Opera in tre atti dal dramma sacro “Elija” di Martin Buber. Tomasz Konieczny (Elia), Michael Schade (Ahab), Rachel Frenkel (Iesebel), Ron Silberstein (Elisha), Mi-Young Kim (Tanit), Yuval Oren (Il figlio di Elia), Marek Gasztecki (Nabot, il maestro di cerimonie, un contadino), Joo-Hoon Shin (Una guardia, il custode della porta, un giovane, un contadino), Makar Pihura (il sacerdote di Baal, Zidkya, il custode della porta, un contadino). Chor des Teatr Wielki, Poznán, Mariusz Otto (maestro del coro), Orchester der Beethoven Akademie Krakau, Martin Fischer-Dieskau (direttore). Registrazione: TV studio, Cracovia, 16-22 agosto 2021. 3 CD ORFEO C220313
Antal Doráti è un nome famigliare a chiunque ami la musica. Ungherese, nato a Budapest nel 1906 da una famiglia ebraica cresciuto nel fervido clima musicale della seconda capitale imperiale, ancora vivo negli anni Venti nonostante la sconfitta nella I guerra mondiale e la riduzione dell’Ungheria a piccola nazione priva di velleità. All’Accademia Franz Liszt della capitale ungherese si forma con maestri d’eccezione – studia composizione con Zoltán Kodály e pianoforte con Béla Bartók – debuttando come direttore d’orchestra appena diciottenne nel 1924.
Costretto a lasciare l’Ungheria a seguito dell’affermazione del nazismo ripara in Francia e poi negli Stati Uniti di cui ottiene la cittadinanza nel 1956 cominciando una lunga e luminosa carriera sulle due sponde dell’Atlantico. Attivo in un repertorio vastissimo sia sinfonico sia operistico spazia da Haydn – la cui integrale delle opere liriche incisa per Philips negli anni 70 è una delle iniziative culturali più importanti della discografia del dopoguerra – a Wagner (memorabile il suo “Der fliegende Holländer” inciso per la Decca nel 1962) fino alla musica contemporanea.
L’attività di direttore d’orchestra è sempre stata affiancata da quella di compositore, di certo meno nota ma non insignificante. Autore principalmente di musiche da camera e corali nel 1984 Doráti si è cimentato con un lavoro di ben più vaste proporzioni, un’opera lirica di soggetto biblico “Der Künder” (“Il predistinato”) tratta da un’opera del filoso tedesco di religione ebraica Martin Buber. Un progetto musicalmente realizzato ma rimasto nel cassetto in quanto mai rappresentato ma che ora possiamo conoscere grazie a questa prima registrazione discografica.
L’opera è incentrata sul profeta Elia, figura scarsamente considerata in ambito cristiano ma molto importante nella riflessione teologica ebraica e già soggetto di un oratorio di Felix Mendelssohn Bartholdy (1846) nonché della parodia teologica che Strauss inserisce nella sua “Salome”.
Il testo sicuramente presenta una grande profondità di lettura ma richiede per essere pienamente apprezzato una perfetta conoscenza della lingua tedesca e dei dibattiti filosofico-teologici in corso in quegli anni nel mondo ebraico che ovviamente sfuggono alla gran parte dei possibili ascoltatori. La musica è di un’atonalità non esasperata con begli squarci lirici e ampio uso del coro. La vocalità vede una prevalenza di ampi e solenni declamati che nella parte negativa della regina idolatra Iesebel assumono carattere di autentico sprechgesang espressionista. La perfetta conoscenza dell’orchestra e di tutte le sue possibilità si apprezza nei frequenti squarci sinfonici che rappresentano tra i momenti più ispirati della partitura.
La scrittura vocale – a differenza di quella orchestrale – appare più rigida con un declamato solenne e autorevole che rende la sacralità del tema ma che a lungo andare risulta un po’ teatralmente limitato a scapito di un vero senso del teatro. Questo porta ad avvicinare la partitura a un oratorio più che a un lavoro teatrale vero e proprio.
La registrazione, finanziata dal ministero dell’Interno tedesco all’interno del progetto Jüdische leben in Deutschland 2021 – può far valere una notevole qualità tecnica a sostegno di un livello esecutivo valido.
Le redini musicali dell’operazione sono affidate a Martin Fischer-Dieskau (figlio dell’indimenticabile Dietrich e allievo dello stesso Doráti) che per l’occasione dirige i validissimi complessi polacchi della Orchester der Beethoven Akademie Krakau rinforzati dal coro del Teatr Wielki di Poznán. Il direttore sembra dare il giusto passo a questa musica valorizzando il richiamo alle forme tradizionali che sopravvivono nella scrittura atonale di Doráti e dando la dovuta autorevolezza alla composizione. La mancanza di possibili confronti rende più complesso il giudizio ma la prova ci è sembrata nel complesso valida.
Tomasz Koniezny nei panni del profeta Elia fa soffrire meno del solido. La scrittura sostanzialmente centrale della parte gli evita quelle difficoltà nel settore acuto che spesso guastano pesantemente le sue prove wagneriane e straussiane. La scrittura declamatoria nasconde quella rozzezza che spesso traspare nel suo canto e sul versante interpretativo appare particolarmente convinto con momenti di notevole efficacia drammatica. La voce è innegabilmente robusta e la dizione nitida e ben scandita.
Michael Schade (Ahab) ha la bellissima voce che conosciamo. Il personaggio è caratterizzato da un lirismo che ne definisce la personalità fragile e incerta di fronte alla granitica saldezza di Elia e il carattere è perfettamente reso che Schade che domina anche son sicurezza una tessitura scomoda che spesso si spinge in zona acuta. Molto bravo anche il secondo tenore Ron Silberstein nella breve ma non insignificante parte di Elisha.
Rachel Frenkel nella parte della regina Iesebel sfoggia una voce di soprano quasi aspra e volutamente tagliente. La parte è connotata in tal senso dalla scrittura musicale e quindi la prova risulta centrata nel caratterizzare un personaggio connotato da tratti profondamente negativi per la sua apertura ai culti cananei. La parte più serena di Tanit, moglie di Elia, è affrontata con limpido afflato lirico dal soprano coreano Mi-Young Kim. Ottime le parti di fianco, ciascuna impegnata in più ruoli e di altissima qualità la prestazione delle masse corali.