solor. Il vigore richiesto a un guerriero ideale è ancora lontano dalla sua interpretazione, troppo spesso sorridente alla ricerca di intesa col pubblico, cosa che rompe il processo di costruzione di un personaggio maturo, che dovrebbe guardare solo chi è in scena accanto a lui nella finzione della più grande verità. Si tratta non di minuzie, ancor più se si ragiona di stelle, ma di particolari che fanno la differenza e che spesso in giovane età non si colgono fino in fondo nel loro peso. Ma siamo certi che l’intelligenza di un danzatore che ha saputo scalare le vette più ostiche della danza mondiale (come quelle del Teatro Bol’ŝhoj di Mosca) saprà cogliere queste letture. Nei ruoli principali si alterneranno con Smirnova e Tissi rispettivamente Rebecca Bianchi, Marianna Suriano e Maja Makhateli con Alessio Rezza, Mattia Tortora e Victor Caixeta. Ottima prestazione di Susanna Salvi, Étoile di casa nel ruolo di Gamzatti (in alternanza con Alessandra Amato e Federica Maine), che, sia pure dotata di una fisicità molto diversa rispetto a Olga Smirnova, ha fatto sfoggio di una tecnica sicura e musicale e di una espressività intensa. Stessa cosa per l’Étoile maschile Michele Satriano, Idolo d’oro sinuoso e sicuro, e per il Primo ballerino Alessio Rezza, Capo dei fachiri dalla giusta dose di modernità in un ruolo ‘selvaggio. Buone le prestazioni delle Soliste, fatta eccezione per la solista della danza dei tamburi Annalisa Cianci, in vero molto impacciata e rigida nei movimenti, priva di un adeguato sostegno della schiena nei developpés. Fra le tre ombre, plauso alla prima solista Marta Marigliani, che ha conquistato applausi a scena aperta per la padronanza tecnica e la musicalità; debole la terza ombra di Federica Maine. Bella prestazione complessiva da parte del Corpo di ballo, sia pure non sempre preciso negli allineamenti (donne), in un balletto che mette a dura prova le masse.
Vigorosa la direzione (partita inizialmente in sordina) del Maestro Kevin Rhodes, che ha diretto l’Orchestra del Teatro dell’Opera nella ripresa della partitura di Minkus con nuovi tagli e modifiche da parte di Benjamin Pech.
Al calar della tela, lunghi applausi di un teatro in sold out hanno confermato il gradimento da parte del pubblico, che non ha mancato di esprimere il proprio calore per Olga Smirnova e Jacopo Tissi fin dalla prima entrata in scena e nei momenti di maggiore impatto.
Repliche fino al 2 marzo. Prossimo appuntamento con la danza al Teatro dell’Opera di Roma dal 2 al 9 maggio con La fille mal gardée di Sir Federik Ashton, ripresa da Jean-Christophe Lesage. (foto Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma)