Milano, Teatro alla Scala: “I vespri siciliani”

Milano, Teatro alla Scala, stagione d’opera e balletto 2022/23
“I VESPRI SICILIANI”
Dramma in cinque atti su libretto di Eugène Scribe e Charles Duveyrier versione italiana di Eugenio Caimi
Musica di Giuseppe Verdi
Guido di Monforte ROMAN BURDENKO
Il sire di Bethume ANDREA PELLEGRINI
Il conte di Vaudemont ADRIANO GRAMIGNI
Arrigo MATTEO LIPPI
Giovanni da Procida SIMON LIM
La duchessa Elena MARINA REBEKA
Ninetta VALENTINA PLUZHNIKOVA
Danieli GIORGIO MISSERI
Roberto CHRISTIAN FEDERICI
Tebaldo BRAYAN AVILA MARTINEZ
Manfredo ANDREA TANZILLO
Orchestra e coro del Teatro alla Scala di Milano
Direttore Fabio Luisi
Regia, scene e costumi Hugo de Ana
Luci Vinicio Cheli
Coreografia Leda Lojodice
Milano, 17 febbraio 2023
I vespri siciliani” mancavano dal palcoscenico scaligero da oltre trent’anni esattamente dall’inaugurazione del 1989 allora sotto la guida di Riccardo Muti. Una ripresa quindi importante che avrebbe meritato esiti migliori mentre lo spettacolo proposto ha presentato una profonda discrasia tra la buona riuscita della parte musicale e un allestimento sostanzialmente deludente da tutti i punti di vista.
La scelta di Hugo de Ana sembrava ideale per l’occasione. Il regista argentino si è sempre distinto per il gusto sontuoso e spettacolare delle sue produzioni e nell’ambito del grand-opéra aveva già fornito ottime prove – si pensi allo splendido “Don Carlo” visto anche a Genova e Torino – purtroppo le ciambelle non escono sempre con il buco e quella proposta ci è parsa una delle sue produzioni meno riuscite.
De Ana sceglie di attualizzare la vicenda spostandola all’epoca dello sbarco alleato in Sicilia del luglio 1943 ma a prescindere dai corto circuiti narrativi che questa situazione viene a creare – Monforte è un alto ufficiale delle SS ma un tedesco in Sicilia negli anni 20 poteva essere al massimo un turista venendo così a mancare del tutto la dinamica del rapporto tra questi e la madre di Arrigo– è lo svolgimento a lasciare molto perplessi. De Ana riesce a cogliere il carattere spettacolare dell’opera ma si lascia trasportare troppo da certe trovare. Le ricostruzioni di cannoni e carri armati hanno un loro impatto ma il regista sembra troppo preso dal giocarci e trascura troppi altri aspetti. I soldati invasori dovrebbero essere tedeschi ma le divise sono troppo simili a quelli degli alleati e per altro passano gran parte del tempo a spostare casse di armi in modo totalmente fine a se stesso. Qualche buona intuizione c’è – il feretro cui si rivolge Procida a evocare i caduti per la libertà – ma resta un senso generale di trascuratezza, un non approfondimento delle tematiche e dei rapporti tra personaggi, infine una sostanziale mancanza di autentica regia che non è compensata da qualche esibizione di violenza sparsa qua e la per animare la scena o dalle solite simbologie chiesastiche del regista. Il clima plumbeo e omogeneo, una sostanziale monocromia – tutto si gioco su alternanze di bianco, nero e grigio – i costumi poco variati anche per i protagonisti stendevano un pesante velo su tutta la rappresentazione. Il tutto sotto lo sguardo del Cavaliere e della Morte de “Il Settimo sigillo” di Bergman i quali dopo aver giocato la loro partita a scacchi durante la sinfonia fanno incomprensibilmente da testimoni più o meno passivi alla vicenda.
Il versante musicale è come abbiamo detto assai più riuscito ma non si può tacere sulla scelta della versione. Oggi in piena temperie filologica ci si auspicherebbe da un teatro come la Scala la proposta di una versione critica, nell’originale francese e completa in tutte le sue parti. Invece non solo si esegue ancora la versione italiana di Caimi ma si tagliano il balletto delle stagioni e il coro d’aperura del quinto atto che viene a durare meno dell’intervallo che lo precede. Innegabile la delusione.
La direzione di Fabio Luisi – fatte salve le non trascurabili notazioni filologiche – è assai convincente. Una lettura estremamente ricca e animata fatta di agogiche molto marcate e di contrasti ben definiti che fin dalla contrapposizione dei blocchi tematici della sinfonia appaiono con chiarezza. Luisi esalta la ricchezza dell’orchestrazione verdiana che con quest’opera acquista una nuova intensità dovuta alla qualità dell’orchestra parigina realizzando colori molto belli, di un velluto soffice e denso che si accende però quando emergono caratteri eroici e marziali. Ottime come sempre le prestazioni dell’orchestra e del coro mentre al corpo di ballo resta solo la tarantella – non ispiratissima come coreografia – essendo tagliato integralmente il balletto del IV atto. Positiva la prestazione della compagnia di canto. Matteo Lippi subentrato in sostituzione dell’indisposto Piero Pretti porta a termine la recita in modo più che onorevole, considerando la difficoltà della parte. La voce a tratti risulta un po’ leggera, priva di un più autentico squillo eroico ma la linea di canto è elegante e molto musicale, la voce è bella per timbro e colore, un ottimo uso di un’emissione mista gli permette di affrontare gli acuti con sicurezza e giusta impostazione stilistica. Roman Burdenko è un notevolissimo Monforte. Ascoltato come Tonskij in “Pikovaja dama” affrontava ora per la prima volta un ruolo verdiano sul palcoscenico milanese e la scommessa si può dire pienamente vinta. Voce ampia, possente, ricchissima di armonici, bella e compatta su tutta la gamma ha tutte le qualità richieste dal ruolo, l’interprete è sensibile e coglie sia la durezza del tiranno sia la commozione del padre e mostra notevole autorità anche sul piano scenico. Certamente si nota un’emissione non sempre perfettamente centrata sullo stile italiano e una dizione buona ma perfettibile ma nel complesso la prova è parsa convincente.
Marina Rebeka affronta l’insidioso ruolo di Elena dalla tessitura assai scomoda. Un po’ di prudenza si nota nell’aria di entrata ma poi l’interpretazione prende corpo fino a un’esecuzione esemplare di “Arrigo! A parli a un core” non a caso accolta trionfalmente dal pubblico. Il bolero che alla prima aveva dato qualche problema è qui affrontato con naturalezza e senza difficoltà. La bellezza del timbro e la qualità dell’interprete sono quelle che ben si conoscono.Simon Lim presta a Procida la sua voce di basso calda e profonda. La nobile linea di canto emerge nell’intensa commozione dell’aria di entrata ma Lim rende molto bene anche il carattere granitico fino al fanatismo del personaggio in questo ben in linea con la regia che fa di Procida una sorta di commissario politico disposto a tutto per raggiungere il proprio ideale.
Valentina Pluzhnikova fa notare la bella voce di contralto anche nel breve ruolo di Ninetta così come efficace è il Danieli di Giorgio Misseri. Molto solida la coppia degli ufficiali francesi affidati ad Andrea Pellegrini (Bethume) e Adriano Gramigni (Vaudemont). Completano il cast Christian Federici (Roberto) e Brayan Avila Martinez (Tebaldo). Foto Brescia & Amisano