Verona, Teatro Filarmonico, Stagione Lirica 2023
“LE NOZZE DI FIGARO”
Commedia per musica in quattro atti KV 492 su libretto di Lorenzo Da Ponte dalla commedia “Le mariage de Figaro” di Pierre-Augustin Caron de Beaumerchais
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Figaro GIULIO MASTROTOTARO
Susanna SARA BLANCH
Il Conte d’Almaviva ALESSANDRO LUONGO
La Contessa d’Almaviva GILDA FIUME
Cherubino CHIARA TIROTTA
Marcellina ROSA BOVE
Don Bartolo SALVATORE SALVAGGIO
Don Basilio DIDIER PIERI
Don Curzio MATTEO MACCHIONI
Barbarina ELISABETTA ZIZZO
Antonio NICOLÒ CERIANI
Due contadine EMANUELA SCHENALE, TIZIANA REALDINI
Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona
Direttore Francesco Ommassini
Maestro del Coro Ulisse Trabacchin
Regia, scene e costumi Ivan Stefanutti
Luci Claudio Schmid
Allestimento della Fondazione Teatro Nuovo Giovanni da Udine
Verona, 22 gennaio 2023
Nei giorni che ruotano attorno al compleanno di Mozart, la Fondazione Arena di Verona affida al genio salisburghese l’inaugurazione della Stagione Lirica 2023. E lo fa con la sua opera più provocante, quel soggetto inviso all’aristocrazia e persino censurato dall’imperatore Giuseppe II poiché potenzialmente istigatore di odio tra le classi sociali; in realtà il capolavoro, tratto dalla commedia di Beaumarchais, altro non è che il trionfo dell’amore in un crescendo di colpi di scena, inganni, equivoci ed agnizioni. Mozart aspirava ad un teatro in grado di ribaltare gli stereotipi dell’opera buffa allora in voga per venire ad una maggiore definizione psicologica dei personaggi e per questo rimase colpito dalla modernità delle forme e dei contenuti che offriva il soggetto di Figaro; un soggetto che si staccava dal melodramma tradizionale per sposare la commedia d’intrigo e quella di carattere e che permise al compositore di unificare il genere dell’opera seria con quella comica creando un nuovo genere di spettacolo. Colpi di scena, ma soprattutto echi di profonda umanità che il regista Ivan Stefanutti (il quale firmava anche le scene ed i costumi, coadiuvato da Filippo Tadolini e Stefano Nicolao) ha saputo restituire con rara efficacia ricostruendo l’ambiente del ‘700 sivigliano con ampi saloni, lampadari sontuosi, enormi porte che governano e determinano l’azione: sbarrate per trasformare le stanze in prigioni, vie di fuga per sottrarsi ad una situazione imbarazzante oppure nascondiglio che non offre comunque la garanzia dell’invisibilità. L’ultimo atto poi, che conclude una giornata davvero movimentata, trova nel giardino dominato da una grande luna la giusta atmosfera frizzante degli equivoci e degli scambi di persona. Anche i costumi, propri dell’epoca, sorreggono finalmente un’idea registica di vera coerenza teatrale che sa esporre al pubblico la vicenda in modo chiaro e senza inutili orpelli; le luci di Claudio Schmid risultano sostanzialmente generiche, soprattutto nella mancata suggestione notturna del quarto atto appesantito peraltro dalla riapertura dei tagli. Il capolavoro mozartiano era presentato in versione integrale, nell’edizione Bärenreiter considerata ormai la più fedele all’originale: tre ore di musica e di azione che hanno trovato in un cast vocale giovane la chiave interpretativa di questo monumento elevato all’opera. Un cast che ha nelle voci femminili i suoi esiti migliori, a cominciare dalla contessa d’Almaviva di Gilda Fiume che ha sfoderato una voce pastosa e una bella linea di canto anche se non sempre sorretta da un’adeguata personalità aristocratica; la sua interpretazione è stata comunque di esemplare bellezza, anche nei duetti. Alla pari è stata la prestazione di Sara Blanch quale Susanna, presentatasi egualmente in scena nonostante una lieve indisposizione ma il cui personaggio che costituisce uno dei perni sui quali ruota