Monza, Teatro Binario 7: “Supplici” di Euripide

Monza, Teatro Binario 7, Stagione 2022/23
SUPPLICI” di Euripide
Traduzione di Maddalena Giovannelli e Nicola Fogazzi drammaturgia a cura di Gabriele Scotti
con: FRANCESCA CIOCCHETTI, MATILDE FACHERIS, MARIA PILAR PEREZ ASPA, ARIANNA SCOMMEGNA, GIORGIA SENESI, SANDRA ZOCCOLAN, DEBORA ZUIN
Regia Serena Sinigaglia
Scene Maria Spiazzi
Costumi e attrezzeria Katarina Vukcevic
Luci Alessandro Verazzi
Musiche e sound design Lorenzo Crippa
 Produzione ATIR, Nidodiragno/CMC, Fondazione Teatro Due, Parma con il sostegno di NEXT ed. 2021/2022 in collaborazione con il Cinema Teatro Agorà, Cernusco sul Naviglio.
Monza, 14 gennaio 2023 – Prossime date
Sebbene il teatro antico abbia sempre un certo appeal sul pubblico, specie italiano, sono sempre i soliti titoli che si ripropongono del certo non sterminato repertorio greco-latino. Sorprende dunque la scelta che l’ATIR di Serena Sinigaglia ha preso, cioè quello di rivivificare una tragedia euripidea tra le meno conosciute, forse anche tra le meno riuscite: quelle “Supplici” che vogliono porre la parola fine al ciclo tebano, e, come Edipo è morto ad Atene, così anche quest’ultima parola deve spettare, paradossalmente, agli ateniesi. Il portato politico del testo – le supplici sono argive che chiedono aiuto ad Atene, e proprio Argo era una città peloponnesiaca che aveva preferito l’alleanza con Atene piuttosto che quella con la più vicina Sparta – rende la prima metà della tragedia in questione una ridondante riflessione su cosa sia la giustizia e quale sia lo stato perfetto (ridondante perché, ovviamente, in una tragedia attica le risposte a queste domande saranno: la giustizia ateniese e Atene); nella seconda metà, anche per non sfinire il pubblico, Euripide inserisce la questione del sacrificio di Evadne (moglie del condottiero Capaneo, fulminato da Zeus per aver bestemmiato e non ucciso dai tebani) che pretende e ottiene di immolarsi sulla pira del marito, aprendo a questioni più sentimentali, ma anche delineando un personaggio abbastanza stereotipato. Date queste premesse, l’idea di riportare in scena queste “Supplici” avrebbe potuto suscitare qualche perplessità, che è stata cancellata dalla splendida resa che Serena Sinigaglia ha saputo darne – grazie alla drammaturgia di Gabriele Scotti, che ha reso il testo agile e meglio fruibile da parte del pubblico; la regia si muove sui binari di un classicismo moderato, contaminato da un immaginario selvatico (che si incarna nel grande cippo ligneo che domina la scena), forse non originalissimo, ma di buon effetto. Come nella tragedia più arcaica, non c’è differenza tra coro e interpreti: le coreute una alla volta si trasformano nei singoli personaggi delle scene (usando pochi oggetti di attrezzeria), e davvero non sappiamo dire chi sia migliore di chi, giacché è evidente la profonda omogeneità dei talenti (tra cui due Premi Ubu, Ciocchetti e Scommegna, e un Premio Virginia Reiter, Zuin); il lavoro corale ha raggiunto un livello tale da creare davvero il famoso “personaggio unico” di cui gli storici del teatro greco parlano sempre, e questo è il merito principale da riconoscere a Serena Sinigaglia – oltre a quello di non essere incorsa in contaminazione postdrammatiche, come ormai spesso vediamo sulle scene milanesi. Parte integrante della riuscita del progetto sta, tuttavia, anche nel team creativo: la scena essenziale, ma funzionalissima, di Maria Spazzi, ma soprattutto le luci ardite di Alessandro Verrazzi, che gioca su tagli acuti, punti di luce fronte pubblico e contrasti netti per conferire profondità allo spazio e volumetrie ai corpi. Occorre menzionare anche le musiche originali di Lorenzo Crippa, che, se da una parte suonano tutte un po’ già sentite, tra cinema e serie tv, proprio per questo sanno attrarre lo spettatore, e lo guidano quasi per tutto lo spettacolo: questo rende i momenti di silenzio e di battute dette sul silenzio icastici e preziosi. Infine, torniamo da dove abbiamo iniziato: il merito maggiore di questa suggestiva produzione è il testo, la sua traduzione (a cura dei classicisti Maddalena Giovannelli e Nicola Fogazzi) rispettosa dei contenuti e persino di certe sonorità euripidee, ma reso in forma altamente comunicativa, capace, così, davvero di parlarci oggi ancora di responsabilità politica e civile durante una guerra, di prospettiva dei vinti e dei vincitori, ma anche di amore di madre e di moglie, di perdita ed elaborazione. Insomma parla ancora di noi, a noi, come dovrebbe, forse, fare ogni spettacolo teatrale.