Napoli, Teatro di San Carlo, stagione di balletto 2022-2023
“RAYMONDA” Atto terzo
Coreografia Marius Petipa
Musica Aleksandr Glazunov
Raymonda LUISA IELUZZI
Jean De Brienne DANILO NOTARO
Henriette IRENE DE ROSA
Clémance GIORGIA PASINI
Costumi Giusi Giustino
“APPOINTED ROUNDS”
Coreografia Simone Valastro
Musica Laurie Anderson
Tre donne CLAUDIA D’ANTONIO, FRANCESCA RICCARDI, MARTINA AFFATICATO
Due uomini PIETRO VALENTE, GIUSEPPE AQUILA
Costumi Simone Valastro in collaborazione con Giusi Giustino
Luci Simone Valastro
“DELIBES SUITE”
Coreografia José Carlos Martínez, assistente Agnès Letestu
Musica Léo Delibes
Pas de Deux ANNACHIARA AMIRANTE, ALESSANDRO STAIANO
“ARIA SUSPENDED”
Coreografia Mauro de Candia
Musica Johann Sebastian Bach
Costumi Agnès Letestu
Pas de Deux ANNALINA NUZZO, GIUSEPPE CICCARELLI
Costumi e Luci Mauro De Candia
“AUNIS”
Coreografia Jacques Garnier ripresa da Wilfried Romoli e Simone Valastro
Musica Maurice Pacher
Musicisti Gérard Baraton, Christian Pacher
Tre uomini Francesco Lorusso, Emanuele Torre, Ferdinando De Riso
Costumi e Luci Jacques Garnier
Étoiles, Solisti e Corpo di Ballo del Teatro di San Carlo
Direttore del Balletto Clotilde Vayer
Maître de Ballet Soimita Lupu
Napoli, 29 gennaio 2023
Lo spettacolo proposto ‘in trasferta locale’ al Teatro Politeama di Napoli da parte del Corpo di ballo del San Carlo (a causa di lavori interni al Massimo) accosta il grande repertorio classico a brevi quadri di coreografia contemporanea in un sistema variegato e godibile, facilmente apprezzabile dal pubblico più ampio. Ma vediamone i particolari e, soprattutto, gli esiti. Il terzo atto di Raymonda di Petipa-Glazunov (debutto il 7 gennaio 1898 al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo con Pierina Legnani come protagonista e Sergej Legat nel ruolo di Jean De Brienne) è la sintesi di un momento di transizione fra Ottocento e Novecento per il balletto: l’ultimo Petipa che diviene sempre più astratto nell’uso della tecnica, che si stacca dalla drammaturgia di una trama esile e senza azione per far ‘parlare’ i corpi dei danzatori attraverso i passi, grazie alla valorizzazione dell’uso esteso delle punte, che si era imposto con le danzatrici italiane in Russia, e il vigore acrobatico della danza maschile insegnata da Enrico Cecchetti già da alcuni anni nella Scuola dei Teatri Imperiali (come si legge nella preziosa sintesi di Patrizia Veroli disponibile sul programma di sala). La produzione messa in scena dalla Direttrice Clotilde Vayer è quella appartenente al suo bagaglio culturale, ovvero la Raymonda dell’Opéra di Parigi ereditata dal grande allestimento di Rudolf Nureyev (versione definitiva del 1983-84), che volle schierare in scena tutte le Étoiles non solo nei ruoli dei protagonisti ma anche per quelli solistici. Fatto sta che il trapianto in blocco di uno stile da un retroterra a un altro di solito non funziona per assimilazione diretta, in quanto i corpi dei danzatori sono molto diversi e la riproducibilità di uno stile diventa problematica in un trapianto da donatore ‘non compatibile’. Nell’analisi di quello che dovrebbe essere un prodotto di eccellenza, in una ipotetica piramide gerarchica della danza, non secondari appaiono i problemi legati alla prospettiva ridotta che un teatro come il Politeama offre rispetto al San Carlo. Difatti il grande repertorio non si presta per nulla a essere danzato così vicino al pubblico (ma ne sono felici coloro che non guardano lo spettacolo nella sua totalità, come succede al pubblico più inesperto che ama ammirare le anatomie dei danzatori). Ne risultano evidenziati i difetti dei singoli danzatori e le differenze che ancora si rilevano nel Corpo di ballo: è chiaro il lavoro di grande cura operato sugli insiemi c’è e si vede, come è innegabile che ci troviamo in un momento in cui la qualità generale