Roma,Teatro Quirino Vittorio Gassman stagione 2022/23
“LA DOLCE ALA DELLA GIOVINEZZA”
Di Tennessee Williams traduzione Masolino D’Amico
Alexandra del Lago ELENA SOFIA RICCI
Chance Wayne GABRIELE ANAGNI
e con Chiara Degani, Flavio Francucci, Giorgio Sales, Alberto Penna, Valentina Martone, Eros Pascale, Marco Fanizzi
Regia, Scene e costumi Pier Luigi Pizzi
Musiche Stefano Mainetti
Light designer Pietro Sperduti
Produzione Fondazione Teatro della Toscana, Best Live
Roma,31 gennaio 2023
I personaggi fanno tutti parte di me stesso, nel bene e nel male. Soprattutto nel male, perché trovo che in uno scrittore – come in tutti, del resto – ci sono molti lati negativi che si vorrebbero nascondere. La differenza fra gli altri e lo scrittore è che lui, invece di nasconderli, deve farli venir fuori, i lati negativi, e farli crescere. (T.WILLIAMS, intervista al IL MANIFESTO ,17 Ottobre 1982)
Tennessee Williams è, con Arthur Miller, una delle due figure più eminenti del teatro americano contemporaneo. Danno il cambio entrambi a Eugene O’Neil e fanno da ponte tra la generazione degli anni ’30 (Clifford Odets, Maxwell Anderson, Elmer Rice, Thornton Wilder) e quella del dopoguerra. Tutti e due hanno un repertorio che continua a essere rappresentato sulle scene americane e non solo ed in passato hanno ricevuto una consacrazione internazionale grazie alla riduzione cinematografica delle loro opere, beneficiando del talento di un regista come Elia Kazan. Ma si associano i loro nomi soprattutto per meglio opporli. Di fronte a Miller il marxista, accusatore e vittima del maccartismo, l’uomo del presente e dell’azione militante, Tennessee Williams è presentato come l’intellettuale freudiano, l’uomo della nostalgia e del sogno, che si rivolge all’immaginario collettivo tramite le immagini e i miti. Anche in “La dolce ala della giovinezza” tradotto per l’Italia da Masolino D’Amico e proposto al Teatro Quirino Vittorio Gassman ci tuffiamo all’interno di una dimensione dicotomica ,piena di contrasti come la personalità dell’autore stesso. Com’è possibile, ci si domanda, che Tennessee Williams continui ad esercitare, ancora oggi, un così un forte fascino, visto che ha praticato una forma di teatro che si può ritenere superato, o convenzionale, rispetto alle sperimentazioni newyorkesi degli anni ’60? Non si potrebbe sospettare in fondo che quest’uomo di teatro ha dovuto in parte la sua fortuna a tutti quei meravigliosi interpreti del cinema che hanno saputo dare una presenza, uno spessore, una forza poetica ad un universo che avrebbe potuto, altrimenti, sembrare artificiale o ingenuo, o troppo pesantemente caricato di simboli? Il suo successo imperituro probabilmente lo si deve ai suoi protagonisti un po’ vittime ed un po’ eroi, vittime di incomprensioni e soprusi ed eroici perché sanno riscattare l’anonimato di una grigia esistenza attraverso la leggerezza e l’incanto della poesia.
Chance, per giungere al successo, vive con una diva ormai dimenticata, Alexandra. Con lei torna al suo paese dove vive la sua vecchia fiamma, Heavenly, che egli ama ancora. Il padre di lei non vuole che il legame si rinnovi e insiste perché Chance se ne vada. Quando Alexandra ritorna ai vertici, lasciandolo, il fratello di Heavenly lo sfregia e gli proibisce di vedere la sorella. Rimasto completamente in solitudine, Chance capisce che la sua corsa al successo non è servita a nulla.
Le scene ed i costumi nonché la regia sono di Pier Luigi Pizzi uomo dai talenti poliedrici e conosciuto anche per straordinari allestimenti operistici. Noto per la sua eleganza e semplicità di forma , il Maestro Pizzi ci presenta un’ambiente pulitissimo e senza strutture complesse ed articolate:le luci Di Pietro Sperduti non solo marcano i volumi dello spazio scenico ma valorizzano i costumi che leggerissimi avvolgono i protagonisti senza caratterizzarli con eccesso dando maggiore spazio alla recitazione. Il nudo poi non è mai volgare o d’effetto ma delicato e sempre funzionale alla sceneggiatura. Le musiche di Stefano Mainetti fanno da cornice a quest’allestimento ed in alcuni momenti sanno persino riempire la scena per volumi e bellezza di composizione. Il tema dominante su cui lo spettacolo è sempre perennemente incentrato è la caducità della bellezza e lo sfiorire della gioventù ed è talmente invadente in questa lettura che la regia si spinge persino a modificare il finale della scrittura originale attraverso un lentissimo monologo di Chance che steso ai piedi del letto si lascia morire in un bagno di insuccessi e frustrazione. Su questa scelta i dubbi sono tanti sebbene c’è da dire che esteticamente funziona ed ha un senso. L’ossessione principale di Tennessee Williams, se ne ce n’è una, è infatti la fuga del tempo. «Il nemico, il tempo, in ciascuno di noi», tema e frase finale dello spettacolo, si ritrova, sotto una forma o sotto un’altra, in ciascuna delle sue pièce. Volere fermare il tempo è una delle motivazioni dell’artista: il teatro, diversamente dalla vita, il tempo lo condensa. Ma questo dramma non è solo questo è molto altro e forse alcuni elementi sono stati omessi come per esempio il rimarcare attraverso una migliore caratterizzazione dei personaggi secondari quell’aspetto grottesco che fa parte in maniera integrante della sua estetica romantica. Si sente mancare anche quel lato di perenne attesa, quella visione lunare della sua scrittura e molto altro. Elena Sofia Ricci (Alexandra) riesce a darci un’interpretazione molto ampia ed intensa del suo personaggio ed in alcuni momenti regala al pubblico una così tale aderenza che la differenza tra interprete ed attrice sembra essere molto sfumata. I migliori momenti certo sono a metà spettacolo e sul finale. La sceneggiatura non aiuta probabilmente l’attrice nella prima parte dello spettacolo dove sembra alquanto affaticata nella recitazione e poco presente per dei ritmi che sono veramente troppo lenti. Gabriele Anagni (Chance Wayne) rimane nel complesso un attore che da prova di essere credibile seppure la sua performance non è molto costante:alterna momenti di grande intensità ad altri meno credibili facendo forse troppo affidamento sulla presenza scenica e quell’atteggiamento scanzonato che non ha la capacità di coprire da solo le diverse sfumature dell’ articolato e complesso personaggio che interpreta. Tranne Valentina Martone (Heavenly Finley )che da prova di drammaticità nel racconto dello stupro di massa che la porterà alla sterilità (anche qui una modifica nel testo originale dove è lo stesso Chance invece il portatore di una malattia venerea che renderà la ragazza sterile) il resto dei comprimari non è più che funzionale al racconto. Un pubblico non numeroso e non sempre attento (forse appesantito da una certa mancanza di ritmo dello spettacolo) ha saputo regalare a Elena Sofia Ricci gli applausi più convinti ma è anche stato altrettanto rapido nel lasciare la platea del teatro al calare del sipario.