l’intera azione è risultato efficace tanto nelle scene d’insieme (ottima l’interazione scenica con i colleghi) che nelle due arie Venite inginocchiatevi e Deh vieni, non tardar. Nel ruolo “en travesti” del paggio Cherubino vi era la bravissima Chiara Tirotta, praticamente di casa al Filarmonico, che ha saputo infondere al personaggio tutta la caratterizzazione adolescenziale sospesa tra impulso, ragione ed emozione rivelando una vocalità sicura e pertinente: il suo Voi che sapete che cosa è amor è un inno elevato all’amore innocente quale fonte stessa della vita. Nei ruoli di Marcellina e Barbarina vi erano rispettivamente Rosa Bove ed Elisabetta Zizzo, entrambe vocalmente e scenicamente a fuoco, la prima soprattutto nei numeri d’insieme e nel mirabile sestetto Riconosci in questo amplesso, ambedue con esito felice nelle arie del quarto atto. Per quanto concerne i ruoli maschili Alessandro Luongo dipinge vocalmente un conte d’Almaviva subdolo nei suoi torbidi desideri ma in fondo anche uomo innamorato della sua sposa alla quale ritorna: con eleganza di canto, mai esagerata, restituisce al suo personaggio l’autorità di classe, tenero nel duetto con Susanna (Crudel! Perché finora) quanto geloso e frustrato nella scena successiva (Hai già vinta la causa? Vedrò mentr’io sospiro). Il presunto orfano Figaro vedeva al suo debutto veronese il basso trentino Giulio Mastrototaro, di bella pasta vocale e ben inquadrato nel ruolo di servo che si fa gioco della classe aristocratica, fiero antagonista di Almaviva al quale lancia i suoi strali (Se vuol ballare, signor Contino) quanto feroce derisore del partente Cherubino nella celebre Non più andrai, farfallone amoroso. Salvatore Salvaggio, da parte sua è un Don Bartolo a suo agio nella parte, con una buona declamazione anche nei passaggi veloci ma il suo timbro rischia di sparire nel registro grave, non perfettamente a fuoco; dimostra tuttavia una certa padronanza scenica tanto nell’aria di sortita La vendetta, oh la vendetta! quanto nelle scene collettive come nel già citato sestetto del terzo atto. A completare il cast Don Curzio e Don Basilio con le voci rispettivamente di Matteo Macchioni e Didier Pieri, correttamente inseriti nella trama musicale mozartiana pur senza un peso specifico in termini musicali; il solo Basilio è peraltro gratificato dall’aria In quegl’anni in cui val poco del quarto atto. Nicolò Ceriani è un Antonio burbero e brontolone che affronta il palcoscenico con sicurezza come pure egualmente corrette sono le due contadine di Emanuela Schenale e Tiziana Realdini, entrambe artiste del coro della fondazione veronese. La lettura della caleidoscopica partitura mozartiana era nelle mani di Francesco Ommassini, ormai conosciuto nella sala del Bibiena: confermiamo quanto già detto, un onesto kapellmeister che sembra aver trovato una profonda intesa con l’orchestra della Fondazione Arena la quale risponde bene al suo gesto pur senza connotazioni musicali memorabili e senza una vera coerenza musicale. L’orchestra veronese si è comunque distinta per la pulizia del suono, specie negli archi, anche se priva di una certa leggerezza e del giusto mordente che caratterizza la scrittura mozartiana. Il coro, pur non avendo un impegno particolarmente significativo, ha dato una buona prova ma ancora una volta è risultato penalizzato dal posizionamento in fondo alla scena che ne riduce la sonorità (in questo non sempre agevolato dall’orchestra). Teatro quasi esaurito, con numerosi melomani provenienti da altre province, segno che questa produzione era molto attesa; tra il pubblico la presenza di molti giovani in sala è un confortante segno di speranza che gli spettacoli lirici non siano più solo esclusiva di un pubblico anziano. Repliche il 25, 27 e 29 gennaio. Foto Ennevi per Fondazione Arena