del complesso sancarliano è ai suoi massimi storici, se consideriamo gli ultimi decenni, ma questo non basta (ancora). Non solo corpi dissimili ma – come abbiamo spesso sottolineato più volte in passato con motivazioni precise che dovrebbero costituire una critica costruttiva, dato che ogni commento è corredato da una motivazione oggettiva – dissimili atteggiamenti estetici non conferiscono unitarietà a un ensemble che dovrebbe apparire una sola persona in scena. Teste diverse, altezze degli arti diverse, sguardi in direzioni diverse, sorrisi diversi come se ognuno/a fosse solo/a in scena non sono dettagli, ma fanno la differenza principale nella qualità di una compagine che è e deve essere un punto di riferimento per chi va a teatro e si aspetta di applaudire i massimi livelli della danza accademica. Anche tra le novelle Étoiles si sono registrate incertezze banali (ci si augura a causa della difficoltà di movimento in spazi poco comodi per la gestione del repertorio e non per un ‘rilassamento’ post-nomina), fatta eccezione per Anna Chiara Amirante, che mantiene sempre grande affidabilità sulla scena. Incerte e poco pulite le soliste, asincroni fra di loro e sciatti gli uomini del corpo di ballo, epigoni di una scuola maschile che fino a pochi anni fa sembrava essere ancora testimone di un passato glorioso.
Meravigliosi i costumi ricreati da Giusi Giustino, ancora una volta all’altezza delle aspettative e sempre attenta a far sposare fasto ed eleganza senza stonature. La seconda parte della serata (chissà perché denominata “atto” nella scheda allegata al programma di sala, in vero molto sciatto nell’uso corretto della lingua anche nella sezione interviste) è invece dedicata ai Giovani coreografi: quattro nomi legati dal filo rosso dell’Opéra di Parigi (il che ancora una volta appare palesemente ‘colonialistico’ e ridondante): Simone Valastro con Appointed Rounds, piacevole e fluida costruzione in cui gli interpreti sono apparsi convincenti (nella serata da noi seguita) e a proprio agio, José Carlo Martinez con Delibes Suite, costruzione di virtuosismi che di ironico non trasmettono proprio nulla ma che rientrano a buon diritto in quel filone ‘strappa-applausi’ che tanto piace ai ballettomani e che saggia le capacità tecniche degli interpreti in scena; Mauro De Candia con Aria Suspended, Passo a Due di quella tipologia stilistica che risente moltissimo dell’interprete (soprattutto femminile) che di volta in volta lo esegue, penalizzato da un uso delle luci poco curato (in vero questo problema delle luci mal gestite non appare solo qui, ma anche in altre coreografie con, ad esempio, con l’uso dei tagli posto sul proscenio); Jacques Garnier, coreografo purtroppo scomparso prematuramente, che con Aunis, in cui la musica dal vivo ha ricordato al pubblico quanto questa sia una necessità assoluta per fare la differenza ‘immersiva’ in uno spettacolo di danza, ha chiuso la serata.
Poco curati i ringraziamenti finali, iniziati immediatamente dopo l’ultimo brano senza una pausa o una chiusura di sipario o ancora un insieme ‘danzato’ che ne determinasse l’inquadramento necessario nell’economia dello spettacolo (elementi ‘tecnici’ davvero basilari), ma addirittura con le quattro Étoiles posizionate sul lato e non al centro della scena! Nel complesso, un accostamento tematico di sicuro godibile e riuscito nel richiamo di pubblico, ma ancora lontano dalla ‘perfezione’ che ci si aspetterebbe. Lodevole la voglia di portare i solisti di casa all’autocrazia, come già accade nei grandi Teatri, indipendentemente dagli ospiti blasonati, ma è anche con il confronto che si cresce sulla scena, per cui ci si augura ancora una volta di poter applaudire, insieme alle nostre Étoiles, altrettante stelle guest con cui incrociare i propri ruoli nel teatro più bello del mondo. (foto Luciano Romano)