Venezia, Teatro Malibran, Stagione Sinfonica 2022-2023
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore George Petrou
Nikolaos Mantzaros: “Ulisse agli Elisi”, ouverture; Wolfgang Amadeus Mozart: Sinfonia n. 36 in do maggiore kv 425 “Linz”
Ludwig van Beethoven: Sinfonia n. 7 in la maggiore op. 92
Venezia, 13 gennaio 2023
Nuovo appuntamento nell’ambito della Stagione Sinfonica 2022-2023 della Fondazione Teatro La Fenice presso il Teatro Malibran: per la prima volta è salito sul podio dell’Orchestra fenicea il greco George Petrou – direttore musicale dell’Orchestra Nazionale Sinfonica della Radio Greca e direttore artistico dell’Internationale Händel-Festspiele Göttingen – per dirigere un programma che, accanto a titoli del grande repertorio, proponeva, in apertura, un’intrigante rarità: l’Ouverture della Cantata Ulisse agli Elisi, composta da un conterraneo del direttore: Nikolaos Mantzaros, nato il 26 ottobre del 1795 a Corfù – quando l’isola era ancora sotto l’amministrazione veneziana –, dove studiò pianoforte, violino e composizione. Ma il suo interesse per l’opera italiana lo spinse a completare la sua formazione in varie città d’Italia, tra cui Venezia. Autore dell’Inno nazionale greco, la sua partitura più famosa è appunto la Cantata Ulisse agli Elisi (1820).
Notevole verve e incontenibile energia hanno caratterizzato diffusamente l’esecuzione della citata Ouverture, colma di riferimenti haydniani e rossiniani. Alla lenta introduzione – aperta da un sonoro arpeggio discendente, cui hanno risposto, con giusto accento, prima il flauto e poi l’oboe, creando un clima di misteriosa attesa – si è contrapposta una sezione in tempo veloce dove, sul pizzicato degli archi, il clarinetto e l’oboe hanno presentato, in successione, il primo tema, dal ritmo puntato, che ci ha fatto entrare nel clima dell’opera italiana. Ancora i fiati hanno presentato il secondo tema, mentre il pulsare degli archi insisteva sempre sulla stessa nota. Irresistibile, è iniziato il crescendo rossiniano con l’iterazione di un semplice inciso di terzine. Il clarinetto ha poi introdotto la ripresa dell’esposizione, in cui si sono riascoltati i temi della prima parte e il caratteristico crescendo, che ha chiuso festosamente l’Ouverture.
Altrettanto vigorosa e ricca di contrasti è stata l’interpretazione, da parte di George Petrou, della Sinfonia n. 36 in do maggiore KV 425, composta da Mozart in pochi giorni – tra l’ottobre e il novembre 1783, mentre si trovava a Linz durante il viaggio di ritorno da Salisburgo a Vienna – in vista di un imminente concerto organizzato in suo onore dal conte Joseph Anton Thun, di cui era ospite insieme alla moglie Constanze. Eccellente, per sensibilità interpretativa e qualità del suono, è risultata la prova dell’Orchestra, guidata con chiarezza dal gesto direttoriale. Nel primo movimento aperto da un’introduzione lenta, Adagio, di ascendenza haydniana, dopo solenni unisoni, è apparso un sinuoso, misterioso motivo, che ha coinvolto fagotti e oboi, per approdare poi ai violini e sfociare in una cadenza sospesa. Dopodiché ha preso avvio l’Allegro spiritoso, il cui festoso primo tema, esposto piano dai violini, è successivamente passato a tutta l’orchestra. Particolarmente animato è risultato il secondo tema, tipico omaggio alla “musica turca”; affine all’opera buffa italiana il finale dell’esposizione. Nel secondo movimento, Poco adagio – una Siciliana in 6/8 –, si è apprezzato il dialogo tra i fiati e gli archi, oltre alla caratterizzazione dei due temi: il primo, cantabile e delicato, esposto dai violini; il secondo caratterizzato dalle note ribattute di corni e timpani. Il Menuetto ha rivelato un carattere rustico – sottolineato dalle note ribattute all’unisono e dagli interventi cadenzati dei timpani – interrotto dal Trio, in forma di Ländler, dai modi più graziosi ed eleganti, con un sinuoso tema esposto dai violini e dall’oboe. Una trascinante vitalità ha percorso il conclusivo Presto con un primo tema dal piglio operistico – dato dalla contrapposizione tra il quartetto degli archi e l’orchestra – e un secondo terna, caratterizzato da tre crome seguite da una pausa, che costituisce l’episodio più originale dell’intera sinfonia e segna il distaccarsi di Mozart dal pur venerato modello haydniano.
Un impeto orgiastico ha caratterizzato, in buona parte, l’esecuzione della Sinfonia n. 7 in la maggiore di Beethoven – eseguita con successo, in prima assoluta, a Vienna l’8 dicembre 1813, in un concerto, diretto dall’autore, a favore dei soldati feriti a Hanau, combattendo contro Napoleone–, nella quale già i contemporanei colsero un’originalità quasi sfrenata, testimoniata, in particolare, dalla preponderanza del ritmo, cui fa riferimento anche la celebre definizione, formulata da Wagner, di “apoteosi della danza”. In effetti, il ritmo costituisce l’elemento strutturale della composizione, per quanto la sua straripante energia sia sempre sottoposta a un dominio formale, a una maestria compositiva, che qui raggiungono uno dei vertici dell’arte beethoveniana.Dopo il Poco sostenuto introduttivo, che si richiama alle ultime sinfonie di Haydn, il Vivace – a cui conduce la ripetizione di una sola nota: invenzione geniale e irripetibile in altri contesti –, era percorso da una pulsazione ritmica talmente trascinante che l’avvicendarsi dei temi e l’articolazione strutturale del discorso musicale passavano in secondo piano rispetto alla forza unificante dello slancio vitale. Incorniciato da due nitidi accordi degli strumenti a fiato, l’Allegretto – in tonalità minore e in forma ternaria, caratterizzato da variazioni sul tema e utilizzo del fugato come la Marcia funebre dell’Eroica – era immerso in una tenue malinconia sottolineata da una pulsazione ritmica più lenta ma anche qui inarrestabile (un dattilo seguito da uno spondeo), che lo percorre, proseguendo anche nel dolce intermezzo in modo maggiore. Nel Presto l’accelerazione ritmica ha ripreso il sopravvento, a parte la parentesi più pacata del Trio, intercalato due volte al movimento principale. Ma Petrou ha scatenato tutta la sua energia cinetica nel focoso finale, Allegro con brio, in cui ha scandito dei tempi assolutamente rapidi, per non dire parossistici, che l’Orchestra ha affrontato con grande precisione, mantenendo sempre la chiarezza nell’articolazione. Del resto, ancora Wagner ebbe ad affermare che questo movimento rappresenta una festa dionisiaca. E una vera orgia di suoni e di ritmi, una forza e una concitazione incontenibili si sono colte in questa pagina, che poteva uscire solo da una mente sublime. Applausi fragorosi dopo la fine di ogni pezzo e, particolarmente, a conclusione dell’emozionante serata.